2. PERCHÉ GLI ITALIANI OCCUPAVANO CEFALONIA: LA GERMANIA DI HITLER, MUSSOLINI E LA GUERRA PARALLELA.

2.1. Le ragioni dell'ingresso in guerra dell'Italia

La seconda guerra mondiale era iniziata il primo settembre 1939 con l'attacco tedesco alla Polonia, dopo che Hitler si era garantito ad est i buoni rapporti dell'Unione Sovietica di Stalin attraverso l'accordo segreto firmato dai rispettivi ministri degli Esteri, Ribbentrop e Molotov, nel mese di agosto. Nei mesi successivi, mentre preparava lo scontro decisivo ad ovest con la Francia, che era appoggiata dalla Gran Bretagna, la Germania, in aprile, portava a termine il piano che le garantiva il controllo dei rifornimenti da nord, con la rapida occupazione della Danimarca e della Norvegia. Il 10 maggio 1940 iniziava l'attacco sul fronte occidentale, assieme al diversivo dell'occupazione del Belgio e dell'Olanda. L'esercito francese fu rapidamente travolto, nel giro di quattro settimane di combattimenti la Francia era in ginocchio e si preparava a chiedere l'armistizio. E' solo a questo punto che l'Italia di Mussolini si convinceva ad entrare in guerra: il 10 giugno, il giorno in cui il governo francese abbandonava Parigi, veniva presentata la dichiarazione di guerra ai rappresentanti diplomatici di Francia e Gran Bretagna. Mussolini non voleva lasciare solo l'amico e alleato tedesco nell'ora del trionfo; senza l'entrata nella guerra che appariva vicina alla conclusione, c'era il rischio ormai palese di restare fuori dalla spartizione del bottino. Anche se il Paese era impreparato ad affrontare una guerra vera contro le maggiori potenze industriali occidentali, si decideva di scommettere su una rapida vittoria tedesca nel momento in cui la situazione appariva la più propizia, senza tuttavia considerare i rapporti di forza sul lungo periodo, quelli che alla fine decideranno il conflitto. L'Italia di Mussolini, se non fosse intervenuta, avrebbe visto ridimensionato il ruolo di potenza europea e mediterranea che si illudeva di essersi garantita con la politica estera condotta dal 1935 e che aveva portato il Paese all'isolamento internazionale, con la rottura dei rapporti con la Società delle Nazioni e con le potenze occidentali, Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, mentre diventava sempre più stretta l'amicizia con la Germania di Hitler, non solo per le evidenti simpatie ideologiche tra i due regimi, Hitler considerava Mussolini suo maestro, ma soprattutto per la volontà dei due governi di modificare a proprio favore l'ordine continentale uscito dalla precedente guerra mondiale.

Se l'attacco italiano all'Impero etiopico del 1935, concluso vittoriosamente l'anno successivo con la nascita della colonia dell'Africa Orientale Italiana e la proclamazione del re Vittorio Emanuele III imperatore d'Etiopia, continuava tardivamente la politica imperialistica tradizionale per i governi dell'Italia unita, da De Pretis, a Crispi a Giolitti, in un'epoca in cui iniziavano ad apparire le prime crepe nei sistemi coloniali delle potenze europee, l'appoggio militare, oltre che politico, del regime fascista alla ribellione di Francisco Franco contro il governo repubblicano spagnolo, si incontrava con le motivazioni ideologiche dei fascismi europei, di cui il nazismo hitleriano costituiva ormai la forma più estrema ed efficace, che facevano della lotta alla liberaldemocrazia, al socialismo e al comunismo internazionale la ragione della loro missione. Sarà proprio l'impegno nella guerra civile spagnola ad avviare, nel 1936, i rapporti di collaborazione tra l'Italia fascista e la Germania nazista, fino alla definizione di un'alleanza politico-militare sancita con la firma del "Patto d'acciaio" il 22 maggio 1939, che vincolava l'Italia alla guerra comune con l'alleato. Iniziava da questo momento il conto alla rovescia che porterà all'entrata in guerra dell'Italia. Se appare decisiva la volontà interventista del dittatore fascista, essa ottenne tuttavia l'appoggio di Vittorio Emanuele III, della casta militare rappresentata dal maresciallo Badoglio, degli ambienti industriali e finanziari, mentre la gran parte della popolazione appariva assai più tiepida se non ostile ad un impegno militare, e manifestò questo sentimento "pacifista" in varie occasioni tra il 1938 e il 1939, in particolare dopo l'apparente successo della Conferenza di Monaco, in cui Mussolini aveva svolto la parte del mediatore.

2.2. Una guerra "italiana" che finisce male

Nell'intenzione del regime mussoliniano, "Si entrerà in guerra non con la Germania, non per la Germania, ma per l'Italia a fianco della Germania"; è l'illusione della "guerra parallela", di una politica di espansione autonoma come potenza mediterranea che possa affiancarsi alle vittorie tedesche, che mano a mano diventano sempre più imbarazzanti e pericolose per i governanti e i capi militari italiani. La guerra parallela dell'Italia mussoliniana si realizza allargando l'impegno militare a sempre nuovi fronti: dopo l'anteprima dell'occupazione dell'Albania, nell'aprile del 1939, viene l'attacco alla Francia, quindi le offensive improvvide e improvvisate contro la presenza inglese in Africa orientale (in Sudan, in Kenia, nella Somalia britannica) nei mesi di luglio e agosto, e in Egitto, a settembre, territori che si vorrebbe annettere in caso di sconfitta della Gran Bretagna, fino all'aggressione alla Grecia, nell'ottobre del 1940, primo obiettivo dell'espansione nei Balcani.

Diverso è il contesto dell'intervento in Russia a fianco della Germania. Hitler aveva rinunciato all'invasione dell'Inghilterra, dopo il fallimento dell'attacco aereo condotto nell'estate del 1940, la guerra era ferma in Occidente; è in questa situazione di stallo che decide l'attacco ad est, all'Unione Sovietica di Stalin, nel giugno 1941. Mussolini decide così l'invio di un Corpo di spedizione italiano in Russia di 60.000 uomini (CSIR) nell'estate del 1941, trasformato poi in Armata italiana in Russia (ARMIR), forte di 227.000 tra ufficiali e soldati, nel corso del 1942. L'Italia si ritrova a seguire l'alleato in condizioni di totale subordinazione, senza avere più propri obiettivi autonomi.

La scelta di allargare il conflitto a sempre nuove aree di intervento e di disperdere le poche, male armate e impreparate forze militari italiane si rivela una decisione strategica disastrosa, che terminerà con un fallimento totale del regime e la tragedia di un esercito e di un Paese.

L'attacco a tradimento alla Francia, per alcuni: "la pugnalata alla schiena", mentre Salvemini dirà: "Non tradimento, ma colpo inferto a uno che si trova sul letto di morte", quando ormai i cugini d'oltralpe erano sul punto di arrendersi, si rivela per l'Italia una quasi débâcle: l'offensiva lanciata sulle Alpi non riesce ad avanzare che per poche centinaia di metri e trova la salda resistenza delle truppe francesi, nonostante nel resto del paese i tedeschi stiano già travolgendo le loro armate migliori. Una brutta figura militare che non aggiunge molto al giudizio morale che si può dare della dichiarazione di guerra alla nazione che aveva garantito la nostra unione nazionale e in cui lavoravano 800.000 nostri cittadini.

In Africa orientale ogni presenza militare italiana è eliminata entro il maggio 1941, con l'eccezione di un'isolata resistenza a Gondar che continuerà fino a novembre. In Nordafrica le scarse truppe inglesi riescono in poco tempo a ricacciare indietro quelle italiane, conquistando la Cirenaica libica e facendo 130.000 prigionieri; il successivo intervento di un corpo di armata tedesco guidato dal maresciallo Rommel permette di conseguire alcuni successi anche significativi, ma l'offensiva italo-tedesca si infrange definitivamente ad El Alamein, nell'ottobre del 1942; pochi mesi dopo, nel maggio 1943, le truppe dell'Asse sono cacciate dall'Africa settentrionale, dopo un'ultima resistenza in Tunisia, dove si arrendono 160.000 soldati italiani.

La presenza italiana sul fronte del Don, nella Russia meridionale, sarà travolta, assieme alle armate tedesche, nel corso dell'offensiva condotta dai sovietici nell'inverno del 1942. Nel corso della cosiddetta "ritirata del Don", nel gennaio-febbraio 1943, l'ARMIR andrà quasi completamente distrutta, i caduti e i dispersi sono  85.000; i feriti e i congelati 30.000, i prigionieri dei russi 60.000, dei quali solo 10.000 sopravvivono ai trasferimenti forzati e alla prigionia.

Con la conclusione dell'avventura russa e poi con la sconfitta delle truppe in Africa settentrionale, l'Italia si ritrova in prima linea e si avvicina la fine del regime di Mussolini. Il 10 luglio 1943, le truppe alleate sbarcano nel sud-est della Sicilia; l'occupazione dell'isola è completata solo il 17 agosto, dopo una scarsa resistenza dei soldati italiani; nel corso della campagna di Sicilia gli alleati fanno 125.000 prigionieri. Intanto il 25 luglio Mussolini è prima accusato dei cattivi risultati militari e messo in minoranza in una riunione del Gran Consiglio del Fascismo, quindi destituito dal re, che nomina in sua vece il vecchio maresciallo Badoglio, emarginato dai tempi della campagna di Grecia. L'8 settembre, data dello sbarco alleato a Salerno, viene comunicata l'avvenuta firma dell'armistizio.