ULISSE OVVERO IL VIAGGIO

Modulo didattico


(Percorso di ricerca tra mito, storia e allegoria)

Sommario: Il modulo in oggetto è indirizzato ad una classe di I Liceo Classico e si presta ad essere snodo pluridisciplinare con l'inclusione di Italiano, Latino, Greco cui potranno aggiungersi Lingue Straniere, Filosofia, Storia, Storia dell'Arte. Il tema del viaggio sarà analizzato in tutte le valenze cui si è prestato nella letteratura.
Motivazione e finalità: Si tratta di un argomento che, oltre a costituire uno snodo importante per gli autori e le opere oggetto di studio nell'anno in corso, si presta ad essere portato avanti per tutto il triennio in un percorso formativo finalizzato ad una visione globale del tema con le differenti ricadute nelle varie culture che via via andranno studiate.

Obiettivi: Cogliere attraverso i testi i tratti fondamentali delle civiltà ed avere la consapevolezza della tradizione, delle innovazioni e dei rispettivi valori. Saper formulare in maniera critica ed autonoma un'interpretazione complessiva dei testi esaminati che dimostri sia l'acquisizione degli strumenti di analisi che la capacità di giudizio e di gusto personale.

Preconoscenze: I poemi epici e gli eroi che li caratterizzano; decodifica dei testi con metodo scientifico; competenza ermeneutica; competenza metrica.

Contenuti: Italiano: U.D. 1 Dante e il contesto storico, politico e sociale; U.D.2 La Commedia: composizione, struttura formale, concezione figurale; il viaggio e la missione del poema; l'oltretomba dantesco. Seguono 9 U.D. con l'analisi di 9 canti scelti, tra cui essenziali ai fini del percorso il I e il XXVI. Si suggeriscono i seguenti altri canti: III, V, VI, X, XIII, XXXIII, XXXIV.
Latino: U.D. 1 Virgilio e il contesto storico, politico, sociale in cui opera. U.D. 2 L'Eneide, il poema epico, la crisi e il rinnovamento di un genere, la figura di Enea. Eneide II, 1-13 in lingua e II, 13-505 in traduzione. U.D. 3 Eneide II, 506-525 in lingua. U.D. 4 Eneide II, 526-534 in traduzione, Eneide II, 535-558 in lingua. U.D. 5 Eneide IV, 1-299 in traduzione; IV, 300-311 in lingua. U.D. 6 Eneide IV 311-330 in traduzione; Eneide IV, 331-361 in lingua.
Greco: U.D. 1 Omero tra leggenda e realtà; l'Iliade: contenuto e struttura. U.D. 2 l'Odissea: contenuto e struttura. Lettura in traduzione dei passi: I, 1-79; V, 1-46 e 145-224; IX, 364-542.

Mezzi: Testi in adozione; lettura di pagine critiche; consultazione di altri testi; sussidi audiovisivi.

Spazi: Aula; biblioteca; viaggio di istruzione sull'itinerario in Italia di Enea e di Ulisse.

Metodi: L'attività si articolerà secondo tutte quelle direttive atte a rendere il processo di apprendimento motivato, significativo e gratificante, attraverso: approccio diretto al testo letterario; spiegazione dell'itinerario metodologico per fornire strumenti di decodificazione agli alunni e renderli consapevoli di quanto fanno.

Valutazione: Prove scritte tradizionali, strutturate e semistrutturate; prove orali in itinere, continue; interrogazione multipla; lavori di approfondimento; interventi con rinforzi e stimoli per sostenere sia le difficoltà che le eccellenze. Come griglia di valutazione si utilizzerà quella decisa in sede di c.d.c. e di p.o.f. .

Si procede allo sviluppo di una U.D. che presupponga già lo svolgimento delle U.D. di cui sopra e abbia lo scopo di raccogliere e interpretare i dati.

Topos letterario eccezionalmente privilegiato in tutte le sue valenze, il viaggio ci accompagna attraverso i secoli fornendoci una percezione concreta del succedersi delle civiltà, pur conservando il suo precipuo significato di conquista/catarsi attraverso il superamento di prove ai limiti dell'impossibile.

Così Eracle per ottenere il perdono di Era in quanto frutto del tradimento di Zeus con Alcmena, dovrà affrontare le sue dodici fatiche al servizio di Euristeo che lo vedranno per dodici anni eroe in scenari diversi.

Giasone, invece, per riconquistare il legittimo trono usurpato dal perfido zio Pelia nella città di Iolco, si avventurerà con gli argonauti nella rischiosissima conquista del vello d'oro.

Emblematico per eccellenza è il viaggio di Odisseo/Ulisse il più scaltro tra gli eroi, il polytropos ma anche "colui che semina odio" o "colui che è oggetto di odio"(da odyssesthai: adirarsi), è il rancore del Sole Iperione, al quale i compagni avevano sottratto i buoi per cibarsene; o quello di Poseidone per averne accecato il figlio Polifemo, il ciclope. Meglio avrebbe fatto a restare nell'anonimato, quando con un sottile inganno si era presentato al ciclope come Outis, Nessuno (Odissea IX, 366), sinonimo di métis, che se mêtis designa l'astuzia, la capacità di trovare soluzioni all'inestricabile, di raggirare, di ingannare: il nostro eroe insomma.

Ma Odisseo non può rinunciare a rivelare il suo vero nome, è l'eroe del kléos, della fama (da kaléo: chiamare, pronunciare il nome di qualcuno). Questo atto di hybris, di tracotanza, gli costerà la maledizione implacabile di Polifemo, che Poseidone, solerte vendicatore, ascolta: ad Itaca "tardi, male ci arrivi, perduti tutti i suoi compagni, su nave altrui, trovi in casa sciagure" (Odissea IX, 534 s.).

La condanna piomba su Ulisse violenta come il masso scagliato dal ciclope.

Un altro punto del poema ci mostra l'eroe nel pieno di un dilemma tra kléos, fama, e a-kléos, senza gloria, inghiottito nell'oblio; è l'allettante offerta della divina Calipso (da calyptein: nascondere): restare con lei da immortale, eternamente giovane ma nascosto o partire.

All'immortalità anonima Ulisse preferisce un'esistenza mortale degna dell'eroe, coronata dalla rimembranza: è pronto ad affrontare ogni fatica, ogni sofferenza pur di ritornare e ritrovare se stesso, a proteggerlo ci sarà Atena, dea dell'intelligenza, costantemente al suo fianco.

Paladino della mêtis, l'astuzia, Ulisse inaugura l'eroe nuovo, non più espressione di forza e di nobiltà (Achille è designato dall'epiteto patronimico "Pelide") ma uomo che deve trovare in sé le risorse per superare le mille difficoltà che il fato riserva; uomo della vita, giammai rinuncerà all'esperienza come strumento di conoscenza.
Vincente è la sua intelligenza, garanzia del nostos (il ritorno), un emblematico viaggio verso la conoscenza e la ricerca di se stesso.

Spia di un contesto sociale diverso, inaugurato col superamento di Achille, eroe della franchezza e dell'impeto calato in una realtà violenta, Ulisse è l'attore disincantato in un mondo ormai fattosi ingannevole e sleale.

Ai connotati fin qui delineati fa eco, profondamente rinnovata, la figura di Enea, nell'opera che avrebbe dovuto cantare le gesta di Augusto, princeps pacis ac concordiae, principe di pace e di concordia.
Ma Virgilio, lungi dal cantare Augusto, scrive storia sacra incentrata su Enea, come Omero aveva fatto con Odisseo.

A differenza dell'eroe greco Enea non è eroe del ritorno. La sua storia prende spunto da una predizione di Poseidone in Iliade XX, 302 ss.: "destino è per lui di salvarsi... ora la forza di Enea regnerà sui Troiani e i figli dei figli e quelli che dopo verranno..."

In Virgilio rovesciata è la sequenza narrativa rispetto ai poemi omerici: Enea affronta prima le peripezie del viaggio e poi la guerra, e rovesciato è anche l'esito della guerra stessa: non più distruzione ma fondazione della città.
Assolutamente significativo, per chiarire il carattere straordinariamente nuovo di Enea, è il suo epiteto PIUS.

L'aggettivo, come il sostantivo PIETAS, non trova corrispondente italiano né greco, e richiama un complesso di valori che rimandano tanto alla sfera sociale e morale quanto a quella religiosa, includendo iustitia, fides, misericordia, humanitas in un biunivoco rapporto tra l'uomo e la divinità.

Anche Enea come Odisseo è specchio del suo tempo e difficile sarebbe stata per Virgilio la costruzione di una figura non filtrata attraverso l'influenza perturbatrice dei filosofi epicurei e stoici.

L'autore consapevole della dimensione arche- e a- tipica del suo eroe e necessitando della captatio benevolentiae dei lettori a lui contemporanei, utilizza una strategia efficacemente collaudata in ambiente greco: il secondo libro, quello dell'Iliupersis, è suggellato dalla struttura suggestiva quanto incalzante, drammatica quanto esplosiva della tragedia, ed Enea ne è il messaggero autoptico, cui tocca "renovare dolorem" in un intenso quanto doloroso monologo.

Icastica sacralità acquista la scena della partenza da Troia: l'eroe è investito della responsabilità di pater e pius: sulle spalle la tradizione, il vecchio padre e i sacri penati; per mano il futuro, "la forza che regnerà sui Troiani e i figli di figli" (Iliade XX, 302 ss.), il figlioletto Ascanio-Iulo, e dietro, poco distante, Creusa, che presto svanirà per garantire a suo figlio una stirpe regale (col matrimonio tra Enea e Lavinia, figlia di re) e poter celebrare la discendenza troiana.

Anche Enea come Odisseo si troverà a dover scegliere, questa volta tra l'amore di Didone e la missione divina che è tenuto a svolgere, e se, di fronte alla decisione della partenza, l'amor di Didone sarà furor, quello di Enea si confermerà nella pietas caricata della responsabilità storica e provvidenziale del suo compito.

Operando un salto nei secoli, vibrante di commozione e profondamente partecipato è l'incontro di Dante con Ulisse nel XXVI canto dell'Inferno.
Qui la lettura in chiave cristiana condanna quelle che le divinità pagane consideravano virtù e che gli avevano fatto guadagnare il nostos, il ritorno: l'astuzia e l'inganno, chiaramente esplicitate da Virgilio in una terzina: Piangevisi entro l'arte per che, morta, / Deidamia ancor si duol d'Achille, / e del Palladio pena vi si porta (XXVI, 61-63).

Siamo nell'VIII bolgia, sede dei consiglieri fraudolenti e ormai prossimi alla natural burella di Lucifero, eppure nulla lo lascia presagire: non l'apostrofe incipitaria "Godi, Fiorenza, poi che se' sì grande, / ..." solenne per elevare il tono del canto; non, soprattutto, la prima similitudine del canto inclusa in tre terzine (vv. 25-33), ove le fiamme che ospitavano i dannati diventano lucciole risplendenti per il "villan ch'al poggio si riposa".
Fra tutte la fiamma di Ulisse si distingue per la sua natura bifida (vi è avvolto anche Diomede, inseparabile compagno) e per il suo ergersi più alta.

L'atmosfera mitica che circonda il personaggio (Lo maggior corno de la fiamma antica) pare dissolversi quando Ulisse con fatica, per rispondere "cominciò a crollarsi mormorando / pur come quella che vento affatica; / indi la cima qua e là menando": lui, l'artista della parola, solo dopo grande sforzo, finalmente, "gittò voce di fuori", riesce ad articolare un discorso: è la legge del contrappasso che non risparmia nessuno.

Alla curiosità espressa da Dante "dove, per lui, perduto a morir gissi", v. 84, Ulisse si rivela, nelle due terzine vv. 94-99, come impius ed opposto ad Enea, menzionato al v. precedente; infatti "né dolcezza di figlio, né la pieta / del vecchio padre, né 'l debito amore / lo qual dovea Penelopè far lieta / vincer potero l'ardore ch'i ebbi a divenir del mondo esperto/ " e con l'orazion picciola persuade i suoi compagni al "folle volo".
Duplice dunque la condanna divina: l'inganno lo pagherà con la dannazione eterna, l'essere andato oltre misura (le colonne d'Ercole) con la vita stessa.

Essenziale ai fini dell'interpretazione il ruolo dell'aggettivo folle per connotarne l'effetto fatale: tale sembrerà a Dante la sua venuta nell'oltretomba da vivo (Inferno II, 35) e a rasserenarlo interverrà Virgilio con la rivelazione della missione provvidenziale e divina del viaggio.

Folle dunque vale a significare dismisura, trasgressione di un divieto, concetti profondamente sentiti nello spirito cristiano: si pensi alla trasgressione di Adamo ed Eva nella Bibbia.

Al folle volo di Ulisse, punito perché non sorretto dalla Grazia Divina, fa da contrappeso infine l'alto volo che Dante spiccherà in Paradiso (Paradiso XV, 54 e XXV, 50) consacrato dal suggello dell'Empireo.


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