Per una lettura stilistica dell’Allegria di Ungaretti

Scopo di questo lavoro è individuare le fondamentali strutture stilistico - espressive del primo Ungaretti; ci riferiamo alla raccolta L'Allegria[1] non solo perché essa è giustamente considerata il vertice della produzione ungarettiana, e opera profondamente innovatrice nel contesto della poesia italiana del primo Novecento, ma anche perché il suo autore, nelle varie edizioni fra il 1919 e il 1942,[2] ha sempre apportato ai suoi testi molti ritocchi e significative correzioni.

Questa raccolta di versi, perciò, è vissuta con il suo autore al di là degli anni in cui è stata scritta; e meglio di altre consente di cogliere la originalità dello stile poetico del primo Ungaretti

Il territorio stilistico de L'Allegria è caratterizzato da queste costanti espressive:

A) presenza della parola semplice, immediata, e contemporaneamente vaga, secondo la tradizione della lezione leopardiana, oltre che simbolista[3]; parola che deve essere liberata da ogni incrostazione letteraria, retorica o classicheggiante;

B) sintassi ellittica, liquefatta in risonanze analogiche e metaforiche; in ogni caso tendenzialmente connotativa, intuitiva, alogica, al di fuori degli schemi convenzionali e usuali del discorso;

C) uso cosciente, e rilevante frequenza statistica della metafora, privilegiata nei confronti della similitudine, in quanto piú ricca di suggestioni e di misteriose analogie[4];

D) assenza pressoché totale della punteggiatura, se si esclude la presenza del punto interrogativo[5]; questo consente ad Ungaretti di immergere ogni singolo vocabolo, ogni espressione, in un'atmosfera di totale atemporalità; infatti, se la punteggiatura ritma il tempo ed il senso delle concrete convenzioni della vita quotidiana, la sua abolizione è il segno di una precisa volontà di immersione in un tempo diverso: assoluto ed infinito;

E) abolizione della forma metrica tradizionale, tranne qualche rara eccezione; il verso, per lo piú brevissimo, è isolato nel silenzio della pagina bianca, secondo la piú tipica tradizione simbolista.

Cercheremo di documentare con alcuni esempi queste sintetiche indicazioni.

A) Ungaretti dimostra una lucida coscienza delle possibilità semantiche delle due parti fondamentali ed essenziali del discorso: il nome e il verbo.

Egli infatti scrive:

«Una parola che tenda a risuonare di silenzio nel segreto dell'anima non è una parola che tenda a ricolmarsi di mistero? È parola che si protende per tornare a meravigliarsi della sua originale purezza.

Se il carattere dell'800 era quello di stabilire legami a furia di rotaie e di ponti e di pali e di carbone e di fumo, il poeta d'oggi cercherà dunque di mettere a contatto immagini lontane, senza fili. »[6]

Spezzati i fili del razionalismo positivistico, Ungaretti avverte il senso di mistero che avvolge la creazione poetica; sarà un tema ricorrente delle sue meditazioni poetiche e gnoseologiche:

«Non so se la poesia possa definirsi. Credo e professo che sia indefinibile, e che essa si manifesti nel momento della nostra espressione, quando le cose che ci stanno piú a cuore, che ci hanno agitato e tormentato di piú nei nostri pensieri, che piú a fondo appartengono alla ragione stessa della nostra vita, ci appaiono nella loro piú umana verità; ma in una vibrazione che sembri quasi oltrepassare la forza dell’uomo, e non possa mai essere conquista né di tradizione né di studio, sebbene dell’uno e dell’altra sia sostanzialmente chiamata a nutrirsi. La poesia è dunque un dono. . . o meglio, essa è il frutto di un momento di grazia, cui non sia stata estranea, specie nelle lingue di vecchia cultura, una paziente, disperata sollecitudine.»[7]

La suggestione culturale del simbolismo francese è evidente.

Il Rebay spiega, con molta chiarezza, che «a considerare globalmente la prima fase di sviluppo della sua poesia (dai tempi di Lacerba alla pubblicazione dell'Allegria di naufragi nel ‘19) non si sfugge all'impressione che essa sia un prodotto direttamente legato non tanto ai modi della poesia italiana, recente e antica, quanto a quelli affermatisi nell'ambito della tradizione francese post-baudelairiana. Nei paesi di civiltà occidentale non vi sono ai giorni nostri artisti o forme d'arte che non abbiano in un modo o nell'altro risentito delle idee e delle esperienze germogliate in Francia a partire dalla seconda metà dell'Ottocento, dal simbolismo all'impressionismo, dal cubismo al surrealismo. Alla base di questi movimenti v'era un senso di stanchezza del passato e il desiderio, variamente espresso, di rigenerare le arti con nuove forme d'espressione, libere dagli schemi imposti dalla tradizione.»[8]

La eco della rivoluzione poetica baudelairiana, delle allucinazioni rimbaudiane, della ricerca di assoluto mallarmeana e della sua infinita casualità,[9] oltre ad altri momenti della cultura letteraria, figurativa, e musicale francese fra Ottocento e Novecento, vengono a stratificarsi nella formazione culturale e poetica del giovane Ungaretti.

Si possono documentare i riferimenti, non solo vagamente culturali, ma anche filologicamente testuali, fra il primo Ungaretti e la poesia simbolista.

Rileggiamo una delle poesie piú significative di quegli anni, Il Porto Sepolto:[10]

Vi arriva il poeta

e poi torna alla luce con i suoi canti

e li disperde

Di questa poesia

mi resta (5)

quel nulla

d’inesauribile segreto[11]

L'espressione quel nulla / d'inesauribile segreto che pervade il poeta dopo la sua discesa al Porto sepolto, si riallaccia, concettualmente, alle allucinate visioni del poeta rimbaudiano che ha «vu quelquefois ce que l'homme a cru voir», nonché alla famosa descrizione del poeta veggente, il quale, nei suoi sogni sregolati e illuminanti non può fare altro che «garder … les quintessences» poiché «il arrive à l'inconnu, et quand, affolé, il finirait par perdre l'ntelligence de ses visions, il les a vue!». [12]

L'inconnu diviene, per Ungaretti, il mistero inesplorato del Porto sepolto, luogo reale e simbolico ad un tempo[13]; «il momento psicologico in cui il poeta illuminato rimbaudiano teme di perdere l'intelligenza delle sue visioni, corrisponde, in Ungaretti, al ritorno alla luce e alla dispersione dei canti. . . ».[14]

Anche la poesia di Mallarmé lasciò un segno profondo in Ungaretti; l'attesa di une chose inconnue, il mistero simbolico del mondo, l'ironia eterna di un disperato e irraggiungibile azzurro (cioè la ricerca impossibile di un’inattingibile purezza), si traducono in una tensione linguistica densamente metaforica e spesso oscura.

Mallarmé «sottopose la parola a una tensione massima per cercare di ottenere un mote total, neuf, étranger à la langue et comme incantatoire; affermò che scopo della poesia è suggerire, non nominare gli oggetti (nommer un object, c'est supprimer les trois-quarts de la jouissance du poème qui est fait de deviner peu à peu; suggérer, voilà le rêve); e arrivò a sostenere che bisogna tagliare il principio e la fine di ciò che si scrive; infine lasciò come testamento poetico il Coup de Dès, uno dei piú sconcertanti documenti di poesia di tutti i tempi, in cui è eliminata la punteggiatura, appaiono caratteri di diversa altezza e grossezza, viene adottato uno stile oscurissimo tutto involuzioni ed ellissi, e le cui parole sono distribuite sulla pagina in modo da evocare con la loro disposizione immagini atte a concorrere ideograficamente all'effetto della composizione. »[15]

Ecco dunque la piú profonda e suggestiva eredità del simbolismo francese, che Ungaretti meditò e fece propria: il silenzio interiore, pensoso e solitario, sull’orlo dell’abisso e del mistero; la parola come segno evocativo, folgorante come un lampo nella notte, isolata nella pagina bianca; la lunga eco di meditazione interiore dopo il balenare allucinato del segno linguistico.

Come, ad esempio, nella seconda strofa della poesia Commiato (vv. 9-13):

Quando trovo

in questo mio silenzio

una parola

scavata è nella mia vita

come un abisso[16]

La parola diviene simbolo di un infinito, ignoto abisso che circonda l’esistenza; anche quando assume la forma metaforica del fiore, come nella poesia Eterno[17]:

Tra un fiore colto e l’altro donato

l’inesprimibile nulla

Questo testo apre, in modo molto significativo, l’edizione definitiva della raccolta L’Allegria, quasi svolgesse la funzione di sintetica epigrafe stilistica e concettuale.

La parola, dunque, scaturisce semplice e immediata, ricca di echi e simboli, segno di una densa complessità vitale, di un misterioso abisso che circonda l’uomo; ed insieme appare vaga, indeterminata, essenziale, decantata da ogni riferimento troppo concreto e fisico: è una chiara ripresa della lezione leopardiana.

Per Ungaretti la parola è come «un lampo nella notte», un’apparizione improvvisa, che rimane in bilico sull'inesprimibile nulla.

Ma, al di là della lezione della cultura poetica precedente, anche la situazione storico - biografica del poeta ci aiuta a capire le ragioni di queste sue scelte stilistiche.

Egli ci ricorda che ai tempi in cui scrisse quelle poesie il suo linguaggio era «breve, spesso brevissimo, laconico: alcuni vocaboli deposti nel silenzio come un lampo nella notte, un gruppo fulmineo di immagini, mi bastavano a evocare il paesaggio sorgente d'improvviso, ad incontrarne tanti altri nella memoria. »[18]

Le ragioni di questa scelta espressiva vanno ricercate anche nella condizione della guerra:

«La guerra improvvisamente mi rivelava il linguaggio. Cioè io dovevo dire in fretta perché il tempo poteva mancare, e nel modo piú tragico. . . in fretta dire quello che sentivo e quindi se dovevo dirlo in fretta lo dovevo dire con poche parole. . . che avessero avuto una intensità straordinaria di significato. E cosí si è trovato il mio linguaggio: poche parole piene di significato che dessero la mia situazione di quel tempo. . . ».[19]

La poesia Veglia,[20] piú di altre, ci fa entrare nella drammatica condizione delle sofferenze di guerra:

Un’intera nottata[21]

buttato vicino

a un compagno

massacrato

con la sua bocca (5)

digrignata[22]

volta al plenilunio[23]

con la congestione

delle sue mani

penetrata (10)

nel mio silenzio[24]

ho scritto

lettere piene d’amore[25]

Non sono mai stato

tanto[26] (15)

attaccato alla vita

B) Se i «ponti e le ferrovie» del positivismo ottocentesco sono ormai definitivamente caduti, allora la struttura del periodo non sarà piú caratterizzata dal descrittivismo realistico caro a tanta letteratura del secondo Ottocento.

La organizzazione sintattica della comunicazione poetica non sarà piú logico­-razionale, il linguaggio non sarà piú realistico e descrittivo, sarà, invece, intuitivo, ellittico, analogico e metaforico; diverrà predominante la paratassi (cioè la coordinazione di immagini accostate per analogia) piuttosto che la ipotassi (ovvero la subordinazione tipica di un periodare logico e argomentativo).

Si veda, ad esempio, la poesia I fiumi [27], che è la piú lunga della raccolta, e presenta un andamento narrativo e apparentemente descrittivo diverso dalla concentrata sintesi delle altre poesie.

Mi tengo a quest’albero mutilato[28]

abbandonato in questa dolina[29]

che ha il languore[30]

di un circo

prima o dopo lo spettacolo (5)

e guardo

il passaggio quieto

delle nuvole sulla luna[31]

Stamani mi sono disteso

in un’urna d’acqua[32] (10)

e come una reliquia

ho riposato

L’Isonzo scorrendo

mi levigava

come un suo sasso (15)

Ho tirato su

le mie quattr’ossa

e me ne sono andato

come un acrobata[33]

sull’acqua (20)

Mi sono accoccolato

vicino ai miei panni

sudici di guerra

e come un beduino

mi sono chinato a ricevere (25)

il sole[34]

Questo[35] è l’Isonzo

e qui meglio

mi sono riconosciuto

una docile fibra (30)

dell’universo

Il mio supplizio

è quando

non mi credo

in armonia (35)

Ma quelle occulte

mani

che m’intridono[36]

mi regalano

la rara (40)

felicità

Ho ripassato

le epoche

della mia vita

Questi sono (45)

i miei fiumi

Questo è il Serchio

al quale hanno attinto

duemil’anni forse

di gente mia campagnola (50)

e mio padre e mia madre

Questo è il Nilo

che mi ha visto

nascere e crescere

e ardere d’incosapevolezza[37] (55)

nelle estese pianure

Questa è la Senna0

e in quel suo torbido

mi sono rimescolato

e mi sono conosciuto[38] (60)

Questi sono i miei fiumi

contati nell’Isonzo

Questa è la mia nostalgia[39]

che in ognuno

mi traspare (65)

ora ch’è notte

che la mia vita mi pare

una corolla

di tenebre

Partendo dall’occasione di una breve pausa di serenità meditativa, all’interno della tragica condizione della guerra in trincea, Ungaretti ricapitola tutto il suo passato attraverso i fiumi della sua vita: l’Isonzo, nel quale bagna i suoi panni sporchi di guerra; il Serchio, che attraversa la terra dei suoi antenati toscani; il Nilo, il fiume della sua infanzia e giovinezza vissuta ad Alessandria d’Egitto; la Senna, da lui conosciuta negli anni della permanenza a Parigi prima della guerra (1912-1914).

L’andamento narrativo e descrittivo del testo è attutito dalla presentazione dei fiumi della sua vita caratterizzata da una lenta sequenza paratattica; la iterazione del pronome dimostrativo, che appare ben 7 volte [40], crea una cadenza rallentata e sognante, un’atmosfera di nostalgico, ipnotico ricordo.

In altre occasioni, poi, viene passata sotto silenzio tutta una serie di passaggi logici, ed il poeta ci fa entrare direttamente in medias res, attraverso l'uso, ad esempio, di congiunzioni coordinanti che rimandano al silenzio interiore della meditazione precedente, al vuoto della pagina bianca, come nella poesia Noia (vv.1-4) [41]:

Anche questa notte passerà

Questa solitudine in giro

titubante ombra dei fili tramviari

sull'umido asfalto

La congiunzione che apre il testo allude al silenzio meditativo del poeta affacciato dalla sua finestra su un momento di vita notturna, nel periodo in cui viveva a Milano, prima di arruolarsi come volontario nella prima guerra mondiale.

Cosí la poesia inizierà spesso con avverbi e congiunzioni che rimandano a precedenti pensieri, come nella poesia Chiaroscuro (vv.1-4) [42]:

Anche le tombe sono scomparse

Spazio nero infinito calato

da questo balcone

al cimitero

Di ascendenza leopardiana (ma anche pascoliana) è l'inizio del testo poetico per mezzo della congiunzione coordinante e, che allude ad una serie di pensieri interiori inespressi, e perciò vaghi ed indeterminati; si veda la poesia Allegria di naufragi: [43]

E subito riprende

il viaggio

come

dopo il naufragio

un superstite

lupo di mare

Un’analoga funzione stilistica ricopre l'uso della congiunzione quando, con valore temporalmente indeterminato, proprio perché suo compito non è la collocazione precisa degli avvenimenti, ma una loro evocazione indeterminata, avvolta in un'atmosfera atemporale, come nella poesia Nostalgia (vv.1-2) [44]:

Quando

la notte è a svanire

oppure in Giugno (vv.1-3)[45]:

Quando

mi morirà

questa notte

Ed ancora, nell'ultima poesia della raccolta intitolata Preghiera (vv.1-3)[46]:

Quando mi desterò

dal barbaglio della promiscuità

in una limpida e attonita sfera

Altrove l'ellissi sintattica, pensosa e meditativa, è resa ancora più efficace dalla improvvisa apparizione di una particella avverbiale di luogo, che, nell'intenzione ungarettiana, sottolinea una faticosa e lungamente desiderata ricerca, come nella famosa poesia Il Porto Sepolto, sopra citata; rileggiamo qui solo la prima strofa:

Vi arriva il poeta

e poi torna alla luce coi suoi canti

e li disperde

C) Tutta la raccolta L'Allegria presenta una rilevante frequenza di metafore; ci limitiamo qui a sottolineare la profonda importanza stilistica ed espressiva che deriva da un uso coscientemente voluto di questo tipo di figura del linguaggio.

La metafora è una figura semantica che consiste nell’accostare e trasferire il significato da una parola ad un'altra, il cui rapporto con la prima è, in genere, di somiglianza.

Ma spesso accade che il rapporto tra i vocaboli, o le immagini, sia strano, inusuale, perché esse appartengono a campi semantici molto lontani tra loro. Anzi, piú i campi semantici delle parole-oggetto sono lontani, piú la metafora risulta ardita, misteriosa, affascinante: a volte inesplicabile.

Essa non è solo un trasferimento di significati, ma una fusione di aree semantiche diverse.

La X e la Y, cioè i due oggetti significati, le due aree semantiche, si fondono, dando vita a una nuova realtà linguistica ed espressiva, inusuale, strana, che va al di là della convenzionale logicità comunicativa (cioè della langue).

Mentre nella similitudine l'accostamento tra la X e la Y mantiene distinti e logicamente separati i due termini di paragone, nella metafora essi si fondono.

Per mezzo della metafora, perciò, viene scavalcata la logicità convenzionale: si creano rapporti nuovi tra gli oggetti, nuove immagini del linguaggio e del pensiero umano: nuovi segni: nuovi sogni.

Lo stile metaforico è ellittico, essenziale, sinestetico, connotativo; diversamente dal linguaggio logico-convenzionale che è per sua natura descrittivo, analitico, realistico, denotativo, perché deve garantire la comprensione comunicativa all'interno di un gruppo linguisticamente omogeneo.

Metaforismo diviene, così, metamorfismo: è il segno di una visione del mondo basata sulla convinzione che la realtà sia un instabile caleidoscopio; il suo uso cosciente e la sua frequenza statisticamente rilevante implica la convinzione che le cose si trovino in perpetuo movimento, «in uno stato incessante di transizione, in condizioni, insomma, labili e precarie, cosicché se ne può a mala pena, accertare il rapporto reciproco, perennemente mutevole. »[47]

In Ungaretti l’uso della metafora trova le sue origini nella conoscenza della poesia simbolista francese, nelle images soleils di ascendenza rimbaudiana, nelle folgoranti sinestesie di Baudelaire e di Mallarmé.

Il confronto delle varianti apportate da Ungaretti ad una sua famosa poesia, Fratelli[48], ci potrà servire di esempio. Ecco la prima redazione, scritta nel 1916, il cui titolo originario era Soldato:

Di che reggimento siete

fratelli?

Fratello

tremante parola

nella notte

come una fogliolina

appena nata

saluto

accorato

nell’aria spasimante

implorazione

sussurrata

di soccorso

all’uomo presente alla sua

fragilità

Ed ecco la redazione definitiva, apparsa nell’edizione del 1942, che conserva ancora, tuttavia, la antica datazione: Mariano 15 luglio 1916:

Di che reggimento siete

fratelli?

Parola tremante

nella notte

Foglia appena nata

Nell’aria spasimante

involontaria rivolta

dell’uomo presente alla sua

fragilità

Fratelli[49]

Dal confronto di questi due testi si può verificare una intensificazione metaforica dell'immagine, con la eliminazione della similitudine che aveva una sapore un po’ troppo pascoliano e crepuscolare; si arriva così ad una essenzialità sinestetica, molto più efficace e suggestiva.

Queste considerazioni stilistiche trovano conferma nelle varianti, apparentemente minime, di un altro testo altrettanto famoso, la poesia Soldati:

Soldati (1919) Soldati (1942)

Si sta

come d'autunno

sugli alberi

le foglie[50]

Si sta come

d'autunno

sugli alberi

le foglie[51]

Nella redazione definitiva il complemento di tempo (d’autunno), isolato nel secondo verso, acquista una solitaria e dolente tristezza, un senso di meditativa, silenziosa precarietà, che è il simbolo di chi è in bilico sulla voragine della morte. Spostando il nesso sintattico come al primo verso si attutisce il rapporto logico della similitudine, se ne vela la descrittività; la analogia così ottenuta evoca in modo molto intenso il tragico momento di quella inquieta attesa, sospesa sul mistero della morte.

Dunque, là dove sembra prevalere una struttura formale basata sui nessi sintattici della similitudine, ciò che acquista rilievo, nella sostanza, è l'espressione analogica e metaforica.

La metafora, come osserva giustamente Carlo Ossola, serve ad Ungaretti per «smaterializzare le immagini, e destorificare. . . i dati e le componenti di esse, in modo da ottenere un prodotto figurale assoluto. . . La metafora insomma come luogo dell'inesprimibile nulla, come procedimento, anche, per ridurre i vincoli logici. . . in modo che la sintassi e la frantumazione metrica possano davvero isolare la parola nella nudità del verso. . . ».[52]

D) L'abbandono totale della punteggiatura è un chiaro segno di ansia di assoluto; ci sono, naturalmente, alcune eccezioni, che confermano la scelta stilistica fondamentale. L'unico segno di interpunzione che appare nella raccolta è il punto interrogativo;[53] esso è il segno di una intensa pausa d'attesa, la eco di un dubbio irrisolto; in questo senso il punto interrogativo è il meno limitativo dei segni di interpunzione. La funzione della punteggiatura, nel linguaggio scritto e nella convenzione grammaticale e sintattica, è quello di spaziare, ritmare, storicizzare, il pensiero; essa è indispensabile per individuare un prima e un poi nella narrazione degli avvenimenti; è il segno di una convenzionalità espressiva che tende a ritmare il tempo come le lancette dell'orologio ritmano la vita quotidiana. Abolire la punteggiatura implica perciò la precisa volontà di dissolvere il tempo quotidiano, di inserire le folgoranti immagini poetiche in una assoluta atemporalità, in un’ansia di assoluto che si identificherà, nell’Ungaretti delle successive raccolte, con la divinità rivelata del cristianesimo cattolico.

E) Nella raccolta L'Allegria gli schemi metrici tradizionali sono quasi del tutto aboliti. [54]

L'alternarsi delle strutture metriche, la misurata successione dei versi noti dalla tradizione letteraria, è sostituita dal pensoso e meditato isolamento di «monadi strofiche», secondo l'espressione critica di Gianfranco Contini. [55]

Questa scelta non è casuale; la sua ricerca, il suo bisogno di assoluto lo conduce, coscientemente, alla tecnica del frammento.

Questa ansia di assoluto travagliava Ungaretti sin dai giorni in cui iniziò a scrivere Il Porto sepolto; in una lettera all'amico Carrà, dal fronte, scriveva: «Sono tormentato da un problema, che giudico il problema dei problemi. . . Vorrei arrivare a realizzazioni assolute; . . . fino alle sfumature infinitesimali, di questa nostra vita moderna. »[56]

Si trattava dunque di condurre la propria ricerca espressiva fino alle estreme conseguenze del silenzio; la propria ricerca di ritmo fino alle minime brevità strofiche.

Si può concludere con il fondamentale giudizio di G. Contini, il quale sottolinea che Ungaretti ha introdotto nel verso italiano delle «autentiche innovazioni formali»[57], e che ci ha lasciato un suggestivo modello stilistico, rimasto insuperato nella sua produzione successiva.

Carlo Briganti, primavera 1977 (inverno 1996-1997)

 


 

[1] Per il testo della raccolta L’Allegria si fa riferimento alla edizione mondadoriana di Ungaretti, Vita d’un uomo. Tutte le poesie, Milano 1969, a cura di L. Piccioni (opera fondamentale soprattutto perché presenta l’apparato critico di tutte le varianti; d’ora in poi P); e al volume di prose: Vita d’un uomo. Saggi e interventi, Milano 1974, a cura di M. Diacono e L. Rebay (d’ora in poi SI).

Il primo nucleo di poesie che entrò poi a far parte dell’Allegria, fu stampato ad Udine nel 1916, durante la prima guerra mondiale, a cura di Ettore Serra, ed era intitolato Il Porto sepolto. Ungaretti spiegò con queste parole il significato di quel titolo:

«Si vuole sapere perché la mia prima raccoltina s’intitolasse Il Porto Sepolto. Verso i sedici, diciassette anni, forse piú tardi, ho conosciuto due giovani ingegneri francesi, i fratelli Thuile, Jean e Henri Thuile. Entrambi scrivevano (...) Abitavano fuori d’Alessandria, in mezzo al deserto, al Mex. Mi parlavano d’un porto, d’un porto sommerso, che doveva precedere l’epoca tolemaica, provando che Alessandria era un porto già prima d’Alessandro, che già prima d’Alessandro era una città. Non se ne sa nulla. Quella mia città si consuma e s’annienta d’attimo in attimo. Come faremo a sapere delle sue origini se non persiste piú nulla nemmeno di quanto è successo un attimo fa? Non se ne sa nulla, non ne rimane altro segno che quel porto custodito in fondo al mare, unico documento tramandatoci d’ogni era d’Alessandria. Il titolo del mio primo libro deriva da quel porto: Il Porto Sepolto.» (P, pp.519-520)

E in un’altra occasione, nel 1963, Ungaretti scrive:

«In una baia d’Alessandria fu scoperto dall’ingegner Jondet, sprofondato nelle acque, un antico porto, il primitivo porto di Alessandria: porto sepolto, dunque. E poi la ragione perché questo porto sia diventato il simbolo della mia poesia è facile spiegarlo. C’è in noi un segreto, il poeta ci si tuffa, arriva in porto scoprendo questo segreto, dunque arriva a dare quel poco che un uomo può dare di consolazione alla sua anima.» (Ungaretti commenta Ungaretti, in SI, p.817)

Nella edizione del 1919 Ungaretti usò per la prima volta il titolo Allegria di naufragi; cosí Ungaretti spiegò, molti anni piú tardi, le ragioni di questo titolo: «Come nacque questo titolo dell’Allegria di Naufragi ? (...) Ebbene, perché, insomma, la poesia, l’uomo in tutte le sue imprese anche quando crede di essere arrivato in porto, sí ci arriva, ma ci arriva da naufrago, ci arriva dopo aver lasciato molte illusioni se non aver subito dei veri disastri. Ma il fatto di essere comunque arrivato in porto anche dopo un naufragio, dà un certo piacere, no?, dà un’allegria. Ecco: Allegria di naufragi. (Ungaretti commenta Ungaretti, in SI, p.816).

Poi, attraverso successive edizioni (fra le quali quella del 1931 in cui apparve per la prima volta il titolo L’Allegria), si giunse a quella pubblicata da Mondadori nel 1942, che presenta il titolo, definitivo, L’Allegria.

Per un avviamento alla lettura di Ungaretti si propone qui una bibliografia essenziale: G. Contini, Ungaretti o dell’Allegria, in Esercizî di lettura, Firenze, Le Monnier 1947, pp. 43-58; I. Gutia, Linguaggio di Ungaretti, Firenze, Le Monnier 1959; L. Rebay, Le origini della poesia di Ungaretti, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1962; P. Spezzani, Per una storia del linguaggio di Ungaretti fino al Sentimento del tempo, nel volume miscellaneo Ricerche sulla lingua italiana contemporanea, Padova, Liviana 1966, pp. 91-160; G. Genot, Sémantique du discontinu dans l’Allegria d’Ungaretti, Paris 1972; C. Ossola, Giuseppe Ungaretti, Milano, Mursia 1975; inoltre dello stesso autore, fondamentale è il commento analitico a Il Porto Sepolto, Milano, Il Saggiatore, 1981; G. Savoca, Parole di Ungaretti e di Montale, Bonacci Editore, Roma 1993; sulla vita di Ungaretti utilissimo l’Album Ungaretti, iconografia a cura di Paola Montefoschi, con un saggio biografico di L. Piccioni, Milano, Mondadori 1989.

[2] Anno della edizione definitiva, anche se alla fine del volume il colophon recava la data: febbraio 1943.

[3] Ungaretti ha sempre ammesso il suo debito culturale nei confronti della poesia leopardiana, da lui lungamente studiata e piú volte commentata nella sua attività di conferenziere (cfr. SI, pp. 324-343, e pp. 430-503); per quanto riguarda l’influenza della cultura simbolista francese si veda, in particolare, L. Rebay, Le origini della poesia di Ungaretti, cit., pp. 65 e segg.

[4] Cfr., in particolare, Gutia, cit., pp. 47-77; Ossola, cit., pp. 242 e segg. ; Spezzani, cit., pp. 110 e segg.

[5] Esso appare solo sei volte in tutta la raccolta; e va sottolineato che è il piú vago ed indefinito dei segni di interpunzione, proprio perché lascia aperti, dopo di sé, gli spazi infiniti dell’immaginazione.

[6] SI, p. 760; non deve trarre in inganno la similarità dell’espressione ungarettiana «immaginazione senza fili» con l’analoga immagine futurista diffusasi chiassosamente proprio negli anni precedenti la prima guerra mondiale.

C’è una profonda differenza tra l’espressione di Ungaretti e la bellicosa «immaginazione senza fili» coniata dai futuristi, anche se, certamente, egli conobbe le provocazioni di quel movimento d’avanguardia e ne rimase in parte affascinato. Nei futuristi l’espressione è frutto della violenta provocazione antiaccademica e antitradizionalista; in Ungaretti, che scrive durante l’esperienza della guerra vissuta nella tragedia delle trincee, aleggia una dolente meditazione sulle antiche e incrinate certezze, sui fili spezzati della ragione.

Ce lo ricorda lo stesso Ungaretti in una conferenza del 1924: «La differenza tra le mie ricerche di allora e quelle dei seguaci di Marinetti consisteva in questo, che, mentre, come nelle poesie del primo gruppo, fedele a Leopardi, non usavo la parola che quando avesse raggiunto una pienezza di contenuto morale, i futuristi non chiedevano alla parola che una impressionabilità fisica. » (ibidem, p. 298).

«Mi gettai su Mallarmé, lo lessi con passione ed, è probabile, alla lettera non lo dovevo capire, ma conta poco capire alla lettera la poesia: la sentivo. Mi seduceva con la musica delle sue parole, con il segreto, quel segreto che mi è tutt’oggi segreto. » (cfr. Album Ungaretti, cit., p. 28).

[7] SI, p. 74.

[8] L. Rebay, cit., p. 65.

[9]Confesserà: "Mi gettai su Mallarmé, lo lessi con passione ed, è probabile, alla lettera non lo dovevo capire, ma conta poco capire alla lettera la poesia: la sentivo. Mi seduceva con la musica delle sue parole, con il segreto, quel segreto che mi è tutt'oggi segreto. " (cfr. Album Ungaretti, cit., p. 28).

[10] Ricordiamo che il titolo del primo libro di poesie, che poi confluirà nell’Allegria, è proprio Il Porto Sepolto, pubblicato nel dicembre del 1916.

[11] P, p. 23.

[12] Dalla Lettera a Paul Demeny, del 15 maggio 1871; rileggiamone, in traduzione italiana, le parti piú significative: «Dico che bisogna essere veggente, farsi veggente. Il Poeta si fa veggente mediante un lungo, immenso e ragionato sregolarsi di tutti i sensi. Tutte le forme d'amore, di sofferenza, di follia; cerca egli stesso, esaurisce in sé stesso tutti i veleni, per conservarne soltanto le quintessenze. . . . giunge all'ignoto! Avendo coltivato la propria anima, già ricca, piú di ogni altro! Giunge all'ignoto, e anche se, smarrito, finisse col perdere l'intelligenza delle proprie visioni, le avrebbe viste! » (A. Rimbaud, Opere, a cura di Diana Grange Fiori, Mondadori, Milano 1975, p. 454).

[13] Ce lo spiega lo stesso Ungaretti: «Questo titolo si legava anche al titolo del primo libretto che comprendeva il Porto Sepolto. In una baia di Alessandria fu scoperto dall’ingegner Jondet, sprofondato nelle acque, un antico porto, il primitivo porto di Alessandria: porto sepolto dunque. E poi, la ragione per cui questo porto sia diventato il simbolo della mia poesia è facile spiegarlo. C’è in noi un segreto, il poeta ci si tuffa, arriva in porto scoprendo questo segreto, dunque arriva a dare quel poco che un uomo può dare di consolazione alla sua anima. » (SI, p. 817; cfr. anche Album Ungaretti, cit., p. 40).

[14] Rebay, cit., pp. 67-68; cfr. anche il meticoloso e suggestivo commento di C. Ossola (G. Ungaretti, Il Porto sepolto, a cura di C. Ossola, cit., pp. 19-31).

[15] Rebay, cit., pp. 69-70.

[16] P, p. 58.

[17] ibidem, p. 5.

[18] ibidem, p. 517.

[19] SI, p. 820.

[20] Datata Cima Quattro il 23 dicembre 1915 (cfr. P, p.25)

[21] Il complemento di tempo, isolato nel primo verso, dilata verso una condizione di attonito e irreale sbigottimento l’immagine terribile di morte che ci apparirà nei versi successivi.

[22] Si può tentare una spiegazione prosastica, che però disperde tutta la bellezza e la icastica intensità delle immagini, e della loro pausata successione: per tutta la notte sono rimasto immobile, stordito e silenzioso, accanto ad un compagno morto, il cui corpo giace riverso e abbandonato nella trincea (buttato rende con molta efficacia l’idea che l’uomo sia ormai diventato come una cosa inutile, gettata in un angolo ); e il suo volto, supino, mantiene ancora lo spasimo terribile dell’attimo in cui è stato ferito a morte.

[23] Fortissimo è il contrasto fra l’orribile smorfia di dolore impressa sul volto del cadavere che giace in trincea, e che è rivolto, per tragica ironia della sorte, alla silenziosa, imperturbabile serenità del plenilunio.

[24] con la congestione / delle sue mani...: il gesto congestionato, spasmodico delle sue mani che hanno tentato di aggrapparsi a qualcuno, o qualcosa, per mantenersi disperatamente in vita, è rimasto fissato nella mia mente, ed è penetrato in profondo nel mio attonito silenzio.

[25] Ecco finalmente la proposizione principale di questa prima strofa: ho scritto / lettere piene d’amore: cioè parole di amore verso la vita, proprio nel momento in cui ero a cosí terribile e stretto contatto con la morte.

[26] Quest’avverbio, che forma da solo il v. 15, porta con sé un’intensa forza semantica; può essere tradotto con «tanto intensamente, tanto profondamente».

[27] P.,pp.43-45
[28] Mi tengo, ne sto appoggiato a quest’albero mutilato (i cui rami sono spezzati consumati dalla guerra) e abbandonato; quest’ultimo aggettivo si riferisce sia al poeta che all’albero, e genera l’ambiguità semantica di questi primi versi.

[29] La dolina è una depressione una cavità di differenti dimensioni, tipica del paesaggio carsico.

[30] Languida e malinconica solitudine.

[31] È un momento di quiete, di raccoglimento e di riposo, dentro la tragedia della guerra; da qui parte l’occasione di rievocare i fiumi della propria vita, a partire dalle acque dell’Isonzo, intorno al quale si sono combattute le piú aspre battaglie della prima guerra mondiale.

[32] Polla d’acqua, formata da un’ansa del fiume che ha roso il terreno carsico; la parola urna evoca la sacralità di quel momento di pace; egli si sente infatti come una reliquia, una cosa sacra e preziosa.

[33] Le movenze da acrobata traducono il momento di improvvisa felicità di quegli attimi.

[34] Annota Ungaretti: «La preghiera islamica è accompagnata da molti inchini come se l’orante accoglies È il desiderio ardente di vita e di infinito che la suggestione del vicino deserto provocava nel giovane Ungaretti, ancora acerbo ed inconsapevole.

[35] Con il pronome dimostrativo questo inizia l’enumerazione dei luoghi simbolici della sua vita; pronome ripetuto nei vv.45, 47, 52, 57, 61, 63.

[36] Annota Ungaretti: «Sono le mani eterne che foggiano assidue il destino di ogni essere vivente.» (SI,p.524)

[37]È il desiderio ardente di vita e di infinito che la suggestione del vicino deserto provocava nel giovane Ungaretti, ancora acerbo ed inconsapevole.

[38] Ungaretti annota: "È Parigi che incomincia a darmi, prima di quella piú compiuta che mi darà la guerra, piú chiara conoscenza di me stesso…" (SI, p.524)

[39] Intesa nella sua pregnanza etimologica: dal greco nostos = ritorno e algos = dolore; ovvero senso di malinconico dolore che pervade l’animo nel ritornare al passato, e nell’accorgersi che esso è definitivamente perduto.

[40] Questo è l’Isonzo (v.27); Questi sono / i miei fiumi (vv.45-46); Questo è il Serchio (v.47); Questo è il Nilo (v.52); Questa è la Senna (v.57); Questi sono i miei fiumi (v.61); Questa è la mia nostalgia (v.63).

[41] P, p. 6.

[42] Chiaroscuro, P, p. 15.

[43] È la poesia che apre la sezione Naufragi, che porta il medesimo titolo della raccolta (cfr. P, p. 61).

[44] P, p. 54.

[45] P, p. 73.

[46] P, p. 97; appare qui per la prima volta l’endecasillabo, preludio alle successive raccolte.

[47] A. Hauser, Il Manierismo, Torino, Einaudi 1965, p. 268.

[48] P, pp. 619-620.

[49] P, p. 39.

[50] P, p. 658.

[51] P, p. 87.

[52] C. Ossola, G. Ungaretti, cit., p. 242.

[53] Vanno escluse da questo rilievo statistico quattro poesie (inserite in un gruppo di sette) che fanno parte dell’ultima sezione della raccolta, intitolata Prime (Parigi - Milano 1919), che hanno la caratteristica delle prose liriche, spaziate e contrassegnate anche dalla tradizionale punteggiatura. Esse chiudono in modo significativo la prima raccolta di poesie, anticipando lo stile delle raccolte successive, a cominciare dal Sentimento del tempo, nel quale riappaiono anche le forme metriche tradizionali. Dunque in tutta L’Allegria appare, soltanto sei volte, il punto interrogativo; e sempre dopo parole-simbolo particolarmente significative. come nella poesia Dannazione, v. 3 (Perché bramo Dio?); o Risvegli, v. 18 (Ma Dio cos’è?); Destino, v. 4 (perché ci lamentiamo noi?); Fratelli, v. 2 (fratelli?); Giugno, v. 6 (questa notte?); e nel titolo della poesia Perché?

[54] Vi è, anche in questo caso, qualche eccezione; si tratta della brevissima poesia Mattina divenuta famosa per la sua brevità: «M’illumino / d’immenso» (P, p. 65); è interessante ricordare che il titolo originale era Cielo e mare, che lasciava intuire la situazione con piú statico e simmetrico descrittivismo ). La poesia è composta da due trisillabi, il primo sdrucciolo e il secondo piano, che ritmano e danno equilibrio allo stupore felice di un momento sereno e luminoso. Si veda anche Inizio di sera (P, p. 67) composta da quattro senari sciolti; Preghiera (P, p. 97) in cui riappare l’endecasillabo e il settenario, versi della tradizione leopardiana; commenta lo stesso Ungaretti: «L’endecasillabo c’è già alla fine dell’Allegria. . . L’endecasillabo nasce. . . nel 1919, immediatamente dopo la guerra. » (SI, p. 827).

[55] G. Contini, Ungaretti o dell’Allegria, in Esercizi di lettura, cit., pp. 43-58.

[56] Citato in L. Rebay, cit., p. 62.

[57] G. Contini, Letteratura dell’Italia unita, Firenze, Nuova Accademia, 1968, p. 795.


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