Libro bianco sulla scuola

bullet1 Seconda parte

bullet2 Una strana idea di riforma

Controriforma
Chiara Acciarini


1. Primo atto: indietro tutta

"La stessa sospensione dell'avvio della riforma dei cicli non è stata da noi voluta per bloccare il processo riformatore. Al contrario, proprio da questo primo atto, abbiamo voluto dimostrare che le riforme si devono fare coinvolgendo gli attori principali del processo e, quindi, studenti, famiglie, insegnanti".

Il ministro Brichetto Moratti ha così giustificato la scelta di non dare corso alla riforma della scuola, attesa da molti anni, oggetto di una legge votata dal Parlamento e pienamente in vigore. La “politica dell’ascolto”, ripetutamente invocata, era in realtà un vero e proprio alibi per non compiere gli atti che spettano al governo in carica: dare attuazione alle leggi dello Stato.

Sarà opportuno ricordare che al 1° settembre 2001 la Legge 30 sul riordino dei cicli, approvata dal Parlamento il 10 febbraio 2000, era già in fase di attuazione, poiché il ministro De Mauro aveva presentato alle Camere il programma pluriennale di progressiva attuazione della riforma, previsto dall'art. 6 della legge e il 10 maggio 2001 era stato emanato dal Consiglio dei ministri il regolamento relativo ai curricoli della scuola di base. All’inizio dell'anno scolastico 2001-02, perciò, la scuola italiana aveva tutti i presupposti formali e sostanziali per iniziare un percorso di riforma. La procedura in corso presso la Corte dei conti richiedeva solamente che il Governo compisse gli atti dovuti. Il ministro ha invece sospeso tutto e ha insediato una commissione di lavoro per studiare un nuovo progetto di riforma.

Alcune importanti novità che avrebbero potuto caratterizzare la scuola italiana sono state così, con molta leggerezza, accantonate:

•  l’insegnamento della lingua straniera e dell’educazione musicale sin dalla prima classe della scuola di base;

•  alcune importanti novità curricolari in campo matematico e scientifico;

•  la ristrutturazione dell’ultimo anno dell’obbligo scolastico.

Per questo, il 1° settembre 2002 la scuola italiana inizierà il secondo anno senza riforma.


2. La farsa degli Stati generali

Oggi al posto del percorso di avvio di un piano di riforme democraticamente discusso e votato c’è una proposta di legge delega, che sottrae anche al Parlamento la discussione dei nodi cruciali della riforma. La consultazione dei docenti, dei genitori e degli studenti non c’è stata: si è organizzata l’artificiosa operazione degli Stati generali, per presentare il documento formulato dalla Commissione Bertagna, ma in realtà si sono volute ignorare tutte le voci discordanti (ed erano tante) che salivano dal Paese.

Agli Stati generali il ministro, dopo aver mielosamente sostenuto che questo incontro era “un’altra tappa del percorso che abbiamo iniziato, tutti assieme, nel luglio scorso e che proseguiremo fino a quando, ancora una volta insieme, non avremo concordato il modo più giusto per migliorare la scuola”, è giunta a negare la parola a molti rappresentanti delle Consulte studentesche, che sono stati forzatamente allontanati dall’aula in cui si svolgevano i lavori.

Il ministro Moratti ha, poco dopo, fatto ciò che in realtà voleva fare sin dall’inizio: ha presentato la sua proposta di legge, destinata - parola di Berlusconi - a garantirle un posto nella storia italiana, accanto a Gentile. In realtà all’interno del Consiglio dei ministri non sono mancati i contrasti ed è subito stato evidente che non venivano individuate le risorse necessarie a dare un minimo di attendibilità alle roboanti dichiarazioni sulla “svolta storica” per la scuola. Dopo la bocciatura di un primo testo, il governo ha poi raggiunto un accordo su una proposta di legge delega, con molti punti oscuri e scarsi finanziamenti.


3. I nodi del contendere

Tuttavia, anche se i punti più delicati sono mascherati sotto un insieme di frasi evasive e di rinvii, non è difficile individuare il disegno del governo. Ci proponiamo di tracciarne qui i caratteri essenziali scorrendo i sette articoli di cui è composto il disegno di legge:

Art.1

• Contiene il principio della delega: il governo potrà emanare decreti aventi forza di legge. In sostanza, la funzione legislativa è, su questa delicata materia, attribuita al governo, che ha tempo 24 mesi per esercitarla. Un tempo abbastanza lungo, a cui si aggiungono altri 18 mesi per interventi correttivi. È indicato anche un non ben definito piano programmatico di interventi finanziari.

Art.2

• È forse l’articolo più significativo della delega: sono indicati alcuni principi di carattere generale a cui si devono uniformare i decreti delegati.

C’è, in primo luogo, una pericolosa confusione fra obbligo scolastico e obbligo formativo: di fatto il primo scompare ed è sostituito dal “diritto all'istruzione” per dodici anni, al quale si prevede, però, di dare una graduale attuazione attraverso i successivi decreti. Pertanto, l’obbligo scolastico è garantito solo dalla previsione costituzionale, che prevede un minimo di otto anni.

La nuova articolazione del sistema di istruzione e formazione è così delineata:

•  Primo ciclo: scuola dell’infanzia, per la quale è prevista l'iscrizione anticipata a due anni e quattro mesi (poiché possono iscriversi le bambine e i bambini che compiono tre anni entro il 30 aprile dell’anno scolastico di riferimento);

•  scuola elementare di cinque anni, composta di un primo anno, teso al raggiungimento delle strumentalità di base, e in due periodi didattici biennali; si possono iscrivere al primo anno i bambini e le bambine di cinque anni e quattro mesi (poiché si permette l’iscrizione dei bambini che compiono i sei anni entro il 30 aprile dell’anno scolastico di riferimento);

•  scuola media di tre anni, composta di un biennio e di un terzo anno che, tra l’altro, deve assicurare l’orientamento e il raccordo con il secondo ciclo.

Si nota subito che, pur nella comune cornice del ciclo, le due strutture scolastiche - scuola elementare e scuola media - sono nettamente distinte; manca, infatti, il raccordo, che pure era richiesto dalla stessa Commissione Bertagna fra quinta elementare e prima media. È molto discussa l’ipotesi del cosiddetto “anticipo”, che stravolge l’attuale scuola dell’infanzia, universalmente ritenuta un aspetto assai positivo del nostro sistema scolastico. Non solo, ma sembra che non siano stati correttamente valutati i costi per allestire le situazioni educative necessarie per i bambini di due anni e quattro mesi inseriti nella scuola dell’infanzia, dove il rapporto insegnante-alunno è assai diverso da quello dell’asilo nido (2 docenti per gruppi di bambini fino a 28 nel primo caso, contro il rapporto 1:6, 1:7, 1:8 nel secondo).

•  Secondo ciclo: sistema dei licei, di durata quinquennale. Per i licei sono previsti otto differenti tipi di specializzazione e vari indirizzi, e sono articolati in due bienni e in un anno terminale;

•  sistema dell’istruzione e delle formazione professionale, di durata quadriennale; in seguito alla frequenza di un corso annuale si può sostenere l’esame di stato per accedere all'università.

Anche se si sostiene la possibilità di “passerelle” fra un sistema e l’altro, risulta chiara la canalizzazione dei percorsi formativi, basata su una precoce divisione, che può coincidere anche con l’età di tredici anni e quattro mesi, fra coloro che sono destinati a proseguire gli studi e coloro che devono inserirsi nel mondo del lavoro. Si rinuncia al principio che ispira Legge 30: fornire una solida cultura di base a tutti i cittadini e prevedere l’espletamento dell’obbligo scolastico soltanto all’interno del sistema di istruzione. Inoltre regna la più totale incertezza sulla collocazione degli attuali istituti tecnici e professionali, che, tra l’altro, dai discorsi del ministro emergono, talvolta, come un unico insieme dalle caratteristiche indefinite.

I piani di studio sostituiscono i curricoli previsti dal regolamento sull’autonomia, tra l’altro mai richiamato nella proposta, e, forse, non è casuale. Essi sono infatti divisi in un nucleo nazionale e in una quota riservata alle Regioni. Si delinea così un ‘centralismo regionale’, che sembra azzerare la quota che è oggi riservata all’autonoma scelta delle scuole.

Art.13

• È prevista la valutazione degli apprendimenti e della qualità del sistema di istruzione e di formazione.

La valutazione periodica e finale degli apprendimenti e del comportamento degli allievi è affidata ai docenti delle scuole e dei corsi di formazione professionale; ricompare la valutazione della “condotta”: e, sul gradimento di questa scelta, il ministro sbandiera un sondaggio. Si prevede, poi, una trasformazione delle funzioni dell’Istituto nazionale per la valutazione del sistema di istruzione. Infine, si ipotizzano ulteriori modifiche all’esame di stato conclusivo dei cicli di istruzione, prospettando la somministrazione di prove predisposte e gestite dall'Istituto nazionale.

Art.14

• Si occupa dell’alternanza scuola-lavoro. I percorsi in alternanza sono realizzati nell’ambito dei corsi del secondo ciclo, per gli studenti che hanno compiuto il quindicesimo anno di età. Sembrerebbe riferirsi essenzialmente a coloro che sono inseriti nei corsi di formazione professionale, poiché si parla esplicitamente di “competenze spendibili sul mercato del lavoro”. È ben diversa dall’ipotesi della Legge 30, che all’art. 4 prevedeva negli ultimi tre anni della secondaria “esercitazioni pratiche, esperienze formative e stages... realizzati in Italia e all’estero con brevi periodi di inserimento nelle realtà culturali, produttive, professionali e dei servizi”. Inoltre l’obbligo formativo, previsto dai quindici ai diciotto anni, poteva essere svolto nell’ambito di una vero e proprio contratto di apprendistato, con retribuzione e diritti sindacali. Nell’ipotesi dell’attuale governo si costruisce una nebulosa figura di “lavoratore studente”, non retribuito e non tutelato.

Art.15

• Riguarda la formazione degli insegnanti: è prevista una formazione iniziale uguale per tutti i docenti, realizzata attraverso una laurea specialistica, seguita da attività di tirocinio. Non sono chiare le caratteristiche di questa laurea specialistica e soprattutto non è chiaro in che modo avverrà il collegamento con le esperienze formative delle Scuole di specializzazione per l’insegnamento secondario. L’esame finale ha valore abilitante e perde il valore concorsuale che ha attualmente.

Art.16

• Prevede le norme di salvaguardia per le Regioni a statuto speciale e per le province autonome.

Art.17

• Si riuniscono in questo articolo previsioni normative assai eterogenee: dalle previsione di alcuni regolamenti alla modesta copertura finanziaria. Di particolare rilievo sono le norme che prevedono l'attuazione della legge “a partire dall'anno scolastico 2002-2003”. Assai discussa è l’ipotesi di consentire l’iscrizione prima dei tre e dei sei anni, rispettivamente alla scuola dell’infanzia e alla scuola elementare, per i bambini e le bambine che compiono gli anni entro il 28 febbraio del 2003. Ciò che desta maggiore preoccupazione è il fatto che l’esercizio di un diritto sia collegato “alle disponibilità dei posti e alle risorse finanziarie dei comuni”, creando disparità fra i cittadini di uno stesso paese e una probabile forte conflittualità nei confronti dei comuni, che d'altronde devono agire “nel rispetto dei limiti posti alla finanza comunale dal patto di stabilità”.


4. I nostri no

Il testo ha generato, come si è già detto e si dirà ancora, molte valutazioni negative. In sintesi si possono così sintetizzare i nodi cruciali, a cui corrispondono altrettanti fermi ‘no’ da parte dell'opposizione:

NO alla legge delega, che sottrae al dibattito parlamentare la discussione degli aspetti più importanti della riforma;

NO all'anticipo dell’ingresso nella scuola dell’infanzia e nella scuola elementare, soprattutto se compiuto in modo improvvisato, senza adeguate risorse finanziarie, scaricando sui comuni il peso di un cambiamento estremamente significativo nell'organizzazione degli studi;

NO alla “ridefinizione” dell’obbligo scolastico e dell’obbligo formativo, compiuta dal governo senza chiarezza degli obiettivi e certezza delle risorse finanziarie disponibili;

NO alla scelta precoce delle ragazze e dei ragazzi fra due “canali” degli studi, che separano rigidamente i percorsi di coloro che sono destinati ai più alti gradi dell’istruzione e di coloro che sono destinati all'inserimento immediato nel mercato del lavoro;

NO alla quota regionale dei piani di studio, che rischia di contrapporsi alla possibilità, riconosciuta alle singole scuole dalle norme sull’autonomia, di definire una parte significativa del proprio curricolo.


5. Un’idea democratica di scuola

A questa ferma opposizione si accompagna la riaffermazione dei caratteri fondamentali di una scuola rinnovata e democratica, basata:

•  sulla generalizzazione della scuola dell’infanzia, rispettata nell’attuale modello pedagogico ed educativo, per tutti i bambini e le bambine dai tre ai sei anni;

•  sulla continuità curricolare della scuola di base e sulla valorizzazione dell’esperienza degli istituti comprensivi, in cui già oggi si collegano scuola dell'infanzia, scuola elementare e scuola media;

•  sull’affermazione dell’obbligo scolastico e dell’obbligo formativo;

•  sulla realizzazione dell’obbligo scolastico nei primi due anni della scuola superiore, per assicurare a tutti la qualità e quantità di formazione culturale di base necessaria per raggiungere il successo formativo e per ‘tornare in formazione’ durante tutto l’arco della vita;

•  sull’intreccio tra i sistemi di istruzione e formazione,

•  sulla valorizzazione dell’autonomia delle istituzioni scolastiche.


    Il libro bianco sulla scuola dal sito http://www.aprileperlasinistra.it