18. LA BATTAGLIA DI CEFALONIA 18.1. Baia di Argostoli, 15 settembre La divisione Acqui si prepara a combattere. Gandin stima a circa 3.000 il numero dei soldati tedeschi presenti sull'isola. Gli obiettivi principali sono l'eliminazione del Gruppo Fault dalla zona di Argostoli e l'occupazione delle posizioni appena abbandonate a Kardakata e ad Ankona, in modo da rinchiudere i tedeschi nella penisola di Paliki. L'iniziativa, però, è presa dai tedeschi, anche se in questa prima fase il successo sembra arridere agli italiani. Alle 11.45 del 15 settembre c'è la prima avvisaglia dello scontro. Una batteria contraerea del capitano Arpaia, seguita da una batteria di marina, aprono il fuoco contro alcuni idrovolanti tedeschi che cercano di sbarcare truppe nella zona di Lixuri. Gli idrovolanti tornano indietro. Alle 14.35 inizia l'attacco aereo tedesco: alcune decine di cacciabombardieri Ju 87 bombardano e mitragliano i reparti di fanteria e di artiglieria collocati sui rilievi che circondano il porto di Argostoli, altri nove aerei concentrano l'attacco sulla strada costiera. Due sono i settori coinvolti nell'attacco terrestre, il monte Telegrapho, dove interviene il Gruppo Tattico Fault, appoggiato dalla batteria semovente; la zona di Razata, ad est del capoluogo, dove l'attacco è condotto dal 910° battaglione rinforzato del maggiore Nennstiel. Sul monte Telegrapho sono dislocati due battaglioni del 17° reggimento fanteria, il secondo del maggiore Altavilla e il terzo del tenente colonnello Maltese. Nella zona di Razata l'offensiva è affrontata da due battaglioni del 317° reggimento fanteria, il secondo del maggiore Fannucchi, il terzo del tenente colonnello Siervo. Attorno ad Argostoli sono disposte 14 batterie di artiglieria, di cui due di marina, che garantiscono un consistente contributo di fuoco per la difesa delle postazioni italiane. Altri reparti minori sono coinvolti nella battaglia. Alle ore 23.00, dopo combattimenti durissimi e sanguinosi, l'attacco tedesco si conclude con una disfatta. Sul monte Telegrapho, i tedeschi del Gruppo Fault che non sono caduti in combattimento, circa 450 uomini, si arrendono; a Razata, anche grazie a un contrattacco notturno compiuto dalla compagnia del capitano Pantano, il battaglione tedesco è costretto a ritirarsi verso nord con pesanti perdite. Sette cacciabombardieri tedeschi sono stati abbattuti dalla contraerea. Poco prima della fine degli scontri, verso le 22.00, un mezzo da sbarco che si sta avvicinando al capoluogo viene inquadrato dai riflettori e affondato dall'artiglieria italiana: ben 139 soldati tedeschi risultano dispersi. Barge è costretto a comunicare lo smacco al generale Lanz; la situazione appare molto critica per i tedeschi, attestati sull'estrema punta settentrionale del golfo di Livadi con quello che resta del 910° battaglione, mentre la penisola di Lixuri è difesa solo dal 966° reggimento di Barge. Ma il comando italiano non approfitta della momentanea supremazia. Con la notte sospende l'inseguimento dei reparti tedeschi in fuga. Per quasi 40 ore gli italiani restano fermi dando il tempo a Lanz di riorganizzare il suo dispositivo. Il mattino successivo Barge comunica al comando di corpo d'armata che: "Il nemico ha continuato nel corso della notte sul 16 settembre i suoi attacchi al 910° battaglione con un forte supporto di artiglieria. Le nostre forze non sono sufficienti per produrre un attacco che dia garanzia di successo. Il proseguimento dell'attacco sarà possibile solo dopo che saranno affluite forze fresche". Dal generale d'armata Löhr si fa pressione sul generale Lanz perché siano assunte tutte le contromisure per fronteggiare la situazione: si chiede se Gandin è a conoscenza dell'ordine del Comando supremo delle forze armate tedesche che "gli ufficiali italiani responsabili della resistenza sarebbero stati fucilati come franchi tiratori". Lanz, che il 13 aveva parlato direttamente con Gandin, conferma di non aver lasciato dubbi in proposito. In realtà nell'ordine scritto consegnato a Gandin non si fa cenno a questa eventualità. Comunque Löhr riconferma la decisione di fucilare i responsabili della resistenza, a prescindere dall'aspetto formale. Per quanto riguarda la resa del Gruppo Tattico Fault, il Comando di corpo d'armata decide di avviare un procedimento davanti al tribunale militare. Quando i tedeschi saranno liberati, nella zona di Troianata, il 22 settembre, Fault sarà immediatamente processato, degradato e condannato a cinque anni di carcere. Cefalonia, dopo questo smacco, viene considerata "centro di gravità delle operazioni" del corpo di armata; Lanz chiede l'intervento di tutti i cacciabombardieri disponibili, mentre sulla costa greca, a Prevesa e ad Astakos, si concentrano i mezzi navali necessari per sbarcare sull'isola i rinforzi: due battaglioni e un gruppo di artiglieria della 1^ divisione da montagna Edelweiss, composta prevalentemente da truppe austriache, un battaglione della 104^ divisione Cacciatori. Alle 6.00 del giorno 16 sbarca a Cefalonia il maggiore Hirschfeld, che assume il comando delle operazioni sull'isola, in sostituzione di Barge, che rimane responsabile solo del controllo della penisola di Paliki. Lo sbarco di queste truppe di rinforzo avviene tra le 17.40 del 16 e le ore 0.45 del 20 settembre nella baia di Aghia Kiriaky e in quella di Myrthos, rimaste sotto il controllo tedesco col ritiro dei reparti italiani dalle alture di Kardakata ordinato da Gandin il 12 settembre. Una decisione avventata, che ora comincia a rivelare tutta la sua gravità. La prima decisione di Hirschfeld è quella di costituire una testa di ponte prima dell'istmo, presso Kardakata, in modo da rompere l'isolamento in cui si trovano le truppe attestate nella zona di Lixuri, nella penisola di fronte ad Argostoli. 18.2. La battaglia di Kardakata, 16-17-18 settembre In questa situazione, il comando italiano, cosciente nella nuova situazione tattica, decide di impegnare le migliori forze a disposizione per la riconquista del nodo stradale di Kardakata, che permette i collegamenti con la penisola di Paliki, base della presenza tedesca sull'Isola, con la baia di Aghia Kiriaky, sulla costa settentrionale, dove continuano a sbarcare i rinforzi nemici, con la zona orientale di Cefalonia, dove sono la penisola di Erisos e l'importante porto di Sami, nella baia di Aghia Eyphimia, di fronte all'isola di Itaca. L'attacco viene condotto in un'area montagnosa nella zona compresa tra le località di Pharsa e Divarata, con l'obiettivo di accerchiare le truppe tedesche, dal primo battaglione del 317° reggimento fanteria, al comando del capitano Neri, col concorso di una compagnia cannoni del 17° reggimento fanteria, che hanno il compito di prendere Kardakata; dal secondo battaglione del 317°, al comando del maggiore Fanucchi e, successivamente, dal terzo battaglione del 317°, comandato dal tenente colonnello Siervo, col compito di dirigersi verso Kutsuli, coprendo così il fianco est dell'attacco; dal primo battaglione del 17° reggimento fanteria del tenente colonnello Dara, appoggiato da sette batterie del 33° reggimento artiglieria, che ha il compito di occupare le località di Pharsa e Kuruklata. La difesa tedesca si avvale del 910° battaglione, ovvero di un reparto del vecchio contingente di Cefalonia, e del terzo battaglione del 98° reggimento da montagna del maggiore Klebe, giunto di rinforzo, oltre a una sezione di semoventi. Di nuovo risulta decisivo il predominio dello spazio aereo: il giorno 16 intervengono 79 Ju 87, 20 Ju 88 e due He 111, che colpiscono il capoluogo, la costa orientale del golfo di Argostoli, l'insenatura di Livadi; altri aerei si occupano di rifornire le truppe tedesche nella zona di Lixuri, mentre i voli di ricognizione continuano su tutta l'isola. Nei giorni successivi le missioni continuano un po' su tutta l'isola, mentre vengono lanciati sui centri abitati circa 100.000 volantini che invitano gli italiani alla resa. Nonostante alcuni parziali successi italiani, la conquista di Pharsa e Kuruklata, a prezzo di gravi perdite e di molteplici episodi di eroismo di ufficiali, sottufficiali e soldati, la battaglia si conclude con un fallimento complessivo dell'offensiva e con la tragica disfatta del primo battaglione del 317° reggimento, bloccato sul ponte Kimoniko, danneggiato in precedenza dai tedeschi, che è sorpreso all'alba del 17 settembre, poco prima dell'attacco, in un terreno privo di difesa, dai cacciabombardieri tedeschi. Costretto a ripiegare verso Divarata da un contrattacco di due compagnie dipendenti dal maggiore Klebe, nonostante l'azione dei capitani Gasco, dei carabinieri, e Olivieri, che riescono a riorganizzare provvisoriamente una linea di resistenza, i reparti superstiti del battaglione sono sterminati nel corso di combattimenti che si protraggono dalle 6.00 alle 10.30 del 18 settembre. Rimangono sul terreno 37 ufficiali e 400 soldati italiani, ma non tutti sono caduti nello scontro a fuoco, molti sopravvissuti devono essere stati eliminati al termine dello scontro a fuoco, come si evince dal rapporto del tenente colonnello Salminger: "Tutti gli italiani furono uccisi in combattimento, salvo coloro che erano ancora necessari come portatori di munizioni"! Contemporaneamente il maggiore inizia il rastrellamento dei reparti italiani isolati e poco numerosi dispersi nella parte nord-orientale dell'isola, verso Phiskardo e Assos. La notte tra il 18 e il 19 passa senza combattimenti, come anche il giorno seguente. Senza aviazione, comunque, la sorte della Acqui è segnata. Alle pressanti richieste di aiuto di Gandin, il Comando supremo risponde: "Impossibilità invio aiuti richiesti alt Infliggere nemico più gravi perdite possibili alt Ogni vostro sacrificio sarà ricompensato alt Ambrosio". In realtà a Brindisi non ci si rende conto della drammaticità della situazione nelle isole; il 19 settembre, ad esempio, si propone ai comandi alleati: "di soccorrere il presidio oppure di prevedere impegno del naviglio per sgomberare, a suo tempo, le nostre truppe"; ancora il 21 dall'Italia arriva ai comandi della Acqui l'autorizzazione a inviare proposte a mezzo radio "per premiare tempestivamente atti di valore"! Un tentativo di correre in aiuto della divisione è fatto dall'ammiraglio Galati, che invia due cacciatorpediniere in soccorso, anche se senza copertura aerea le navi non avrebbero resistito agli attacchi dei caccia tedeschi, comunque la Marina alleata ne ordina il rientro. Due torpediniere inviate in soccorso a Corfù sono invece affondate dagli Stukas. Nel corso della battaglia i tedeschi hanno perduto, secondo i dati di Apollonio, 274 uomini e quattro aerei, ma il maggiore Hirschfeld mantiene saldamente il controllo del nodo di Kardakata, da cui, appena avesse ricevuto tutte le truppe di rinforzo, avrebbe dovuto lanciare l'attacco finale contro i concentramenti italiani, a settentrione, nel settore di Marketata, e a sud, verso Argostoli. Il 19 e il 20 settembre il generale Lanz è in visita a Cefalonia, dove si rende conto della disposizione e della consistenza delle forze. Quelle tedesche non sono ancora pronte e bisogna evitare di ripetere lo smacco di qualche giorno prima. L'offensiva è fissata per il 21 settembre. Hirschfeld ha a disposizione il 910° battaglione da fortezza, il primo battaglione del 724° reggimento cacciatori, il terzo battaglione del 98° reggimento cacciatori da montagna, il 54° battaglione cacciatori da montagna, due batterie di obici e una sezione di cannoni da montagna. Il 18 settembre, intanto, per decisione di Hitler, giunge al Comando supremo delle forze armate tedesche e successivamente al Gruppo armate E e al generale Löhr l'ordine di "non fare prigionieri fra gli italiani [a Cefalonia] a causa del comportamento improntato al tradimento ed alla perfidia tenuto dal presidio dell'isola". Altri ordini di servizio dello stesso tenore giungono entro il giorno successivo. Di queste disposizioni le truppe tedesche impegnate nelle operazioni a Cefalonia sono ampiamente coscienti, essendo stati invitati dallo stesso Löhr a procedere "senza farsi alcuno scrupolo". 18.3. La battaglia di capo Munta (Skala), 17-18-19 settembre E' in questo contesto che il Comando di divisione assume una decisione che risulta, nell'economia complessiva della battaglia, inspiegabile. L'attacco ad una postazione tedesca in via di allestimento sull'estrema punta meridionale di Cefalonia, a capo Munta, a circa sessanta chilometri dalla zona delle operazioni principali. Un'iniziativa che anche in caso di rapido successo non avrebbe avuto alcuna ripercussione sul teatro di guerra del golfo di Argostoli. A capo Munta vi sono circa 120 artiglieri di Marina al comando del tenente Rademaker, con due mitragliere e sei mortai. Le fortificazioni campali della postazione anche se non sono complete sono ben organizzate, vi sono ben tre linee di reticolati. Gli italiani spostano nel settore meridionale due compagnie del 17° reggimento fanteria, quelle del capitano Bianchi e del capitano Balbi; il comando dell'operazione è assunto dal maggiore Altavilla; sono aggregati anche quattro plotoni mortai, due di mitraglieri e due cannoni. Le operazioni iniziano alle 23.00 del giorno 18, con l'occupazione di basi avanzate nella zona di Skala; c'è un po' di confusione nel coordinamento tra i vari reparti, la preparazione dell'attacco si rivela insufficiente; quando, alle 2.00 del 19, le due compagnie iniziano l'attacco, i reticolati sono ancora intatti. Vi sono le prime perdite, ma alcune squadre penetrano nel caposaldo; uno dopo l'altro muoiono tutti gli ufficiali della settima compagnia; la risposta tedesca è efficace. All'alba arrivano 9 cacciabombardieri tedeschi che completano l'opera. Il maggiore Altavilla è costretto a sospendere l'azione, abbandonando sul terreno i feriti. I tedeschi non faranno prigionieri, alla fine sono caduti 5 ufficiali e circa 50 soldati. I corpi saranno buttati in mare. Poche ore dopo, la stessa tragica sorte toccherà a 18 soldati provenienti dall'isola di Zacinto per partecipare ai combattimenti su Cefalonia; finiranno proprio a capo Munta e saranno uccisi dallo stesso reparto del tenente Rademaker. 18.4. La battaglia di Dilinata, 21-22 settembre Lo scontro finale avviene nella zona centro-occidentale dell'isola e inizia alle 00.30 del 21 settembre, quando i tedeschi muovono con due colonne lungo la rotabile Drakata-Phalari-Dilinata con l'obiettivo di conquistare Argostoli. Secondo le informazioni tedesche gli italiani hanno la forza di due reggimenti di fanteria, disposti in profondità a sud di Kardakata. Si decide di procedere ad una manovra avvolgente nei confronti dell'intera divisione. In totale le truppe tedesche dovrebbero contare su 3.500-4.000 unità. La prima colonna è costituita da due battaglioni di fanteria, il 910° del vecchio contingente, che già occupa le posizioni di Kuruklata, e il 1°/724 del maggiore Hartmann, arrivato con le truppe di rinforzo, che si dirige sui monti, dove cattura le salmerie del terzo battaglione del 317° reggimento fanteria, oltre alle cucine. L'altra colonna, denominata Gruppo Tattico Klebe, è costituita da due battaglioni da montagna, il 3°/98 del maggiore Klebe e il 54° del capitano Spindler, sbarcati nei giorni precedenti a Cefalonia, e avanza lungo le propaggini settentrionali del monte Vrochonas verso il Kutsuli, col compito di aggirare le posizioni italiane. In preparazione dell'offensiva, il generale Lanz fa lanciare nuovamente volantini che invitano alla resa, minacciando chi si fosse opposto con le armi. Non vi sono diserzioni tra gli italiani, ma le reazioni sono differenti da reparto a reparto, se in qualche caso aumenta lo spirito combattivo, in molti comincia a crescere "una notevole demoralizzazione", come affermano fonti italiane. In questo contesto fa breccia la propaganda delle ex Camicie Nere e degli ufficiali fascisti che diffondono un pericoloso clima disfattista, scaricando sugli elementi antifascisti e antitedeschi la responsabilità della situazione. I reparti della Acqui si stanno nel frattempo preparando ad un secondo attacco in direzione di Kardakata, previsto per le ore 5.30. L'azione tedesca li sorprende in piena notte e segna la fine della resistenza italiana. Sono pronti per l'attacco italiano: il secondo battaglione del 317° fanteria del maggiore Fanucchi, disposto sulle alture del Kutsuli-Vrochonas; il terzo battaglione del 317° del tenente colonnello Siervo, più la quinta compagnia del 17° fanteria del capitano Ciaiolo, che devono attaccare da est verso Kardakata-Petrikata; il primo battaglione del 17° fanteria del tenente colonnello Dara, disposto in direzione Pharsa-Kuruklata-Kontogurata, che ha l'appoggio di quattro batterie da 105/28. Il 1°/724 tedesco giunge sulla vetta del Daphni, abbandonato da poco dai reparti italiani, che si sono spostati due chilometri a ovest, quindi raggiunge alle spalle il terzo battaglione del 317° reggimento, che non si accorge del pericolo, ha tutto il tempo per disporre mortai e mitragliatrici e, intorno alle 2.00, inizia la strage, che dura non più di mezz'ora. I sopravvissuti si sbandano completamente. Nel frattempo la quinta compagnia del capitano Ciaiolo decide di procedere attaccando i suoi obiettivi: raggiunge Petrikata, quindi entra combattendo in Kardakata. Alla fine dello scontro, i 114 soldati sopravvissuti all'attacco sono costretti alla resa; sono fucilati dai tedeschi lungo il muro di sostegno della rotabile Lixuri-Kardakata-Argostoli, che viene quindi fatto saltare, seppellendo i corpi dei caduti. Il 1°/724, intanto, riprende ad avanzare lungo la dorsale settentrionale del Kutsuli, alle 4.00 ristabilisce i contatti col Gruppo Klebe; insieme si preparano a riprendere l'azione principale convergendo sulle truppe italiane disposte sulle alture del Kutsuli, attaccando i primi frontalmente, i secondi dall'alto. Intervengono anche le batterie del 33° artiglieria, su richiesta dell'osservatorio avanzato divisionale, posto sul monte Vrusca, dove si trovano il generale Gandin, il colonnello Romagnoli, il tenente colonnello Fioretti. Alle prime luci dell'alba l'azione tedesca è sostenuta dai cacciabombardieri, che concentrano il fuoco sulle artiglierie e sui reparti di fanteria. Verso le 8.00 le truppe italiane sono completamente accerchiate, molti ufficiali sono morti, sul terreno vi sono circa 300 soldati e sottufficiali caduti. Il tenente Ferrari, della sesta compagnia, tenta con gli uomini ancora disponibili un ultimo assalto per rompere l'accerchiamento. Distrutta la resistenza dei reparti di fanteria, i tedeschi procedono verso le batterie del 33° artiglieria schierate più in profondità; la quinta, la terza e la prima batteria vengono così una dopo l'altra assaltate e distrutte; gli uomini rimangono ai pezzi fino all'ultimo: 180 sono gli artiglieri caduti a Dilinata. Il capitano Apollonio si salva per caso, perché coperto dai corpi dei suoi soldati, Pampaloni è ferito al collo e viene dato per morto. Il Gruppo Tattico Klebe prosegue la sua avanzata e alle 14.00 raggiunge lo schieramento dei servizi divisionali della Acqui disposti nella zona Frankata-Valsamata-S.Gerasimo; intanto i due battaglioni di fanteria tedeschi, dopo aver travolto la resistenza del primo battaglione del 17° fanteria schierato tra Kuruklata e Pharsa, dove cadono in combattimento 350 soldati italiani, si avvicinano a meno di quattro chilometri dal comando tattico divisionale di Procopata. La sera del 21 i tedeschi sembrano aver raggiunto tutti i loro obiettivi; le truppe italiane sono in rotta verso Argostoli. I tedeschi intercettano i messaggi del generale Gandin che chiede con urgenza l'intervento di truppe aerotrasportate e l'appoggio dell'aviazione; per gli italiani la situazione è critica. La battaglia di Dilinata si conclude con la perdita di 22 ufficiali e di circa 800 soldati e sottufficiali; ma alte sono anche le perdite tedesche: secondo Apollonio 507 uomini e 7 cacciabombardieri. Per lo storico tedesco Gerhard Schreiber, invece, il totale delle perdite tedesche dopo il 16 settembre è di 54 morti, 23 dispersi e 157 feriti, a cui vanno aggiunti i 139 morti del 909° battaglione da fortezza e i cinque delle due motozzattere colpite dall'artiglieria italiana. Secondo la maggior parte delle fonti italiane, il totale dei caduti tedeschi nella battaglia di Cefalonia sarebbe di circa 700 uomini. I bombardamenti massicci su Argostoli e sugli altri villaggi dell'isola provocano anche molte vittime tra i civili, circa 150 secondo fonti greche, mentre almeno 50 membri della resistenza, tra cui alcuni dirigenti locali, sarebbero stati uccisi in varie azioni di guerra. Siamo ormai alle ultime prove di resistenza italiane. Alle 12.00 del 22 settembre i resti del primo e del terzo battaglione del 17° reggimento fanteria, attestati tra Razata e Procopata, sono costretti al silenzio. A Procopata i soldati italiani, che si sono rifugiati in una galleria, sono bruciati vivi con i lanciafiamme. I due battaglioni di fanteria tedeschi si fermano alle porte di Argostoli, mentre il Gruppo Tattico Klebe entra nella cittadina a partire dalle alture circostanti. Un'ultima resistenza, rapidamente soppressa, si ha nel primo pomeriggio, nella sede dei carabinieri di Argostoli, dove si rifugiano alcuni militari italiani. Dopo un breve scontro a fuoco i superstiti che si arrendono sono immediatamente fucilati. Secondo fonti italiane, già alle ore 11.00 del 22 settembre il generale Gandin aveva fatto alzare la bandiera bianca sul quartier generale che aveva spostato a Keramies, presso Metaxata, e verso le 12.00 aveva inviato ad Hirschfeld una delegazione per offrire la resa: "La divisione Acqui è stata dispersa dall'azione degli Stukas. La resistenza è divenuta impossibile. Di conseguenza, al fine di evitare un ulteriore inutile spargimento di sangue, offre la resa". La decisione era stata presa in un ultimo consiglio di guerra convocato nella villa di Valianos, dove si erano riuniti il tenente colonnello Fioretti, dello stato maggiore, il colonnello Romagnoli, per l'artiglieria, il colonnello Ricci, del 317° fanteria, oltre ad altri ufficiali. Nel rapporto di Hirschfeld, invece, si parla di una richiesta giunta solo alle 21.00 dello stesso giorno. Nel Diario di guerra del Comando del XXII corpo d'armata la richiesta di Gandin sarebbe giunta alle 16.00 e lo stesso generale italiano si sarebbe consegnato alle 19.30 ad Argostoli. A sera, alle 22.25, il generale Lanz comunica al Gruppo armate E che la divisione Acqui è stata annientata. Egli chiede di conoscere come comportarsi verso il generale Gandin, il suo stato maggiore "ed i pochi prigionieri". Evidentemente sa che l'ordine di Hitler è stato applicato alla lettera. Solo il 23 egli comunica l'esistenza di circa 5.030 prigionieri tenuti sotto custodia sull'isola. Lanz giunge a Cefalonia la mattina del 23 per rendersi direttamente conto della situazione. Decide di richiedere nuovamente al Comando Gruppo armate E cosa fare con questi prigionieri. La richiesta di chiarimento raggiunge nuovamente il Comando supremo, dov'è il feldmaresciallo Keitel, che chiede direttamente a Hitler: la risposta è che i soldati italiani che avessero disertato a tempo debito sarebbero stati trattati come prigionieri di guerra, questo non valeva per gli ufficiali. Secondo i calcoli del generale Apollonio, le perdite italiane in combattimento nella settimana 15-22 settembre sono di 65 ufficiali e di 1.250 sottufficiali e soldati; secondo altre fonti le perdite complessive sarebbero state di circa 2.000 uomini; nelle esecuzioni sommarie che seguono immediatamente la resa dopo la battaglia sono uccisi altri 155 ufficiali e tra 4.000 e 5.000 sottufficiali e soldati. Le fonti tedesche parlano complessivamente di 4.000 italiani caduti. Alcuni reparti hanno combattuto fino allo stremo, mantenendo intatta la volontà di resistenza; sono quelli dove la discussione e l'attività di propaganda antifascista hanno radicato di più le ragioni della lotta, in genere grazie alla presenza di ufficiali e soldati che avevano già fatto i conti col passato ventennio e con il disastro della "guerra parallela" di Vittorio Emanuele III e di Mussolini: il battaglione di fanteria del maggiore Altavilla, le compagnie di Pietro Bianchi e di Giorgio Balbi, tutte del 17° reggimento, le tre batterie di Pampaloni, Ambrosini e Apollonio, del 33° reggimento. |
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