Andando per masserie...

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Attività del pastore

   La vita del pastore era una sequenza di rituali e consuetudini ineluttabili. Prima del tramonto riportava il gregge in masseria. “Li curti”, recinti in muratura di pietra a secco, o di tufo, erano il punto centrale dello spazio pastorale. 

   Bisognava mungere le pecore. Si facevano passare dal recinto nel quale erano radunate, verso il luogo della mungitura, ad una ad una, attraverso una piccola apertura,si mungevano e si facevano uscire verso un altro spazio.

   Dopo la mungitura è la “mercia” il locale protagonista dell’attività del pastore, che in questo luogo ha struttura e attrezzi per la lavorazione del latte appena munto. Con arte e perizia dalle sue mani il liquido bianco si trasforma in prelibatezze quali morbida ricotta fresca o da conservare, in siero, da mangiare appena caldo, squisito, in “pulusu”, una sorta di formaggio fresco che la nonna conservava nella saliera, in formaggi da mangiare e grattugiare. 

     Quando il formaggio era pronto, veniva conservato in un magazzino detto “casularu”, quasi un forziere nella masseria. Altri utensili erano le  “ quatare”, lu “cacculu”(caccamo) recipiente di rame stagnato dove si metteva a scaldare il latte, le “cucchiare” per rimescolare il latte caldo, la mattra per poggiare la ricotta.
   Particolarmente ricercato (ancora oggi) “lu casu puntu”, abitato da saltellanti vermicelli che facevano scappare da tavola i bambini, tra le risate degli adulti. Gli utensili che il pastore usava, nella loro fattura erano esplicativi dell’ambiente fisico di provenienza, quali per esempio, i giunchi variamente intrecciati per ottenere “li fešchi”, cestelli di diversa misura, di forma cilindrica, per modellare la ricotta e i formaggi, da sistemare poi su assi di legno che il pastore teneva continuamente d’occhio durante il processo della stagionatura. 

La tosatura

   Un’altra attività quasi rituale era la tosatura della lana, che il pastore a volte eseguiva aiutato da mano d’opera ingaggiate fuori, “li circinaturi”, che armati di grosse forbici facevano cadere la lana in mucchi, man mano che “rasavano” le pecore. Curiosa la distinzione tra pecore “gentili”, che danno lana pregiata, e pecore “moscie”, nere, quasi a farsi perdonare per la lana di scarso pregio, fornivano quantità più abbondante di latte.