Verso i nuovi programmi di storia

Ripensare il curricolo verticale di storia guardando alla storia del mondo dal punto di vista dello studente e di ciò che è utile a lui.

di Antonio Brusa*

Abstract
Gli elementi base di un programma di storia
Una riflessione che richiede pacatezza
I "saperi imprescindibili"
Modificare anche i piani di studio universitari
Una "mappa minima" del passato
Riscrivere una nuova storia generale
La storia generale: una volta sola e bene
Possibili obiezioni
Un ipotesi di curricolo verticale

Abstract

Nel dibattito sui nuovi programmi di storia, da più parti si denuncia con enfasi la "scomparsa della memoria, della storia, o dell'identità". Occorre invece ragionare pacatamente, considerando anche le esperienze di altre nazioni, a partire da una prospettiva scientifica rigorosamente didattica. Un programma di storia deve garantire la gestione efficace di due ore di lezione la settimana, nell’ambito delle riforme scolastiche in atto (come flessibilità e autonomia).  Esso richiede un programma di base, un Core curriculum, e una parte di approfondimento. Va superata la tentazione della sintesi estrema e l’ìdea della storia come insieme di specializzazioni. E’ ora di progettare una storia generale nuova. La sua mappa minima si articolerebbe in tre periodi essenziali: prima del Neolitico; fra il Neolitico e la Rivoluzione industriale; dopo la Rivoluzione industriale.  Nella maggior parte degli stati europei la storia generale si insegna una volta sola. Si propone perciò che nei primi due bienni dell’obbligo (e nelle attuali elementari), si lavori sui prerequisiti, sull’ambiente e il vissuto, sui modelli di società; nei cicli intermedi (e nella media attuale) si svolga la storia generale; nel ciclo delle superiori (trienni attuali), si approfondiscano dei temi (3 su una ventina).

          All'approssimarsi della stesura dei nuovi programmi, si intensificano convegni e interventi nel corso dei quali storici e uomini di cultura si alternano nel dire la loro, per spingere il ministro (e i suoi gruppi di lavoro) verso questa o quella direzione. Nel corso di questo dibattito, dai toni a volte molto accesi, una della clausole argomentatorie più ascoltate è quella della "scomparsa della memoria, della storia, o dell'identità".Viene usata indifferentemente da chi sostiene l'insegnamento cronologico della storia, o quello tematico da chi punta tutto sul novecento o sul recupero di peso della storia antica, e minacciata se non si segue - o più spesso, se non si conserva - la modalità di lavoro che viene perorata. Questo è uno dei casi nei quali una modesta competenza didattica aiuta ad evitare figure peregrine Infatti, anche a dare uno sguardo rapido ai comportamenti didattici degli altri Paesi e a conoscere un po' di storia dell'insegnamento della storia, si conclude che non c'e innovazione, modalità di insegnamento e tipo di programma che non siano stati provati in questa o in quella nazione a volte per molti anni: insegnare per temi, problemi, il vicino o il lontano, storia '"dall'alto" o "dal basso", di genere identitaria o mondializzante, della nazione o del mondo.La maggior parte delle proposte per le quali la disputa è stata già provata e - di conseguenza - la maggior parte di esse è stata scartata, senza che per questo motivo noi si abbia notizia che per esempio - in Francia, dove si studia una storia molto contemporanea (si pensi che l'ultimo anno si fa storia dal 1945 a oggi), ci sia stata una perdita improvvisa di memoria storica o che in Germania - dove si fa storia tematica nelle superiori - i giovani abbiano perso il senso del tempo; o che l'Inghilterra, dove dal 1990 si studia un programma che alterna momenti di storia mondiale e nazionale, sia attualmente interessata d epidemie di disorientamento temporale.

Le soluzioni adottate sono diverse, potremmo concludere.Tutte sollevano dibattiti, risolvono alcuni problemi e ne aprono altri. Nessuna, a quanto ci consta, provoca catastrofi apocalittiche: almeno negli Stati europei occidentali nei quali alcuni principi fondamentali - che peraltro non vengono messi in discussione nemmeno in Italia - vengono tranquillamente accettati, che la storia non è un'arma per aggredire gli altri, non serve a considerare se stessi migliori ed è meglio considerarla uno strumento di pace che di guerra. Tali principi stabiliscono, oggi, un buon deterrente nei confronti di programmi nazionalistici e pericolosi, quali osserviamo - invece - in molte "nuove" nazioni, e in molti Paesi del mondo più povero.

Si ottiene, dunque, con un minimo di competenza didattica, la pacatezza necessaria per ragionare intorno a un programma di insegnamento, capendo la differenza che intercorre fra questo - che è uno strumento di lavoro di un’amministrazione educativa - e quel complesso di intenenti (culturali, sociali, economici e politici) necessari per modificare alcune strutture mentali collettive, quali appunto la coscienza storica diffusa, la memoria sociale (accettando, peraltro, l'ipotesi che tali strutture possano essere modificate coi interventi diretti e precisi).

 GLI ELEMENTI DI BASE DI UN PROGRAMMA DI STORIA

Un programma Di storia deve garantire la gestione efficace di due ore di lezione la settimana: questo il senso del limite, necessario per rendere corretta la discussione: deve essere compatibile e pensato per il complesso di riforme che ridefiniscono la scuola. Fra queste l'autonomia e l'orario flessibile (leggi già operanti) richiedono un programma organizzato su due livelli: una parte molto ridotta (il Core curriculum, potremmo chiamarla seguendo le usanze americane) e una parte di "espansione o di approfondimento". Con la prima si affronta l'obiettivo della formazione comune, del lessico di base condiviso, della partecipazione della storia al nucleo duro delle materie comuni. La seconda parte, invece, serve per concretizzare i principi della differenziazione culturale di ciascun istituto, la specificità della sua offerta, la creatività dei docenti1 la messa a punto di didattiche più orientate al laboratorio e al coinvolgimento, la personalizzazione dei percorsi formativi, il recupero, il rinforzo e l'avanzamento.

Questa nuova situazione propone la questione della scelta dei contenuti in modo estremamente più drastico che nel passato. Infatti, se tali riforme devono dar luogo a strutture di formazione credibili, la parte comune (il core curriculum) potrà occupare una porzione dell'orario. In questa sede non ci azzarderemo a definirla (un terzo, la metà, due terzi: ciascuna di queste opzioni avrà notevoli conseguenze nella politica formativa italiana).Quale che sia la scelta, tuttavia, il programma di base non potrà essere immaginato come un qualcosa che impegna per intero le 68 ore ufficiali di insegnamento della disciplina. E, pensare a un contenuto che deve essere insegnato in, per esempio, 30 ore, vuol dire impegnare il legislatore in un audace tentativo di sintesi. Questo sembra il senso del documento sui saperi minimi (paragrafo 4) che in sostanza afferma - di questa sintesi - due principi.

I1 primo è che essa deve constare di grandi quadri; il secondo è che deve permettere la vittoria definitiva sull'apprendimento mnemonico (finalmente! diremo, dal momento che questo obiettivo è perseguito in tutti i programmi di insegnamento promulgati in Italia dalla metà del secolo scorso a oggi).

Reso in termini storici, tali due obiettivi impongono di abbandonare la strada del "riassunto estremo della storia generale", come via per scegliere i contenuti. Infatti, questa strada non ci porterebbe a pochi grandi quadri, ma a moltissimi piccoli frammenti. E ci propone una ricerca, della cui delicatezza è importante essere

Attraverso quadri, appunto, e non attraverso sintesi di processi o di eventi.

Un compito che richiede una riflessione attenta e pacata.

UNA RIFLESSIONE CHE RICHIEDE PACATEZZA

Tuttavia, la pacatezza non sembra la nota dominante dei dibattiti, che dalla promulgazione del nuovo programma degli Istituti professionali alla direttiva sulla riperiodizzazione e alla presentazione del documento sui "saperi minimi", si è articolato intorno all'insegnamento della storia E Si prenda, per esempio, la richiesta, emersa in un recente convegno, "di iniziare l'ultimo anno almeno dal 1870", motivata dalla necessità di "decomprimere" gli anni precedenti. Fai scalare un po' alla fine e guadagni spazi al principio per Grecia e Roma, si dice, come se il tempo fosse una sorta di nastro rigido. Una nuova concezione del tempo, un tempo oleodinamico, vorremmo dire (come nei freni dei treni: spingi un pedale in testa e stringi i freni nell'ultimo vagone) che alluderebbe a inusitate proprietà indeformabili della dimensione temporale. Si tratta di una concezione palesemente priva di senso, che nessuno storico si sognerebbe di sostenere in qualsiasi istanza accademica, ma che per la didattica diventa argomentazione seriosa e convincente.

E, per altri versi, la stessa sorte che hanno subito le antiche partizioni disciplinari (in storia antica, medievale, moderna e contemporanea) che in tutti i testi di epistemologia, storiografia e metodologia storica ormai vengono definite obsolete e inutili (al limite buone solo per le classi di concorso universitarie), e che vengono conservate soltanto per "comodità didattica", e che nel nostro dibattito danno luogo agli angosciosi interrogativi ("che ne sarà della storia medievale, e di quella antica?" E via torcendosi le mani). 

I "SAPERI IMPRESCINDIBILI"

Ugualmente risibile è il modo con il quale si procede a individuare i "saperi imprescindibili". Qui ogni specialista individua, all'interno del proprio campo di interesse, ciò che è assolutamente necessario. "Senza di questo (e qui enumera in genere un bel programma universitario, anch'esso imprescindibile) - sembra dire - della mia branca di sapere si perde la specificità". Dove la grande confusione è appunto fra settore di specializzazione e storia. Nessuno direbbe che il percorso storico dell'umanità è la somma dei diversi settori di specializzazione. Ma quando si discute di programmi questa sciocchezza ha diritto di cittadinanza. E dunque, e in ragione di questo comportamento, la storia generale risulta la somma di aspetti e problemi che ciascun settore valuta irrinunciabile come se lo studente dovesse anticipare, nella sua carriera scolastica, e in piccolo naturalmente, quello che potrà frequentare - a grandezza naturale - all'università. E qui il ridicolo giunge all’apice, quando si valuti il fatto che, nella maggior parte dei piani di studio di Lettere e Filosofia, bastano un paio di esami di storia per prendersi la laurea (infatti, in casa del docente universitario il discorso sulla "completezza della storia da studiare' non ha credito, né scientifico, né didattico).

In realtà, in questa strana procedura di scelta si scorgono cascami inconsci dell'antica tradizione, in base alla quale si sceglie il panorama di studi degli studenti: deduttivamente, appunto, dalla storia generale, vista in tutta la sua complessità, a una versione minima, destinata agli studenti. Ora, poiché la didattica non ha diritto in Italia ad un livello scientifico di discussione, ma solo a dibattiti aperti, non citeremo qui la quantità enorme di studi che - dalla Francia alla Germania alla Spagna, e più modestamente ma con forza anche in Italia - ha messo in crisi questo modello di individuazione dei contenuti. Faremo perciò appello a principi di senso comune: come, per esempio, quello di chiedersi se non sarebbe ora di sforzarsi di guardare alla stoffa del mondo dal punto di vista dello studente, e di chiedersi "che cosa per lui è utile, in che misura lui può concepire la totalità' e la complessità del passato, come potremmo riscriverlo per lui, tenendo conto che un ragazzo di fine novecento forse è diverso da quello che fummo noi, o da quello che furono i ragazzi ottocenteschi, per i quali, in definitiva la stoffa generale - con le sue partizioni in antica, medievale e moderna - fu scritta". E, adoperando un senso comune storiografico, perché non ammettere che la revisione della storia unilineare, scontata ormai in campo scientifico, non debba portare gli storici a chiedersi se i modelli generali del passato non siano da rivedere, e non sia il caso di ristudiare il problema anche per la didattica?

MODIFICARE ANCHE I PIANI DI STUDIO UNIVERSITARI

Un atteggiamento del genere potrebbe indurre in tutti un po' di calma. Potrebbe farci accettare che, se dobbiamo innovare, è giusto sperimentare, fare errori e, dunque, non è proprio il caso di stracciarsi le vesti ogni volta che si esce da quello che nel nostro modo dì vedere è l'unico modo di strutturare le conoscenze del passato. E potrebbe indurre qualche storico a pensare che il modo migliore per contribuire al dibattito potrebbe essere quello di progettare una storia generale nuova; e di sollevare il problema anche in sede scientifica. Infatti, se occorre una nuova visione del mondo, è bene che l'università vi partecipi e non ne lasci il compito soltanto alle case editrici o ai mass media. Ma è bene che questa partecipazione non si riduca al rimpianto del passato e delle immagini certe che questo tramandava. Al contrario, dovrebbe essere l'università a guidare un processo di cambiamento, modificando i piani di studio, l'articolazione interna delle discipline, i profili formativi e così via. Ma, forse, questo è un aspetto del problema che ci mostra come queste modificazioni aggrediscano dall'interno alcuni aspetti consolidati dell'Università. Sarebbe, se fosse così, una buona spiegazione dell'unilateralità' degli interventi universitari sulla didattica scolastica ai quali stiamo assistendo, formalmente ossequiosi del lavoro e delle fatiche scolastiche, praticamente categorici nell’osteggiare innovazioni, dal tema alle prove strutturate, ai cambiamenti nell'apprendimento storico.

UNA "MAPPA MINIMA" DEL PASSATO

Eppure, nel patrimonio storico consolidato, ci sono tutti gli elementi per fare un programma, tenendo conto delle nuove necessità di individuare nuovi lessici elementari, nuovi immagini di base, con le quali permettere a uno studente odierno di organizzare in forma semplice, ma efficace e sentita, il passato collettivo. Per esempio, non è oggetto di discussione la consapevolezza che ci sono due cesure fondamentali in tutta la vicenda umana. Un tempo venivano chiamate con qualche enfasi, rivoluzioni, oggi si preferisce adoperare le locuzioni più sfumate (processi rivoluzionari) ma - comunque - nessuno discute che a esse si deve la partizione elementare della storia dell’umanità: il processo di neolitizzazione e il processo di industrializzazione. Questi due momenti segnano nella vicenda umana i picchi più alti. Non che esistano altri momenti importanti: ma è come guardare un profilo altimetrico. Vediamo delle cime che sovrastano. Fra di esse valli, pianure, altre cime: nessuna così alta.

I due processi individuano tre periodi: prima del Neolitico; fra il Neolitico e l’industrializzazione; dopo l'Industrializzazione.

Perché non considerare questa la mappa minima del passato, e cominciare a lavorare, individuare le essenzialità di un programma di base, e costruire su queste una nuova storia generale. In definitiva si tratta di tre grandi quadri-modelli- periodi (ciascuno li può declinare secondo la sua particolare propensione storiografica). Accettando quest'ipotesi, il sapere minimo potrebbe consistere nella loro conoscenza. Ma questo non basta, occorre mettersi d'accordo sulla qualità di questa conoscenza (che cosa deve riguardare) e sulla quantità minima di conoscenze.

Per il primo punto potremmo dire che "conoscere un quadro" potrebbe voler dire "possedere le conoscenze che permettono di definirne, di stabilirne i contorni", ma anche - se vogliamo rendere ossequio a qualche ragione didattica - possedere degli esempi. Un conto è sapere che a partire dal neolitico gli uomini allevano animali e coltivano la terra -soltanto -; un altro conto è corroborare questa conoscenza con le immagini di egizi, o sumeri, o romani o europei del medioevo che si spaccano la schiena nelle campagne. Proviamo ad ammettere che astratto e concreto possano convivere, nella nuova storia generale.

Per il secondo punto, la quantità di conoscenze, il discorso si fa più arduo. Quanto bisogna sapere, per dire "so il neolitico"? La tentazione dello storico - ma anche quella del professore di considerare se stesso il parametro del sapere rischia, a questo punto, di diventare irresistibile; se cediamo, rientreranno dalla finestra tutti quelli che avevamo tenuto fuori: egizi, sumeri, greci, romani, ebrei, germani, Carli magni e così via, tutti ovviamente, col nuovo marchio dell'imprescindibilità. Noi dobbiamo tenere fermo, invece, il principio didattico. Chi deve formarsi l'immagine? E chi la deve adoperare? E che cosa se ne deve fare?

L'utente - è l'unica risposta possibile e ovvia - è il soggetto che si deve costruire un'immagine. Perciò osservando la questione dal suo punto di vista, stabiliremo che la quantità minima di conoscenze si avrà quando egli sarà in condizioni di stabilire le differenze fra periodi e modelli di società. È lui che deve capire che il paleolitico è diverso dal neolitico e che questo è diverso dal mondo industriale. E tale prestazione non è comparabile con quella che noi adulti acculturati siamo in grado di fornire sulla medesima questione (noi sappiamo fornire una descrizione sintetica ma onnicomprensiva dei periodi). La base, perciò è "essere in grado di stabilire le differenze". Un buon avvio, diremo, perfettamente in linea con quanto gli storici pensano della loro disciplina (Lucien Febvre scriveva che lo specifico storico è, per l’appunto "stabilire le differenze"). Potrà essere declinato, praticamente, in mille modi, a seconda delle propensioni storiografiche dei docenti o degli autori dei manuali. Ma nella competizione si potranno cercare quelli più favorevoli all'apprendimento: cioè quelli che permettono di raggiungere rapidamente lo scopo e a un numero maggiore di persone (è puro produttivismo questo?: sì, ma un buon produttivismo, dal momento che si tratta di aumentare quanto più possibile il numero delle persone che imparano).

Un modo abbastanza agevole, e peraltro intuitivo, è quello di costruire delle coppie oppositive, che mettano in grande evidenza la diversità fra i due periodi (chi comincia a studiare ha bisogno di vedere le cose con grande chiarezza). Infatti, è proprio la percezione della differenza che costituirà la prima "distanza temporale", la cornice, insomma, nella quale potremmo inserire oculatamente uno o due esempi concreti, atti a far "toccare con mano" quel particolare tipo di società.

RISCRIVERE UNA NUOVA STORIA GENERALE

Percorrendo questa strada si può cominciare a riscrivere una nuova storia generale. Potremmo continuare: ma è bene fermarci a questo punto per affrontare un problema cruciale e preliminare al prosieguo del nostro lavoro. Quando si insegna questa storia? Il modello didattico diffuso nelle scuole vuole che la storia generale si insegni in ogni grado di scolarità, a livelli diversi di approfondimento. Ma si badi: è solo il modello didattico diffuso. Dal punto di vista legislativo questo modello è già fuorilegge, da almeno vent'anni, e l'impegno del ministro di evitare le ripetizioni non è altro che un ribadimento delle leggi esistenti, accompagnato - si spera - dall'attivazione di quell'ambiente strutturale che finalmente consenta agli insegnanti di metterle in pratica (nuovi manuali, per esempio). Ma molti dimenticano che i pro-

grammi del '79 non impongono il racconto della storia dalle origini ai giorni nostri, ma stabiliscono soltanto dei parametri temporali all'interno dei quali si devono scegliere dei con tenuti; i programmi dell'85 liberano i docenti da qualsiasi scelta obbligata e vincolano soltanto l'ultimo anno ad alcune questioni di storia contemporanea; i programmi Brocca organizzano la materia per macrotemi e i programmi dei professionali sconvolgono l'intera concezione della vecchia storia generale.

LA STORIA UNIVERSALE:UNA SOLA VOLTA E BENE

Dunque; già la nostra scuola ha un aspetto formale clic è libero dal vincolo di insegnare ogni volta la storia generale. Siamo in pieno clima europeo (per coloro i quali l'argomento ha qualche valore). Nella maggior parte degli Stati, infatti, il principio è che la storia generale si insegni una volta sola e bene. Giusto: ma quando?

E convinzione di chi scrive che la si debba insegnare nel periodo intermedio, come portato finale dell'insegnamento d'obbligo Per vari motivi.

L'argomento "europeo" è che, in generale, l'assetto degli studi prevede:

nelle elementari: un laboratorio su preconoscenze, vissuto, ambiente e grandi quadri (simile a quello già previsto nella scuola italiana);

- nel settore intermedio, variamente denominato (collège, scuola secondaria di primo grado ecc.): fa storia generale, ma poiché questo settore è di quattro o cinque anni, è una storia più diluita e meno compressa;

- nel settore terminale: temi di studio o soltanto i secoli più recenti.

Ma vi sono altre considerazioni La prima, di politica scolastica, è che, se noi decidiamo che l'immagine globale del passato debba far parte della dotazione intellettuale di tutti i cittadini, la storia generale va nell'obbligo; ed è correlata al fatto che, se così non fosse, la storia generale automaticamente uscirebbe dal novero delle materie comuni, per entrare di fatto nel pacchetto di indirizzo (nonostante tutte le dichiarazioni di esaltazione del ruolo formativo ecc. ecc).

La seconda è scientifico-didattica. Alle scuole superiori, infatti, si richiede uno studio sicuramente approfondito, più dettagliato. Bene: si prenda atto che l'immagine generale del passato è una visione "a distanza" della storia. E' paragonabile a un quadro impressionista: se si va vicino, non si vede il girasole meglio, ma si vedono soltanto delle pennellate Si vede altro, insomma, e non ciò che ci fa rendere con più accuratezza conto dell'insieme. E ciò è proprio quello che accade nelle nostre superiori, dove il racconto unitario del passato è continuamente interrotto da questioni, aperture, quadri, problemi che non hanno nulla a che vedere col disegno generale, e che richiedono un'analisi a parte. Si deve dunque partire dalla consapevolezza che proprio questo tipo di storia generale molto fine impedisce un possesso sicuro e unitario del tempo passato e interrompe continuamente la fluidità delle spiegazioni. Dunque l'ideale per le superiori è proprio l'indagine circoscritta, che recupera al proprio interno continuità, rotture, collegamenti col presente e con i passati in quel momento non presi in considerazione. : ma nella quale il docente possa giocarsi l'unica partita realmente effettuabile con un adolescente: quella dì coinvolgerlo in un problema, di soffermarsi con lui nell'analisi, di invitarlo a discutere. E, possibilmente, di appassionarlo.

POSSIBILI OBIEZIONI

Questa impostazione potrebbe avere due obiezioni La prima è il destino del settore intermedio. Si tratta di un problema che non è soltanto didattico ma anche di impianto scolastico generale. In ogni caso: se si tengono insieme l'ultimo biennio della scuola di base e il primo triennio delle superiori, si entra in una buona struttura di insegnamento della storia generale: cinque anni, per fare bene questa parte importante della formazione storica collettiva. Se invece si staccheranno i due momenti di insegnamento, la storia generale potrà essere fatta (in modi inevitabilmente più rapidi) nel triennio di orientamento. In tutti e due i casi, è bene ritenere che solo questo insegnamento può assicurare alla disciplina un ruolo effettivo di materia comune, dal momento che il corso breve delle professionali non potrà in nessun caso interrompersi alle soglie della storia moderna o antica.

La seconda obiezione è il destino della storia classica. Infatti, nel modello che qui si sostiene essa viene fatta molto precocemente (si comincerebbe un anno prima) e anche negli istituti classici si farebbe storia moderna e contemporanea durante il ciclo di orientamento (I triennio superiore). Ma a questa obiezione si può rispondere in modo soddisfacente e definitivo. Basta avere realismo nell'analisi di ciò che oggi - o appena ieri esiste e un minimo di fantasia nelle soluzioni. Analizziamo le contese attuali: si disputa, infatti, della morte delta storia antica e delta perdita delle nostre radici mediterranee, ma in realtà si tratta di perdere con la riperiodizzazione recente dalle 15 alle 20 ore di insegnamento per il mondo antico. Infatti la situazione attuale non è quella degli anni 50 quando il manuale di storia antica aveva due paginette sulla preistoria e dieci sulle civiltà mediorientali. Oggi queste parti si sono autonomamente conquistate sul campo spazio e credibilità- Si sono introdotte sole, perché piacciono a docenti e allievi: sono fra le poche innovazioni di successo autoprodotte dalla scuola. Di conseguenza. il primo anno, fino alla riforma, era equamente ripartito in tre sezioni: preistoria, Mezzaluna fertile, mondo greco. Nella riperiodizzazione berlingueriana, la novità è che il mondo romano reclama un suo spazio e toglie una decina di ore al resto.

Inoltre, come in molti avevano denunciato in passato, questa storia appresa nel ginnasio era di fatto inutile alla formazione, dal momento che gli autori filosofici e letterari si cominciano a studiare nel triennio, quando gli allievi hanno già cominciato a dimenticare quelle poche nozioni apprese. Dunque, l'analisi realistica della situazioni attuale ci dice che non è in gioco nessuna tradizione culturale. Ma solo alcune abitudini didattiche delle quali tutti in passato abbiamo già individuato le insufficienze.

Una proposta risolutiva potrebbe essere la seguente: destiniamo - ricavandolo dal monte ore delle lingue e letterature greco-latina - un'ora la settimana di storia, rigorosamente greca e latina. Nel corso del quinquennio (immaginando che queste materie comincino a intervenire nel curricolo a partire dal secondo anno del ciclo di orientamento), avremmo 170 ore di storia! Tutta quella che, finalmente, servirebbe per contestualizzare a modo Platone, per ricostruire la corte presso la quale Fidia operò, e quella che dette vita alla grande stagione augustea, e i problemi affascinanti che accompagnano e rendono possibile la comprensione della letteratura tardo antica.

E’ un invito e una sfida alle associazioni e alle corporazioni che, in questi giorni, si danno da fare per "salvare la cultura mediterranea", anche al prezzo di bloccare la riforma. Se si vuole, veramente abbiamo, ora, la possibilità per la prima volta di. studiare seriamente il mondo classico.

UN'IPOTESI DI CURRICOLO VERTICALE

In conclusione, ma soltanto come esempio del quale discutere, ecco un progetto di curricolo verticale, che tiene conto dei principi su esposti.

I primi due bienni dell’obbligo (e, nelle more, l’attuale elementare):

- lavoro sui prerequisiti;
- lavoro sull 'ambiente e sul vissuto;
- lavoro sui modelli fondamentali della società (descrizioni di società caccia-pesca-raccolta agricolo-pastorali, industriali);
- costruzione, alla fine dei ciclo, di una cronologia di massima delle società studiate.

I cicli intermedi (terzo biennio dell'obbligo e ciclo di orientamento: nelle more, l'attuale scuola media).

I anno. La prima grande partizione della storia dell'umanità: il processo di neolitizzazione. Le caratteristiche che permettono di distinguere due grandi periodi. Alcuni esempi a scelta:

homo abilis;
homo sapiens sapiens (ecc.):
Sumer;
Egitto:
Cina:(nell'attuale scuola media anche: Roma, Grecia curtis, impero arabo, città medievale ecc.).

II anno. Esempi di società agricolo pastorali.

I modelli principali:
- le società cittadine,
- le società imperiali;
- le società idrauliche ecc.(nella seconda media attuale si può adottare il programma     delle annualità seguente, con integrazioni dal IV anno).

III anno

La seconda grande partizione della storia dell'umanità: i processi di rivoluzione industriale. Caratteristiche che permettono di distinguere le società preindustriali da quelle industriali.

Alcuni esempi di società preindustriale. Alcuni esempi di società industriale.

IV anno

Esempi di società e di problemi del mondo industriale: periodizzazione essenziale (per esempio: le grandi crisi 1848,1879). Il nuovo soggetto, lo Stato.

- Esempi di Stati (Italia, Germania).
- Esempi di problemi: colonizzazione, mercato mondiale ecc.

V anno.

La grande partizione del Novecento. Mondo contemporaneo e mondo attuale (crisi del ‘73 e dell'89). Caratteristiche fondamentali dei due periodi. Ipotesi di spiegazione della trasformazione. Quadri storici: fordismo e taylorismo; mercato mondiale e globalizzazione; società di massa; le guerre mondiali.

(L'attuale programma di terza media si potrebbe costruire inserendo in questo alcuni aspetti del programma precedente).

Il ciclo delle superiori (il triennio attuale).

Temi di approfondimento. Potrebbero essere scelti e distribuiti tenendo conto di un criterio cronologico di massima. Per esempio:

- Il processo di ominazione (differenziazione, razzismo, occupazione degli spazi);     - Il rapporto uomo-ambiente;
- La nascita delle società complesse, dell’ideologia, dello Stato;
- Le società non europee (a scelta);
- La nascita della democrazia;
- La formazione dell'Europa;
- Latini, germani e slavi;
- La nascita e lo sviluppo dello Stato moderno;
- La conquista europea del mondo;
- La Formazione della società moderna;
- Cittadinanza, Stato, diritti;
- Prima guerra mondiale, mondializzazione e società di massa;
- La seconda guerra dei trent'anni;

Un elenco, dunque, ma accompagnato da indicazioni precise. Quanti temi da fare in un anno. Se si prevede che 20 ore costituiscano la dimensione di un lavoro serio e coinvolgente, i temi potranno essere al massimo tre. Indicazioni, inoltre, che descrivano la qualità dello studio. Studiare un tema non è realizzare il sogno di un piccolo corso monografico, ma impostare un insegnamento quasi prevalentemente di laboratorio, realizzato con esercitazioni, lavoro individuale e collettivo, e qualche lezione introduttiva o di sintesi. O qualche bella lezione, nella quale il docente dimostra alla classe la bravura professionale che si esplica affrontando un tema della sua complessità problematica e documentaria.

Ultima osservazione; si ricordi che fin qui abbiamo discusso del programma di base e si tenga presente che più questo è contenuto e ben limitato, più aumenta il tempo per la trattazione di questioni alte quali singolarmente o collettivamente teniamo tutti: una società o un personaggio osservato in profondità; un processo ben analizzato; un momento storico studiato in tutte le sue dimensioni (coinvolgendo anche altre discipline): l'Umanesimo, l'Illuminismo, la Resistenza, l’Olocausto, il '68. Organizzare lo studio della parte flessibile dell'orario non è dedicarsi alle cose secondarie e meno importanti della storia. Al contrario: è destinare tempo, anche maggiore; conquistare tempo e sostenere priorità. Un programma non è un libro, infatti, nel quale il testo principale è costituito dalle parti d'obbligo, e le appendici da quelle flessibili. Ma uno strumento che permette al docente di lavorare con metodo e successo, destinando le parti dell'anno ai diversi obiettivi: le grandi immagini del passato, da una parte, e i problemi fondamentali e fondanti, dall'altra.

 


* L'intervento di Antonio Brusa è stato pubblicato nel settembre del 1998 dalla rivista "Insegnare", che ringraziamo per l'autorizzazione alla riproduzione.