I GIOVANI E LA PACE

Anche quest'anno, nel primo sabato dell'anno scolastico, i giovani studenti delle scuole secondarie superiori hanno fatto registrare un'astensione collettiva dalle lezioni.
La motivazione sembra risiedere nel bisogno di esprimere, nel modo che è loro più congeniale, la solidarietà alle vittime del terrorismo che ha colpito, martedì 11 settembre scorso, gli Stati Uniti di America.
La partecipazione a tale astensione, che va da un terzo alla metà della popolazione scolastica delle scuole superiori, ha una caratteristica singolare ma, purtroppo, ricorrente: lascia ancora una volta il dubbio che essa appare più frutto di una routine che non di una forte tensione ideale di condanna nei confronti dell'atroce atto terroristico che ha sconvolto il mondo e di bisogno di leggere la realtà del mondo.
L'atto terroristico in questione ha colpito il cuore di un grande Paese che rappresenta nell'epoca che viviamo, ancorché con qualche ombra, il più alto grado di civiltà raggiunto dall'Uomo.
L'efferatezza del gesto criminale, la sua imprevedibilità, l'elevato numero di vittime che ha mietuto, la costernazione di tutti gli Stati civili, il segnale sinistro di una preoccupante svolta nell'uso dei mezzi e delle strategie di guerra, la sensazione che tale atto ha fatto paurosamente vacillare l'idea, che gli uomini di buona volontà avevano fatto propria, che la parola "guerra" non può mai avere giustificazioni, hanno profondamente impressionato l'animo di tutti gli uomini della terra degni di questo nome.
Si ha la netta sensazione che la convivenza pacifica tra i popoli della terra sarà più difficile e molto più complicata di quando i conflitti tra essi seguivano, almeno, certe regole che, seppure dalle conseguenze sempre terribili, almeno ne lasciavano prevedere la disastrosa portata.
Molti di noi adulti e, certamente, anche la stragrande maggioranza dei giovani provano in queste ore un'altra forte sensazione; quella che la divisione del mondo tra Paesi ricchi e Paesi poveri, tra nord e sud, è giunta alle temute estreme conseguenze che metteranno sempre più in pericolo la pace tra i popoli della terra, fondata su un'autentica civiltà.
Appare evidente che nel mondo occidentale deve trovare spazio una nuova capacità di analizzare e di ripensare la politica in campo economico e finanziario, ma anche nel campo della difesa degli Stati e nel modo di gestire i conflitti nelle varie aree di crisi del mondo.
Ciò che bisogna evitare è fare giustizia con l'uso della violenza, perché la violenza non può che portare con sé altra violenza senza risolvere alla radice i problemi che affliggono l'umanità.
Se incidere pacificamente sull'attuale assetto del mondo può apparire oggi utopistico, non lo è in campo educativo, dove aprire una diversa stagione dei diritti rispettosa della dignità di ogni essere umano indipendentemente dalle culture, dalle condizioni sociali, dalle etnie e dalle religioni deve costituire una costante nell'azione che in esso si va conducendo.
I nostri giovani devono sentire di più il bisogno di accostarsi a questa ricerca educativa e non solo il bisogno di manifestare, più o meno consapevolmente, nelle piazze, nella convinzione preliminare che è quella che colui che appare oggi il nemico scontato di tutti si può e si deve sempre poter combattere, innanzitutto, con la forza della politica.
Sarà necessario battersi per rafforzare le democrazie del mondo, sarà gratificante e nobile battersi per il rispetto dei diritti della persona e per lo sviluppo sociale ed economico dei paesi che oggi vivono nella indigenza e nell'arretratezza culturale. Queste cose non possono nascere da azioni di guerra, ma richiedono tempo, passione nell'affermare le proprie idee, capacità di ascolto e di mediazione e grande spirito di sacrificio nel momento in cui all'opulente occidente sarà necessariamente richiesto di limitari i suoi irrefrenabili consumi di risorse ai quali da tempo è ormai abituato.
Nella recente riunione del Direttivo nazionale della CGIL Scuola, tenutosi a Roma il 19 settembre scorso si è condiviso unanimemente che va "riaffermato il ruolo centrale della scuola pubblica per lo sviluppo della cultura della pace, del rispetto dei diritti e delle regole, per la soluzione dei conflitti attraverso la ragione e la mediazione e non attraverso la violenza".
Tale certezza educativa ce la può dare solo la scuola pubblica. In essa, in questi ultimi anni, abbiamo vissuto una grande svolta epocale che per dispiegare appieno i suoi effetti positivi per le giovani generazioni avrebbe richiesto ancora del tempo. Tale svolta fondata sul concetto della "Autonomia" ha imposto a tutti i soggetti interessati il dovere morale di adottare prospettive, non solo operative, ma anche culturali diverse. Esse si sarebbero dovute incardinare, e in molti casi si sono incardinate, sulle capacità progettuali dei docenti; queste, nel rispetto degli standard nazionali e nel pieno utilizzo delle risorse e delle energie locali, avrebbero dovuto puntare, ed hanno puntato, a proposte formative significative dal punto di vista qualitativo.
Il nuovo corso del Ministero dell'Istruzione ci induce oggi a riflettere sulle cose già realizzate e a seguire con attenzione l'evolversi degli avvenimenti per assumere le decisioni conseguenti più utili per i giovani che richiedono alla scuola educazione e formazione di qualità.
Non possiamo in questo contesto non tenere in debito conto i problemi educativi che riguardano la pace nel mondo che, tristemente, appaiono sempre emergenti.

Mario Carolla
BRINDISI lì 22/9/2001