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INDICAZIONI NAZIONALI PER I PIANI DI STUDIO PERSONALIZZATI

L’INSEGNAMENTO DELLE LINGUE NELLA SCUOLA DELLA RIFORMA


Le Indicazioni Nazionali per i Piani di Studio Personalizzati nella Scuola Primaria e Secondaria di 1° grado fanno spesso ricorso a una terminologia poco familiare ai docenti e che sembra allontanarsi intenzionalmente dalle parole chiave della didattica e della metodologia, accreditate anche nei documenti europei, dal Libro Bianco Insegnare e Apprendere - Verso la Società conoscitiva, al Portfolio Europeo delle Lingue, passando per Il Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue.
Gli obiettivi specifici di apprendimento evidenziati nelle Indicazioni Nazionali vogliono indicare “i livelli essenziali di prestazione che le scuole pubbliche della Repubblica sono tenute in generale ad assicurare ai cittadini per mantenere l’unità del sistema educativo nazionale di istruzione e di formazione, per impedire la frammentazione e la polarizzazione del sistema”. Si presentano quindi con un carattere vincolante. Le Raccomandazioni “vogliono essere un suggerimento orientativo”. La tabella degli obiettivi rischia, senza una lettura e una condivisione delle Raccomandazioni, di diventare una lista di riferimento vuota di significato pedagogico.
Consigliamo dunque di focalizzare l’attenzione su alcuni punti, elencati di seguito in ordine alfabetico, per consentire un facile reperimento degli argomenti proposti alla riflessione.

Abilità disciplinari – Le Indicazioni relative alla scuola primaria introducono il termine in questo contesto: “Al termine della classe prima, la scuola ha organizzato per lo studente attività educative e didattiche unitarie che hanno avuto lo scopo di aiutarlo a trasformare in competenze personali le seguenti conoscenze e abilità disciplinari”. Sembrerebbe dunque che, disciplina per disciplina, nella progressiva declinazione degli obiettivi specifici, le abilità siano da individuare nella colonna di destra. Per la lingua inglese, troviamo formule del tipo “Presentarsi”, “Rispondere a un saluto”, che sembrano riferirsi piuttosto a funzioni, “Identificare colori”, che allude a nozioni, peraltro abbinata con una attività, “abbinare colori”. Nella didattica delle lingue, si intende con il termine di abilità l’insieme delle prestazioni legate agli usi ricettivi e produttivi della lingua. Alle tradizionali quattro abilità linguistiche (di ricezione: comprensione alla lettura e all’ascolto; di produzione: scrivere, parlare) il Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue ha affiancato le abilità di interazione e di mediazione. Questa accezione del termine ‘abilità’ rimane, nel migliore dei casi, implicita nelle Indicazioni.

Metodologie di indagine – Ci sembra di poter intendere qui le abilità metodologiche di indagine come componenti del ‘saper apprendere’; resta da chiedersi perché non si faccia esplicito riferimento a uno dei quattro saperi ai quali si richiama continuamente il Quadro Europeo di Riferimento. Le Indicazioni parlano inoltre di “capacità di studio individuale”: anche qui il riferimento alle abilità di studio, a un curricolo del saper apprendere, non è esplicitato.

Saper fare – Il Quadro Europeo di Riferimento presenta spesso il binomio “abilità e saper fare”, sottolineandone la dipendenza più da capacità procedurali che da conoscenze dichiarative. A questo proposito, è apprezzabile il ruolo attribuito all’esperienza nelle Indicazioni. Nelle Raccomandazioni il collegamento tra abilità e saper fare diventa esplicito: “Le abilità sono la condizione e il prodotto della razionalità tecnica dell’uomo. Si riferiscono, quindi, al saper fare: non solo al fare, ma appunto anche al sapere le ragioni e le procedure di questo fare. In altre parole, anche al sapere perché operando in un certo modo e rispettando determinate procedure si ottengono certi risultati piuttosto di altri.” Resta da chiedersi ancora una volta perché il riferimento ai quattro saperi non sia a fondamento dell’intero impianto concettuale e metodologico.

Acquisizione e apprendimento – Laddove il Quadro Europeo di Riferimento avverte sulla possibile diversa accezione dei due termini (acquisizione: capacità linguistiche come conseguenza di esposizione diretta a testi, di partecipazione a eventi comunicativi; apprendimento: capacità linguistiche come risultato di un processo pianificato in un contesto istituzionale), le Indicazioni usano entrambi i termini, in più occasioni e in differenti contesti, senza mai soffermarsi sul pericolo di eventuali confusioni terminologiche.

Ambiente di apprendimento – La Scuola Primaria è definita a pag. 2 come “ambiente educativo di apprendimento, nel quale ogni fanciullo trova le occasioni per maturare progressivamente le proprie capacità di autonomia, di azione diretta, di relazioni umane, di progettazione e verifica, di esplorazione, di riflessione logico-critica e di studio individuale”. L’espressione “ambiente di apprendimento” indica solitamente gli spazi nei quali avviene l’apprendimento, il clima che caratterizza lo stesso, o ancora le strutture e i materiali didattici in quanto elementi qualificanti del processo di apprendimento. Il termine è da alcuni anni coniugato prevalentemente con gli aggettivi informatico e telematico, sorprende dunque il fatto che esso non appaia in questa accezione ‘tecnica né nelle Indicazioni, né nelle Raccomandazioni, anche quando si parla di “elaboratore informatico”.

Attività didattiche – La loro importanza viene messa in evidenza nelle Raccomandazioni, che ne parlano come di “attività motivanti che facilitino l’acquisizione e l’uso del lessico con una certa libertà di variazione all’interno di facili strutture fisse”.
Attività comunicative. Sono citate nelle Raccomandazioni “Le attività comunicative nei primi tre anni della Scuola Primaria riguardano, in particolare, la sfera della ricezione. La ricezione-ascolto è intesa quale comprensione orale globale di un intervento articolato che si realizza utilizzando elementi paralinguistici, extralinguistici e prosodici. Il testo da far ascoltare viene scelto prestando attenzione all’età dell’allievo, alla sua realtà linguistica e culturale e alla sua capacità di attivare strategie differenziate.
La ricezione-lettura coinvolge l’allievo nella comprensione di testi molto semplici, in cui coglie nomi familiari e parole note (cartelli pubblicitari, cartoline, istruzioni accompagnate da supporto visivo, slogan pubblicitari).
Come per la ricezione-ascolto, anche in questo caso, l’alunno fa riferimento alle sue conoscenze extralinguistiche (figure, segnali, schemi) ed extratestuali (conoscenze legate all’episodio, alla storia, all’autore).
L’interazione-parlato, in forma molto elementare, offre a sua volta all’alunno l’opportunità di usare la lingua in contesti comunicativi significativi, in coppia o in gruppo (giochi linguistici, memorizzazioni, drammatizzazioni, dialoghi). Occorre, sia pur nel rispetto dello stadio evolutivo dell’alunno, porre grande attenzione all’intonazione e alla pronuncia quali elementi rilevanti nel processo di comunicazione” (Raccomandazioni relative all’Inglese, classe prima e primo biennio, pag. 37). Occorre proseguire nella lettura delle Raccomandazioni, stavolta relative al secondo biennio, per scoprire finalmente un’improvvisa e isolata menzione delle “indicazioni del Consiglio d’Europa, proprio a proposito delle attività comunicative: “Pertanto la gamma di attività comunicative coinvolte si amplia e consente una scansione completa che rispecchia le indicazioni del Consiglio d'Europa. La produzione orale e scritta a questo livello parte sempre dall’imitazione di modelli dati e consente un reimpiego più consapevole di espressioni linguistiche apprese come automatismi nei tre anni precedenti” (pag. 37).
Resta comunque aperto l’interrogativo sul perché questo riferimento rimanga, appunto, isolato.

Autonomia come finalità educativa – Le Indicazioni sottolineano come compito della Scuola Primaria sia quello di fornire le occasioni per maturare progressivamente la capacità di autonomia. Non sembrano peraltro sufficientemente sviluppate, al proposito, le riflessioni attinenti le fasi di sviluppo cognitivo ed emotivo degli apprendenti, nella cornice delle quali il concetto di autonomia avrebbe potuto assumere maggiore evidenza e concretezza.

Autonomia delle istituzioni scolastiche – Nella scelta dei Piani di Studio Personalizzati e nell’organizzazione delle attività educative anche per Laboratori, l’autonomia delle istituzioni scolastiche assume un ruolo determinante nelle Indicazioni. Nelle Raccomandazioni si ritorna a ribadirne il ruolo propositivo nel paragrafo relativo ai Piani di Studio Personalizzati. “Con i Piani di Studio Personalizzati, invece, almeno nei propositi, la strada dell’abbandono dell’uniformità delle prestazioni progettate a priori, già inaugurata con la stagione della Programmazione Curricolare, si dovrebbe completare in tutti i sensi, e rovesciarsi. Sul piano della professionalità, ai docenti è richiesto non più di transitare «dal generale culturale al particolare personale», ma di operare «dal particolare personale al generale culturale»”(pag. 6).

Capacità – Le Raccomandazioni forniscono questa spiegazione del termine: “Per capacità si intende una potenzialità e una propensione dell’essere umano, nel nostro caso del fanciullo, a fare, pensare, agire in un certo modo. Riguarda ciò che una persona può fare, pensare e agire, senza per questo aver già trasformato questa sua possibilità (poter essere) in una sua realtà (essere)” (pag. 7). Si insinua a questo punto il dubbio che non solo si voglia evitare il riferimento diretto ai documenti del Consiglio d’Europa e di parlare, dunque, molto semplicemente, di saper essere, ma anche che si confonda ‘capacità’ con ‘attitudine’, ovvero la predisposizione innata rispetto all’acquisizione di una particolare conoscenza o abilità.

Comparazione – Se il concetto, centrale nel Quadro Comune Europeo di Riferimento, di “competenza plurilingue e pluriculturale” sembra volutamente ignorato, non ci sembra appaia neanche il termine “educazione linguistica integrata”. Si pone l’accento, è vero, sulla “unità dell’educazione”, ma tutto ciò resta vago e comunque insufficiente a sostenere concettualmente e a declinare dal punto di vista metodologico-didattico la scelta, che ci trova ovviamente d’accordo, dell’inserimento della lingua straniera sin dal primo anno della scuola primaria e di una seconda lingua comunitaria nella secondaria di primo grado. Resta comunque la nostra perplessità riguardo alla scelta dell’inglese come unica opzione per la Scuola Primaria.

Competenza – Le Raccomandazioni recitano: “Le competenze sono l’insieme delle buone capacità potenziali di ciascuno portate effettivamente al miglior compimento nelle particolari situazioni date: ovvero indicano quello che siamo effettivamente in grado di fare, pensare e agire, adesso, nell’unità della nostra persona, dinanzi all’unità complessa dei problemi e delle situazioni di un certo tipo (professionali e non professionali) che siamo chiamati ad affrontare e risolvere in un determinato contesto” (pag. 7). Anche in questo caso, è doveroso chiedersi perché non si sia voluto usare il termine ‘europeo’ saper fare. Quando, nelle Raccomandazioni, ci si sofferma sulla lingua inglese, appare il termine “competenza comunicativa in generale” alla cui struttura portante sono da ricondurre le “strategie”. Più avanti, sempre a pag. 36, si parla di “competenze relazionali, riflessive e metariflessive”, elencate senza che i concetti vengano esaurientemente approfonditi. Rimane, infine, una domanda che allude ad alcuni tra i più importanti ‘grandi assenti’ nei documenti presi in considerazione: perché bisogna arrivare alla lettura della pag. 38 delle Raccomandazioni, per poter leggere: “Al termine della Scuola Primaria si può prevedere il raggiungimento di una competenza comunicativa grosso modo corrispondente al livello introduttivo/elementare A1, definito dal Consiglio d’Europa”. Perché ci si ostina a non voler menzionare Il Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue, che a questo punto sembra assumere il ruolo un po’ inquietante di un vero e proprio ‘convitato di pietra’?

Conoscenza – “Le conoscenze sono il prodotto dell’attività teoretica dell’uomo. Nella scuola, sono soprattutto ricavate dai risultati della ricerca scientifica. Riguardano, quindi, il sapere: quello teoretico, ma anche quello pratico. In questo secondo senso, sono anche i principi, le regole, i concetti dell’etica individuale e collettiva (valori civili costituzionali, nazionali o sovranazionali) che, nelle Indicazioni Nazionali, costituiscono gli «obiettivi specifici di apprendimento» della Convivenza civile” (Raccomandazioni, pag. 8). Indubbiamente suggestiva l’allusione agli obiettivi specifici della Convivenza civile per quanto riguarda il “sapere pratico”, forse, tuttavia, un po’ precipitosa, a fronte di un termine, sapere (sì, ancora un sapere) che andava urgentemente chiarito e non annegato in un accumulo eccessivo di stimoli concettuali.

Convivenza civile – Le Raccomandazioni rivendicano orgogliosamente il fatto di aver, per così dire, varato questo termine in un ambito nel quale esso non era finora apparso: “Nelle Indicazioni Nazionali per i Piani di Studio Personalizzati della Scuola Primaria viene utilizzata per la prima volta l’espressione «Convivenza civile». Essa è ripresa dal disegno di legge-delega n° 1306 ed è assunta sia come sintesi delle «educazioni» alla cittadinanza, ambientale, stradale, alla salute, alimentare, all’affettività, sia, aspetto non meno importante, come risultato dell’apprendimento delle conoscenze e delle abilità che caratterizzano le differenti discipline di studio” (pag. 9). Relativamente all’insegnamento della lingua inglese, laddove, come avviene per gli obiettivi di apprendimento per le classi quarta e quinta, si comincia a parlare di cultura e civiltà, mancano tuttavia indicazioni relative a un reale intreccio con il curriculum di “convivenza civile”.
Non si fa menzione di possibili percorsi di integrazione, di effettivo dialogo della “Convivenza civile” con le altre discipline.

Curriculum – Le Raccomandazioni prestano ampia voce, dilungandosi nell’argomentare, alla preoccupazione che sia stato cancellato dalle coscienze il ricordo dell’origine latina del termine. Maggiore concretezza assumono i toni nel paragrafo dedicato alla programmazione curricolare: “La logica dei Curricoli ha avuto modo di rafforzarsi, nel nostro Paese, a partire da una constatazione: l’astrattezza dei Programmi. Voler trasferire senza mediazioni e modellamenti il «nazionale» nel «locale» e il «generale» nel «particolare», infatti, significa per forza di cose sacrificare uno dei due elementi. Si è, dunque, costretti ad essere trasgressivi o verso l’alto, disobbedendo alle indicazioni dei Programmi ministeriali, o verso il basso, ovvero alle esigenze e alle specifiche situazioni di apprendimento degli allievi.
La Programmazione Curricolare ha inteso superare questa antinomia, dando ragione sia alla logica dei Programmi sia a quella dei Curricoli per quanto affermavano e torto per quanto ambedue negavano o tacevano.
Con la Programmazione Curricolare il Ministero è stato così chiamato a concepire in modo diverso i Programmi: non più istruzioni da far applicare esecutivamente in ogni classe della penisola, bensì vincoli nazionali che ogni scuola è chiamata autonomamente ad interpretare e ad adattare alle esigenze della propria realtà formativa. Il Ministero, come dispone l’articolo 8 del Dpr. 275/99, detta, in questa prospettiva, gli ordinamenti del sistema educativo di istruzione e di formazione, gli obiettivi generali del processo educativo, gli obiettivi specifici di apprendimento, gli standard di prestazione del servizio, i criteri generali per la valutazione. Questa l’uniformità astratta, valida per qualsiasi scuola e gruppo classe e singolo allievo del Paese, dettata dal centro” (pag. 6).
Manca l’apertura al futuro che il Il Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue
esprime nel paragrafo dedicato ai “possibili scenari curricolari”, perché preme a chi ha steso le Raccomandazioni mettere in evidenza il potenziale innovativo dei Piani di Studio Personalizzati.

Decondizionamento – Il termine appare nelle Indicazioni a pag. 2: “Senza quest’opera di decondizionamento che la Scuola Primaria è chiamata a svolgere sarebbero largamente pregiudicati i traguardi della giustizia e dell’integrazione sociale”. Si allude dunque a una funzione sociale di primaria importanza: ma, ancora una volta, si ha l’impressione che si siano voluti accuratamente evitare termini più familiari, sicuramente meno neutrali di quello scelto.

Ipertesti – Avvertiamo la mancanza di riflessioni più approfondite sulla natura dell’ipertesto e di suggerimenti per utili attività di comparazione con altri tipi di testo (per esempio, quello narrativo o quello didattico, testi che gli apprendenti conoscono bene proprio dalla quotidianità scolastica). Occorreva, proprio nelle Raccomandazioni rivolte ai docenti, attirare l’attenzione sull’emergere di nuove forme di sapere, alle quali gli apprendenti accedono parallelamente all’esperienza scolastica e sulla cui natura vale la pena di promuovere, proprio a scuola, riflessioni critiche e confronti. Fa sorridere inoltre, lo sfoggio del termine overview a fronte dell’orgogliosa tirata – sempre nelle Raccomandazioni - sull’origine latina del termine curriculum, di cui “si sono appropriati gli Inglesi” (pag. 5).

Laboratori – Già nelle Indicazioni, si specifica come le attività possano essere svolte in maniera frontale e in Laboratori. Sul Laboratorio di Lingue, le Raccomandazioni riportano, in due passi differenti, importanti precisazioni, che riguardano aspetti pratici e didattico-metodologici e presentano un’accezione piuttosto ampia del termine: “Una cura particolare merita il Laboratorio di Lingue. In esso si possono ovviamente prevedere attività di Gruppo classe riferite all’apprendimento della lingua italiana, ma diventa indispensabile utilizzarlo per l’apprendimento della lingua inglese. Il Laboratorio, in questa direzione, potrà essere affidato alla responsabilità della maestra specialista che, a seconda dei livelli di maturazione degli allievi e della natura delle attività a volta a volta proposte, potrà lavorare con profitto sia, in alcuni momenti, per Gruppi classe, sia, per lo più, per Gruppi di livello o di compito interclasse” (pag. 17). Più avanti, nel paragrafo relativo alla lingua inglese, si afferma: “Sicuramente quando, per la lingua inglese, si usa l’espressione Laboratorio ci si riferisce, in prima battuta, ad un luogo, il laboratorio linguistico, particolarmente attrezzato dove gli alunni possono, attraverso apparecchiature multimediali, sviluppare le abilità di comprensione della lingua, apprendere correttamente la sua struttura fonologica ed acquisire automatismi.
In questa sede, tuttavia, l’espressione Laboratorio di Lingue si riferisce ad una particolare modalità di insegnamento/apprendimento linguistico, ferma restando l’utilità ineludibile di attrezzature tecnologiche nello studio della lingua inglese.
Nel primo anno, il Laboratorio così inteso favorirà un approccio globale alla lingua. Esso potrà essere articolato in:
- scelta/approntamento del materiale utile ai fini linguistici (disegni, cartelloni, vignette, figure) in relazione ai contenuti dei moduli linguistici, brevi e flessibili, da sviluppare;
- proposte alternative di attività: ascolto (canzoni, rime, filastrocche); drammatizzazione e mimo (brevi battute, dialoghi, poesie…); brevi esecuzioni musicali corali.
Nei bienni successivi, e in special modo nel secondo, il Laboratorio potrà, invece, essere organizzato in moduli gerarchizzati per difficoltà e complessità. Precisamente, potrà partire da moduli di “compensazione” o di “raccordo” per gli alunni che non hanno raggiunto la padronanza attesa per giungere a moduli di “potenziamento” e di sviluppo per chi dimostra il possesso di capacità d’eccellenza” (pag. 38).
Un altro ‘convitato di pietra’ spunta inaspettatamente nell’ultimo capoverso: il modulo. Si tratta di un lapsus sfuggito alla ‘rimozione’? Formulazioni vaghe e poco chiare, termini di fronte ai quali abbiamo manifestato perplessità si sarebbero probabilmente evitati, se si fosse fatto ricorso alle parole della didattica per moduli.


Livelli essenziali di prestazione – Le Indicazioni ne parlano a proposito delle tabelle degli obiettivi specifici di apprendimento: “i livelli essenziali di prestazione che le scuole pubbliche della Repubblica sono tenute in generale ad assicurare ai cittadini per mantenere l’unità del sistema educativo nazionale di istruzione e di formazione, per impedire la frammentazione e la polarizzazione del sistema e, soprattutto, per consentire ai fanciulli la possibilità di maturare in tutte le dimensioni tracciate nel Profilo educativo, culturale e professionale previsto per la conclusione del primo ciclo degli studi” (pag. 5). Perché è stata scelta questa traduzione meccanica dall’inglese “performance” o dal tedesco, “Leistung”, “prestazione”, invece di ricorrere al consolidato e familiare termine “standard nazionali”?
Mappa culturale – Nelle Indicazioni, a pag. 4, il testo recita: “L’ordine epistemologico vale solo per i docenti e disegna una mappa culturale, semantica e sintattica, che essi devono padroneggiare anche nei dettagli e mantenere certamente sempre viva ed aggiornata sul piano scientifico al fine di poterla poi tradurre in azione educativa e organizzazione didattica coerente ed efficace.” Questa affermazione allude, purtroppo non in maniera esplicita, al profilo di una professionalità docente, nella quale la salda padronanza e il continuo aggiornamento della mappa epistemologica della disciplina di insegnamento costituiscono elementi essenziali e qualificanti. Non manca una nutrita letteratura al riguardo, in gran parte legata alla didattica per moduli.

Modulo – Un grande assente, che erompe inaspettatamente a pag. 38 delle Raccomandazioni (si veda la voce ‘Laboratori’ di questo glossario). Molto probabilmente, nella stesura, “la voce dal sen fuggita” sarà stata automaticamente associata al Progetto Lingue 2000. Vale la pena di ricordare, tuttavia, che già il Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue suggerisce un “approccio multidimensionale e modulare”. Alcune parole chiave contenute nelle Indicazioni e nelle Raccomandazioni, inoltre, sono facilmente riconducibili, anche se appaiono talvolta in un’altra veste linguistica, alla didattica per moduli. Ci riferiamo qui, per esempio, a “competenza”, “livelli essenziali di prestazione”, “piani di studio personalizzati”, “unità di apprendimento”.

Obiettivi formativi – Le Indicazioni così si riferiscono agli obiettivi formativi: “Per questo, nel primo anno e nel primo biennio, vanno sempre esperiti a partire da problemi ed attività ricavati dall’esperienza diretta dei fanciulli. Tali problemi ed attività, per definizione, sono sempre unitarie e sintetiche, quindi mai riducibili né ad esercizi segmentati ed artificiali, né alla comprensione assicurata da singole prospettive disciplinari o da singole ‘educazioni’. Richiedono, piuttosto, sempre, la mobilitazione di sensibilità e prospettive pluri, inter e transdisciplinari, nonché il continuo richiamo all’integralità educativa. Inoltre, aspetto ancora più importante, esigono che siano sempre dotate di senso, e quindi motivanti, per chi le svolge. Sarà, allo stesso tempo, preoccupazione dei docenti far scoprire agli allievi la progressiva possibilità di aggregare i quadri concettuali a mano a mano ricavati dall’esperienza all’interno di repertori via via più formali, che aprano all’ordinamento disciplinare e interdisciplinare del sapere […]Nel secondo biennio, quasi a conclusione di un itinerario formativo che ha portato i fanciulli a scoprire riflessivamente nella loro unitaria e complessa esperienza personale e socio-ambientale la funzionalità interpretativa, sistematicamente ordinatoria e, soprattutto, critica della semantica e della sintassi disciplinari, è possibile cominciare a coniugare senso globale dell’esperienza personale e rigore del singolo punto di vista disciplinare, organicità pluri, inter e transdisciplinare e svolgimento sistematico delle singole discipline, integralità dell’educazione e attenzione a singoli e peculiari aspetti di essa” (pag. 6). Le Raccomandazioni parlano diffusamente degli obiettivi formativi, così definiti:
“Gli obiettivi formativi, quindi, sono gli «obiettivi generali del processo formativo» e gli «obiettivi specifici di apprendimento» contestualizzati, entrati in una scuola, in una sezione, in un gruppo concreto di alunni che hanno, ciascuno, le loro personali capacità, trasformate, poi, grazie alla professionalità dei docenti e al carattere educativo delle attività scolastiche, in affidabili e certificate competenze individuali finali.
Gli «obiettivi generali del processo educativo» e gli «obiettivi specifici di apprendimento» sono e diventano obiettivi formativi, quindi, nel momento in cui si trasformano nei compiti di apprendimento ritenuti realmente accessibili, in un tempo dato e professionalmente programmato, ad uno o più allievi concreti e sono, allo stesso tempo, percepiti da ‘questi’ allievi come traguardi importanti e significativi da raggiungere per la propria personale maturazione. In altre parole, si potrebbe dire, nel momento in cui ristrutturano l’ordine formale epistemologico da cui sono stati ricavati in quello reale, psicologico e didattico, di ciascun allievo, con la sua storia e le sue personali attese” (pagg. 12-13). Par di capire, dunque, che sia proprio il contesto operativo il criterio in base al quale selezionare i materiali, individuare i contenuti, sviluppare le procedure didattiche.
generali del processo formativo – Questi obiettivi vengono elencati alle pagine 3 e 4 delle Indicazioni, che, a questo proposito, così concludono: “il percorso complessivamente realizzato nella Scuola Primaria promuove l’educazione integrale della personalità dei fanciulli, stimolandoli all’autoregolazione degli apprendimenti, ad un’elevata percezione di autoefficacia, all’autorinforzo cognitivo e di personalità, alla massima attivazione delle risorse di cui sono dotati, attraverso l’esercizio dell’autonomia personale, della responsabilità intellettuale, morale e sociale, della creatività e del gusto estetico” (pag. 4). Si tratta di affermazioni pienamente condivisibili: avvertiamo tuttavia la mancanza di riferimenti a modelli di sviluppo cognitivo ed emotivo per la fascia di età interessata.
specifici di apprendimento – Nelle Indicazioni, essi sono riportati in “tabelle allegate e ordinati per sia per discipline, sia per ‘educazioni’ che trovano la loro sintesi nell’unitaria educazione alla Convivenza civile” (pag. 4). Le Raccomandazioni precisano: “Gli «obiettivi specifici di apprendimento» indicano le conoscenze (il sapere) e le abilità (il saper fare) che tutte le scuole della Repubblica, nei diversi periodi didattici della Scuola Primaria, sono invitate dallo Stato ad organizzare in attività educative e didattiche volte alla concreta e circostanziata promozione delle competenze finali degli allievi a partire dalle loro capacità” (pag. 11).
Possiamo dunque riassumere: gli obiettivi generali del processo formativo, relativamente alla Scuola Primaria, insieme agli obiettivi specifici di apprendimento, determinati a livello nazionale, concorrono alla identificazione, nel singolo contesto scolastico, degli obiettivi formativi personalizzati.

Piani di Studio Personalizzati – Le Indicazioni e le Raccomandazioni attribuiscono una posizione centrale ai Piani di Studio: “Con i Piani di Studio Personalizzati, invece, almeno nei propositi, la strada dell’abbandono dell’uniformità delle prestazioni progettate a priori, già inaugurata con la stagione della Programmazione Curricolare, si dovrebbe completare in tutti i sensi, e rovesciarsi. Sul piano della professionalità, ai docenti è richiesto non più di transitare «dal generale culturale al particolare personale», ma di operare «dal particolare personale al generale culturale».
Restano, come nella stagione della Programmazione Curricolare, i vincoli nazionali che tutti devono rispettare e che lo Stato ha il dovere costituzionale di indicare, anche dando spazio ad intese per una quota regionale nella loro determinazione (sono i «livelli essenziali di prestazione» di cui si parla nelle Indicazioni nazionali per i Piani di studio personalizzati).
Resta, nondimeno, la responsabilità progettuale della scuola e dei docenti che devono offrire percorsi formativi, ma risulta ancora più netto di prima il principio della personale responsabilità educativa dei ragazzi, dei genitori e del territorio nello sceglierli e nel percorrerli ed acquisirli. Questi, infatti, sono chiamati in causa direttamente nella realizzazione dei vincoli nazionali entro le opportunità offerte dalla progettazione di scuola e di rete” (Raccomandazioni, pagg. 6-7).
Se dunque è possibile inscrivere i Piani di Studio Personalizzati nello sviluppo della ricerca didattica italiana ed europea, a condizione che a questo termine facciamo corrispondere, altri, magari più familiari e mutuati, ad esempio, dall’approccio modulare, se è apprezzabile l’importanza data alla responsabilità progettuale del docente, restano ancora poco definiti ambiti, confini e ruoli, in altre parole: chi fa che cosa?

Portfolio delle competenze individuali – Le Indicazioni ne precisano struttura e funzione. “Il Portfolio delle competenze individuali comprende una sezione dedicata alla valutazione e un’altra riservata all’orientamento. La prima è redatta sulla base degli indirizzi generali circa la valutazione degli alunni e il riconoscimento dei crediti e debiti formativi (art.8, DPR 275/99)” (pag. 7). Esso conterrà “annotazioni, sia dei docenti, sia dei genitori, sia, se del caso, dei fanciulli” e “seleziona in modo accurato:
- materiali prodotti dall’allievo individualmente o in gruppo, capaci di descrivere paradigmaticamente le più spiccate competenze del soggetto;
- prove scolastiche significative;
- osservazioni dei docenti e della famiglia sui metodi di apprendimento del fanciullo, con la rilevazione delle sue caratteristiche originali nelle diverse esperienze formative affrontate;
- commenti su lavori personali ed elaborati significativi, sia scelti dall’allievo (è importante questo coinvolgimento diretto) sia indicati dalla famiglia e dalla scuola, ritenuti esemplificativi delle sue capacità e aspirazioni personali;
indicazioni di sintesi che emergono dall’osservazione sistematica, dai colloqui insegnanti-genitori, da colloqui con lo studente e anche da questionari o test in ordine alle personali attitudini e agli interessi più manifesti” (pag. 7). Si insiste sulla necessità, da parte dell’istituzione scolastica, di individuare i criteri di scelta e selezione dei materiali. Riguardo la sua funzione, si precisa che:
“Il Portfolio delle competenze individuali della Scuola Primaria si innesta su quello portato dai bambini dalla scuola dell’infanzia e accompagna i fanciulli nel passaggio alla scuola secondaria di primo grado. La sua funzione è particolarmente preziosa nei momenti di transizione tra le scuole dei diversi gradi. Il principio della continuità educativa esige, infatti, che essi siano ben monitorati e che i docenti, nell'anno precedente e in quello successivo al passaggio, collaborino, in termini di scambio di informazioni, di progettazione e verifica di attività educative e didattiche, con la famiglia, con il personale che ha seguito i bambini nella Scuola dell’Infanzia o che riceverà i fanciulli nella Scuola Secondaria di I grado. È utile, comunque, che la Scuola Primaria segua, negli anni successivi, in collaborazione con la Scuola Secondaria di I grado, l’evoluzione del percorso scolastico degli allievi perché possa migliorare il proprio complessivo know how formativo e orientativo, ed affinare, in base alla riflessione critica sull’esperienza compiuta, le proprie competenze professionali di intuizione e giudizio pedagogico e le proprie pratiche autovalutative” (pag. 8). Il Portfolio “è compilato ed aggiornato dal docente coordinatore-tutor, in collaborazione con tutti i docenti che si fanno carico dell’educazione e degli apprendimenti di ciascun allievo, sentendo i genitori e gli stessi allievi, chiamati ad essere sempre protagonisti consapevoli della propria crescita”(pag. 8). Ora, se il Portfolio è e deve essere “un’occasione per migliorare e comparare le pratiche di insegnamento, per stimolare lo studente all’autovalutazione e alla conoscenza di sé in vista della costruzione di un personale progetto di vita e, infine, per corresponsabilizzare in maniera sempre più rilevante i genitori nei processi educativi” (pagg.7-8), perché la sua compilazione è affidata al coordinatore-tutor? In quale misura esso sarà accessibile ai genitori, e, soprattutto agli apprendenti? Esiste un motivo per il quale non si faccia menzione del Portfolio Europeo delle Lingue e dei numerosi progetti di implementazione del PEL, con due ricadute negative: la prima, già rilevata per molte altre parole chiave, di non voler riconoscere esplicitamente il ruolo dei documenti del Consiglio d’Europa, l’altra, più concreta e immediata, di produrre confusione tra tutti gli attori della vita scolastica tra due documenti, il Portfolio delle Competenze individuali e il Portfolio Europeo delle Lingue, di fatto diversi e distinti.

Profilo educativo, culturale e professionale dello studente – Previsto come profilo in uscita alla fine del Primo Ciclo di Istruzione esplicita ciò che ogni studente, alla fine del Primo ciclo deve sapere (le conoscenze disciplinari e interdisciplinari) e fare (le abilità operative) per essere l’uomo e il cittadino che è lecito normalmente attendersi che sia, a 14 anni, mette in luce come il culturale e il professionale siano occasioni e strumenti per l’educativo personale e come le conoscenze disciplinari e interdisciplinari (il sapere) e le abilità operative (il fare) apprese ed esercitate non solo nel sistema formale (la scuola), ma anche in quello non formale (le altre istituzioni formative) e informale (la vita sociale nel suo complesso), siano per il ragazzo, davvero formative nella misura in cui effettivamente diventano sue competenze personali” (Raccomandazioni, pag. 11). Ancora una volta, si fa ricorso, in maniera parziale e senza citare la fonte, a concetti – sapere, saper fare, saper essere, saper apprendere - che costituiscono comune patrimonio europeo. Nel caso specifico del Profilo, inoltre, la mancanza di qualsiasi riferimento al Libro Bianco su Istruzione e Formazione ci pare una grave lacuna.

Progettare – Questo verbo è evidenziato in corsivo, alla pag. 5 delle Indicazioni, dove si dice: “non bisogna cadere nell’equivoco di impostare e condurre le attività didattiche con gli allievi quasi fossero in una pretesa corrispondenza biunivoca con ciascun obiettivo specifico di apprendimento. L’insegnamento, in questo caso, infatti, diventerebbe una forzatura non accettabile. Al posto di essere frutto del giudizio e della responsabilità professionale necessari per progettare in situazione gli obiettivi formativi personalizzati e le relative Unità di Apprendimento a partire dagli obiettivi specifici di apprendimento nazionali, ridurrebbe l’attività didattica ad una astratta ed universale esecuzione applicativa degli obiettivi specifici di apprendimento stessi”. Anche nelle Raccomandazioni si parla di “responsabilità progettuale” del docente. Si è preso atto, dunque, del percorso di ricerca didattico-metodologica e della centralità del verbo ‘progettare’ nell’ottica di una reale professionalità docente, senza peraltro, qui come altrove, far riferimento alla pur ampia letteratura in questo campo.

Situazioni di apprendimento – Nelle Raccomandazioni, il termine è complementare alle “attività strutturate”: “L’insegnante propone agli allievi situazioni di apprendimento complesse nelle quali essi sono obbligati a connettere le loro conoscenze ed abilità per superare gli ostacoli, risolvere i problemi posti e così dimostrare competenza.
Se vogliamo assicurare apprendimenti solidi, le situazioni complesse non possono esser pensate senza un'articolazione con attività strutturate, di memorizzazione e di consolidamento delle conoscenze e delle abilità particolari. Si tratta di bilanciare con gli allievi situazioni complesse ed attività specifiche per permettere loro di cogliere il senso di ciò che fanno e facilitarne il trasferimento da una situazione all'altra” (pag. 24). Questa parola chiave non è disgiunta dal principio di differenziazione: “Spesso nelle situazioni complesse di apprendimento occorre utilizzare la differenziazione dell'azione didattica che permette agli allievi la messa in campo del loro modo di procedere e all'insegnante la realizzazione degli interventi di aggiustamento. La differenziazione dell'azione didattica può anche concretizzarsi nella scelta che l'insegnante fa circa le situazioni d'apprendimento, nel raggruppamento degli allievi per uno scopo preciso, in un certo Laboratorio, nel piano di lavoro in parti differenziate, nei tempi di lavoro domestico più personalizzati, di laboratori a scelta” (pag. 24). Il concetto di differenziazione non è tuttavia esplicitamente collegato né a una didattica modulare, né tanto meno a una reale progettazione ‘di squadra’, ma resta piuttosto legata alla scelta del singolo insegnante.

Strategie – Nelle Raccomandazioni, all’interno del paragrafo dedicato all’inglese, leggiamo: “La lingua inglese, inoltre, al pari di ogni lingua straniera, permette l'acquisizione di abilità comunicative tramite l'impiego di strategie che, comparate con quelle attivate nell’uso della lingua madre, rendono l’allievo consapevole delle proprie modalità di apprendimento e lo aiutano a progredire verso l’autonomia e l’integrazione sociale.
Si può dire che tali strategie siano riconducibili a conoscenze ed abilità che costituiscono la struttura portante della competenza comunicativa in generale.
Prendere la parola, chiedere aiuto, collaborare, gestire le proprie emozioni (non vergognarsi a parlare con gli altri, non drammatizzare gli errori e le difficoltà, ecc.), correre “rischi linguistici” (provare ad usare parole nuove, partecipare al dialogo, …), non aver paura di sbagliare, domandare chiarimenti; riflettere sul processo di apprendimento, organizzare le proprie attività in funzione di esso, procedere a semplici comparazioni sintagmatiche e paradigmatiche; ripetere, memorizzare, associare, raggruppare parole: sono tutte competenze relazionali, riflessive e metariflessive indispensabili alla comunicazione che l’incontro con le conoscenze e le abilità della lingua inglese espresse nelle Indicazioni nazionali permette di sollecitare e di consolidare.
Interagiscono con tali strategie la fonologia, l’ortografia, il lessico, la grammatica, il discorso e il suo funzionamento. Nella Scuola Primaria, tuttavia, l’allievo è interessato solo ad una parte di queste conoscenze, in quanto, in questa fase, viene privilegiata la comunicazione orale”. L’accezione del termine “strategie” è qui talmente ampia da aprire il varco a non poche confusioni terminologiche, con il rischio che si perda davvero la bussola. Cerchiamo di procedere per ordine: nel primo capoverso riportato, la parola “strategie” è usata in modo ‘ortodosso’ e allude a strategie di apprendimento potenziate da un loro uso consapevole. Nel secondo capoverso, si afferma che tali strategie sono riconducibili a conoscenze e abilità che costituiscono la struttura portante della competenza comunicativa. Da questa affermazione discende, nel terzo capoverso, un elenco disordinato di funzioni, di strategie vere e proprie, di riflessioni linguistiche, di operazioni metalinguistiche e metacognitive, che sembra piuttosto caratterizzato dall’horror vacui che dal rigore scientifico. Nel quarto capoverso riportato, infine, si fa riferimento esplicito a quanto finora elencato, con l’espressione “tali strategie”, ma il collegamento con fonologia, ortografia, lessico, grammatica, discorso e suo funzionamento, appare a questo punto un po’ forzato. La lettura sarebbe stata meno faticosa e sicuramente più accessibile, se si fossero chiamate le cose con il loro nome, se si fossero ordinati i concetti per categorie (strategie cognitive, metacognitive e socio-affettive, di compensazione/comunicazione), se si fosse fatto esplicito riferimento al saper apprendere, e, per scendere ancor più nei dettagli, al capitolo 4.4. del Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue, intitolato “Attività e strategie di comunicazione linguistica”, che così chiarisce: “Le strategie sono il mezzo che il soggetto utilizza per attivare e usare in modo equilibrato le proprie risorse, per attivare abilità e procedure, per soddisfare le esigenze di comunicazione nel contesto dato e per portare a termine con successo il compito in questione […]. L’uso di strategie comunicative consiste nell’applicazione di principi metacognitivi – pianificazione preliminare, esecuzione, controllo e riparazione – ad attività comunicative di diverso tipo: ricezione, interazione, produzione e mediazione. Il termine “strategie” è stato usato in diversi modi. Qui intendiamo l’adozione di una particolare linea di condotta per rendere massima l’efficacia”,

Unità di apprendimento – Alla pag. 7 delle Indicazioni, si afferma: “L’insieme della progettazione di uno o più obiettivi formativi, nonché delle attività, dei metodi, delle soluzioni organizzative e delle modalità di verifica necessarie per trasformarli in competenze dei fanciulli, va a costituire le Unità di Apprendimento, individuali o di gruppo.
L’insieme delle Unità di Apprendimento, con le eventuali differenziazioni che si rendessero necessarie per singoli alunni, dà origine al Piano di Studio Personalizzato, che resta a disposizione delle famiglie e da cui si ricavano anche spunti utili per la compilazione del Portfolio delle competenze individuali”.
Il termine Unità di Apprendimento, da non confondere con l’unità didattica tradizionale, non è certo estraneo alla didattica per moduli e anche nei capoversi riportati si leggono materialmente (“progettazione”) o solo tra le righe (“flessibilità”, “modularità”, “centralità del discente”) quelle parole chiave alle quali si sarebbe dovuto dare rilievo maggiore, se non addirittura, come per tanti concetti è accaduto, il diritto a comparire.