L'ultimo mezzo secolo

L'Italia democratica riscattò nella resistenza l'obbrobrio delle guerre fasciste, coloniali ed europee. Nelle repubbliche partigiane dell'Ossola e di Montefiorino in Emilia fece in tempo a progettare una nuova scuola democratica. Poi, a liberazione avvenuta, la Repubblica italiana nata dalla lotta di liberazione vide una retriva novità: al Ministero dell'istruzione sedettero per la prima volta in permanenza rappresentanti del risorto partito cattolico, la Democrazia cristiana. Era il partito che riproponeva le vecchie tesi del Sillabo, di Gentile e del Concordato. Insomma, il «doppio binario» della parità tra scuola privata cattolica e scuola statale, e della religione cattolica nella scuola statale.

La Costituzione entrata in vigore nel 1948 stabilì agli articoli 33 e 34 i princìpi fondamentali riguardanti cultura e istruzione: libertà dell'arte, della scienza e dell'insegnamento, e iniziativa dello Stato nel legiferare e nell'istituire scuole; diritto per i privati di istituire scuole purché «senza oneri per lo Stato»; possibile parità tra scuole private e pubbliche, fissando per legge diritti e obblighi e garantendo equipollenza di trattamento agli alunni; autonomia delle università; obbligo e gratuità della scuola per otto anni; aiuti ai meritevoli.

Il quarto comma, sulla parità, fu frutto di defatiganti discussioni tra laici e democristiani, e in seguito i governi democristiani non osarono mai presentare la prevista legge sulla parità, temendo la clausola «senza oneri per lo Stato». Il loro governo della scuola, seguito a quello dichiaratamente classista del fascismo, segnò quella decadenza della scuola statale che tutti oggi possono constatare. Nel 1950 il ministro Gonella presentò con grande apparato di consultazione una proposta generale di riforma, che non riformava nulla, mantenendo le tradizionali «canne d'organo» post-elementari, determinate dalla presenza o meno del latino: e fu lasciata cadere (Legge 2100, 12 apr. 1947). Nel 1955 il ministro d.c. Ermini attuò una riforma dei pro­grammi elementari, incerta tra puerocentrismo e catechizzazione, nella quale i motivi puerocentrici e attivistici dell'educazione nuova servivano alla catechizzazione.

Nel frattempo si venivano attuando iniziative pedagogiche ispirate alla, tradizione dell'educazione nuova, puerocentrica e libertaria, ma tutte fortemente caratterizzate dalle diverse ideologie che si fronteggiavano nel campo più generale della politica. Schematizzando alquanto: da parte cattolica le «Repubbliche dei ragazzi», largamente sostenute dai Ministeri dell'istruzione e dell'assistenza post-bellica, che avevano trovato un'autorevole ispirazione ideale in Jacques Maritain con il suo Umanesimo integrale e L'educazione al bivio. Da parte laico-socialista, oltre alla ripresa dell'Umanitaria di Milano, la Scuola-città Pestalozzí, che si richiamava all'esperienza americana risa­lente ai Dewey, rappresentata dal Washburne, presente allora in Italia come "'colonnello" dell'esercito americano, e inoltre il Movimento di cooperazione educativa con l'uso della Tipografia a scuola mutuato dall'esperienza del francese Célestin Freinet. Da parte comunista i Convitti-scuola della Rinascita per ex partigiani e reduci, continuazione ideale dell'esperienza dì scuole durante la resistenza, ostacolati dai ministeri e dai prefetti: potevano ispirarsi alla tradizione marxista, quando tuttavia ancora poco si sapeva in Italia sia di Marx sia della scuola sovietica, e ancora non si conoscevano I Quaderni del carcere di Gramsci.

Nuovi stimoli vennero poi dal campo internazionale. L'UNESCO raccoglieva le rappresentanze di tutti gli Stati dell'ONU svolgendo un'opera dì documentazione e di stimolo sulla scuola nel mondo e di guida e sostegno. Ma i vari Stati procedevano ciascuno con le loro forze e secondo le loro scelte. Nell'ottobre 1957 il lancio del primo sputnik sovietico sembrò affermare una supremazia scientifica e tecnica da parte del paese del socialismo, e l'anno dopo la riforma dell'istruzione voluta da Chruscev, riproponendo uno stretto legano tra lavoro intellettuale e lavoro produttivo, sembrò dimostrare un'ulteriore capacità di rinnovamento. Ma nel 1959 gli USA risposero convocando a Woods Mole una conferenza sulla riforma dell'istruzione, che criticò l'eccesso di puerocentrismo e libertarismo in nome di ittiti maggiore attenzione allo sviluppo delle capacità cognitive, e segnò un'inarrestabile ripresa.

In Italia qualche cosa si mosse, quando il 21 gennaio 1959 il gruppo comunista del Senato presentò a nome dei senatori Donini e Lupo ri ni un progetto di riforma che prevedeva una scuola obbligatoria unica e uguale per tutti dai 6 ai 14 anni, con l'introduzione di materie scientifiche e di attività tecnologiche e artistico-musicali. I comunisti furono isolati nel loro progetto; ma dopo quattro anni di discussione si approvò con la legge n. 1859 del 31 dicembre 1902 il principio della scuola media unica: restava tuttavia separata dalla elementare e conservava il latino come elemento selettivo per gli studi per gli studi superiori. Fu questa comunque l'unica seria riforma dell'età democristiana, (oggi chiamata «prima repubblica». Solo più tardi, con la legge n. 348 del 16 giugno 1977 si eliminò la funzione discriminante del latino, si aumentarono le discipline scientifico-matematiche, si dette dignità di "educazioni" alle discipline artistiche e tecnologiche.

Nel 1963, costituito il primo governo di centro-sinistra con la partecipazione dei socialisti, seguirono molti progetti ma poche innovazioni, a parte l'istituzione della scuola materna statale, che però sancì l'anticostituzionale finanziamento della scuola materna cattolica. Gli altri progetti dì riforma dell'istruzione secondaria e universitaria non andarono in porto, nonostante il continuo succedersi di convegni, studi e proposte. L'espressione più viva del generale disagio fu, nel 1967, un libretto dall'apparenza dimessa, la Lettera a una professores­sa degli alunni della Scuola di Barbiana, gestita da don Lorenzo Milani, un prete scomodo che le gerarchie ecclesiastiche avevano là mandato in una specie di confino. Vi si criticava la scuola degli insegnamenti lontani dalla vita reale, che promuove i Pierini borghesi e boccia i Gianni contadini: una voce schietta, che coglieva nel segno più di tutte le dotte e spesso avveniristiche ricerche e proposte che venivano e continueranno a venire dai partiti costituzionali, dai movimenti estremi e dalle loro attivissime riviste.

Ma tutti i nodi restavano irrisolti, e il disagio giovanile esplose nella contestazione studentesca del 1968. La sua ispirazione, senza che nessuno lo sapesse, era la stessa del pensiero 104 del Leopardi: la sua influenza sul costume dell'intera società e in particolare delle istitu­zioni scolastiche fu notevole, sulla legislazione quasi nulla. Si ebbero poco più che provvedimenti tampone in apparenza audaci, come la liberalizzazione degli accessi all'università e dei corsi di studio; ma non sostenuti da adeguati provvedimenti di sostegno, essi dettero solo cattivi frutti di gonfiamento delle università, perdita di rigore e deterioramento della didattica. Anche i "decreti delegati" che negli anni successivi tentarono di introdurre forme di partecipazione democratica da parte di professori, studenti e famiglie nella scuola, si rivelarono poco più che complicate macchine per tagliare il burro.

Forse maggior peso ebbe il meno clamoroso "autunno caldo" operaio del 1969, per l'esito che le sue rivendicazioni nel campo dell'istruzione ebbero nel contratto di lavoro del 19 aprile 1973, che introdusse la piccola ma significativa novità delle "150 ore". Esisteva già un apprendistato in fabbrica per migliorare la qualifica del lavoratore che restasse a lavorarvi; esisteva anche la possibilità di ore disponibili per il lavoratore studente che intendesse fuggirne: ora si consentiva un monte ore triennale, disponibile dì volta in volta per il 2% dei lavoratori, «al fine di migliorare la propria cultura», indipendentemente dalla loro destinazione futura. Era cosa idealmente nuova che, nel solco delle proposte di Marx e di Gramsci (difficile dire quanto consapevolmente), rompeva la millenaria separazione tra scuola e fabbrica, tra istruzione e lavoro, e disegnava la nuova figura di un lavoratore intellettuale. i risultati, pur apprezzabili, furono comunque molto inferiori alle aspettative.

Poi, il 18 febbraio del 1984, si firmava tra l'Italia e la Santa Sede il nuovo Concordato, o «Modificazioni consensuali al Concordato del 1984»: un cumulo di incongruenze e di cedimenti da parte dello Stato, di privilegi abilmente strappati da parte della Chiesa. Mentre si finge di riconoscere la separazione tra Stato e Chiesa, si intrecciano ancor di più i due domini, peggiorando la situazione, già di fatto anti­costituzionale, del concordato fascista del 1929. Sulla scuola, travisando la Costituzione mentre si finge di citarla, si identificano i due diversi princìpi: la libertà d'insegnamento, che è il fondamento della scuola statale, e la libertà della scuola, che è il diritto dei privati a istituire scuole anche non fondate su quel principio. Inoltre, si «continua ad assicurare» (in un documento che dovrebbe essere di "modificazione"!) l'insegnamento religioso nelle scuole pubbliche. passando da una richiesta di esonerarsene alla richiesta di riceverlo, ma con procedimenti burocratici che violano la riservatezza delle coscienze e ostacolano di fatto ogni libera scelta, finendo poi di fatto con l'impor­re una materia alternativa all'insegnamento facoltativo della religione. Il principio di laicità dello Stato e della sua scuola ne resta turpe­mente negato.

Oggi, anno 1997 d.C., in quella «seconda repubblica» che ancora non c'è, si ha un inedito governo di centro sinistra e, per la prima volta, un ministro dell'istruzione postcomunista. Le intenzioni (li riforma sono molte: si profila una tendenza al decentramento e all'auto­nomia che rischia di sfociare nell'aziendalizzazione e nella privatizzazione. Si può solo prevedere che saranno infine accolte le richieste tradizionali del Vaticano, cioè la parità della scuola cattolica coli quella statale e il suo finanziamento a spese dello Stato. Nel terzo millennio, superato, si dice, il dissidio scuola statale-scuola privata, stira considerata tutta scuola pubblica, finanziata a spese di tutti i cittadini, contro il «senza oneri per lo Stato». Mentre si privatizza tutto ciò che è statale, si statalizza la scuola privata, che è poi la scuola cattolica, cioè di un potere in sé autoritario e illiberale, e comunque «indipendentemente e sovrano» rispetto allo Stato. Così, quello che Croce diceva del secolo XIX, che i conservatori avevano attuato i programmi dei democratici, si avvererà rovesciato nel secolo XX, quando saranno i progressisti ad attuare i programmi dei conservatori. Ma non è solo la questione degli oneri statali: è la questione del «principio supremo della laicità» e della libertà d'insegnamento, sancito anche dalla Corte Costituzionale, che viene negato, assumendo nell'orbita statale una scuola dogmatica.

Quanto al resto, si è iniziato con piccoli gesti che potevano apparire significativi, come gli interventi nella burocrazia ministeriale o l'alleggerimento di compiti formali degli insegnanti. Poi, si sono susseguiti un rinnovato progetto di autonomia scolastica, che vede sospet­tosi insegnanti e studenti, per il potere (lato al preside-manager e per il rischio di abbandono delle sedi scolastiche più deboli. E, confermata la soppressione degli esami di riparazione a settembre, ecco la ambigua liberalizzazione dei corsi di ricupero e gli interventi sull'aggiornamento degli insegnanti. Poi ancora l'estensione dell'obbligo scolastico al sedicesimo anno, con l'inizio della scolarizzazione al quinto anno: che è un grande progresso e, insieme, finché la scuola resta un luogo separato, un grande rischio di allontanamento degli adolescenti dal lavoro reale. Poi gli accenni di riforma della scuola secondaria, negli ordinamenti, nei programmi, nelle possibilità di passaggio da un ordine all'altro. E inoltre l'istituzione della patente formativa, che consente di passare dalla scuola a esperienze di lavoro e apprendistato, e di tornare a scuola facendo valere le esperienze extrascolastiche. E infine gli interventi sullo stato giuridico e la carriera degli insegnanti, e il ridimensionamento delle sedi scolastiche in conformità con la . diminuzione delle nascite, che ha suscitato allarmi e fatto fuggire dalla scuola un decimo circa degli insegnanti.

Significativa appare comunque l'apertura della scuola anche nel pomeriggio con l'estensione delle libere attività di studio, di ricerca, di gioco e di lavoro degli studenti. Se si eludesse il rischio di trasformarla in un doposcuola, potrebbe significare l'avvio alla trasformazione della scuola da luogo separato a luogo di vita degli adolescenti: ma per ora l'impegno finanziario, organizzativo e, soprattutto, ideale, non appare commisurato a queste possibilità. Nell'insieme si tratta di aperture e rischi che, investendo un po' tutti gli aspetti del sistema formativo senza intaccarne il millenario carattere di luogo separato, rischiano di risultare efficaci solo nelle loro parti più equivoche, come quella della minacciata a parità, che è un problema fittizio, arrogantemente imposto alla Re­pubblica italiana da un potere sovrano da lei indipendente.

Ma i problemi reali sono altri. La scuola, cioè la formazione non può essere soltanto un luogo e un tempo separato. Se anticamente le tecnologie artigianali, una volta perfezionate, erano destinate a durare millenni, oggi la caratteristica, della «modernissima scienza della tecnologia» è di essere in perpetua evoluzione e di aver creato con l'Informatica strumenti del lavoro intellettuale del tutto nuovi. E allo­ra non si può più imparare una volta per tutte, e, acquisita una capacità specializzata, adoperarla intatta per tutta la vita: l'imparare a imparare di cui tanto si parla, diventa una necessità assoluta. Non ci può più essere un tempo e un luogo separato per imparare: il tempo e il luogo per imparare sono il tempo e il luogo di tutta la vita, per far nascere davvero un uomo nuovo, l'uomo del terzo millennio, se queste date hanno un senso.

 

Dopo questi accenni all'Italia non si può dare qui conto di quanto avviene altrove nel campo dell'educazione, ma solo additare problemi e linee di sviluppo. Anzitutto il fatto che l'istituzione scuola, come si è venuta determinando nel corso dei millenni nella civiltà europea, è oggi la forma d'educazione comune a tutti i paesi del mondo, sia pure cori infinite varianti. I sistemi d'istruzione si vanno sempre più omogeneizzando, come parte del più generale processo di globalizzazione in corso.

L'ONU e l'UNESCO, succeduti alla Società delle Nazioni e al BIEN, sono testimonianza e strumento di questo processo. L'Assemblea generale dell'ONU, nel votare, il 1 dicembre 1948, la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, aggiungeva ai diritti sanciti dalle dichiarazioni americana dei 1776 e francese del 1789, il nuovo diritto all'istruzione. E postulava la gratuità e l'obbligatorietà del livello elementare, l'accessibilità agli altri tipi e livelli, il pieno sviluppo della personalità umana, e infine il diritto dei genitori alla scelta dell'istruzione da impartire e ai figli: un principio che nel garantire la libertà del fanciullo da un'oppressione ideologica da parte dello Stato, dimentica quella che gli può venire da parte della società in generale nonché delle Chiese e degli stessi genitori.

Dal canto suo l'UNESCO, rivolgendosi alle "commissioni nazionale e alle associazioni non governative con periodici convegni, iniziative regionali nelle aree depresse, sostegno alla lotta contro l'analfabetismo e all'educazione degli adulti, raccolta di dati sull'istruzione nei vari paesi, consulenza pedagogica e stimolo alla ricerca educativa, pubblicazione di un «Annuario» e di un «Corriere» (anche in versione italiana), sostiene la reciproca conoscenza e il generale processo di omogeneizzazione. E all'UNESCO si aggiungono le istituzioni internazionali regionali, soprattutto europee.

Molte scienze sono oggi impegnate intorno alla istituzione scuola e alle altre sedi della formazione dell'uomo. Alla pedagogia che, risalendo a Platone, si è costituita come scienza dell'educazione a partire dall'Umanesimo e poi dall'Illuminismo, si sorto affiancate altre scienze psicologiche e sociologiche, con le loro varie articolazioni e scuole di pensiero. In psicologia, al dibattito tra comportamentismo ( behaviourismo di Watson), per il quale la psiche è una tabula rasa, contro llabile empiricamente col metodo stimolo-risposta, e la psicologia della forma (Gestaltpscycologie di Wertheimer), per la quale essa è una struttura originaria che si sviluppa secondo proprie leggi, è seguita la psicologia evolutiva, che indaga lo sviluppo della psiche dalle prime sensazioni alle operazioni logiche formali. Qui si è avuto un confronto ideale tra il costruttivista Piaget, per il quale la psiche "si costruisce" individualmente dal soggetto nell'interazione con la realtà, e Wigockij per il quale a determinare uno sviluppo che, oltre il momento

logico, culmina nella formazione della volontà, valgono il presupposto diacronico della storia umana e il presupposto sincronico della vita associata. E ovvio che queste, e altre, correnti di pensiero accentuino l'uno o l'altro processo educativo.

Nella seconda metà del secolo sono seguiti altri sviluppi e orientamenti nelle scienze dell'educazione, in particolare col cognitivismo di Bruner e con l'intervento diretto o indiretto di scienze non sempre coinvolte prima nello studio dei processi mentali impegnati nell'istruzione, come biologia, fisiologia, neurofisiologia. Esse, sottolineando concorde­mente l'indissolubile connessione tra mente, cervello, totalità sensibile del corpo e mondo esterno, impongono un ripensamento del rapporto educativo con una contestuale educazione intellettuale e fisica.

Intanto, intorno alla scuola continua la ricerca degli specialisti della pedagogia e della didattica.

Nelle università le scienze pedagogiche, o piuttosto dell'educazione, hanno via via conquistato un sempre più largo posto, moltiplicando le loro specializzazioni, nelle quali si rispecchia l'eterno problema della classificazione delle scienze, sia. come organizzazione della stessa ricerca pedagogica, sia come sistemazione dello scibile da trasmettere nell'insegnamento scolastico. E sul piano delle metodologie educative, nello sforzo di adeguare costantemente la scuola agli sviluppi delle scienze in tutti i campi del sapere e delle tecnologie produttive, dai minimi accorgimenti tecnici quali la "tipografia a scuola", l'istruzione programmata e le macchine per insegnare, che parvero innova­zioni audaci e oggi sembrano appartenere alla preistoria, si è passati in pochi decenni all'uso del computer e a tutta l'informatica.

E, mentre si prolunga la scolarità, si tende a ritardare il più a lungo possibile le scelte di indirizzo. Si passa così da una precoce separazione degli studenti in diversi tipi di scuola verso forme unificate di istru­zione secondaria, in cui si combinino istruzione generale e professionale, inserendo attività tecniche e manuali (un "manuale" che oggi è soprattutto tecnologico e informatico). E, di là da un processo formativo scolastico in sé concluso con l'adolescenza, si pensa a processi di educazione permanente o ricorrente, fondati non tanto su un bagaglio di apprendimenti conclusivi, quanto sulla capacità di apprendere ad apprendere per tutta la vita.

Così, se finora l'educazione del cucciolo d'uomo era presso ogni popolo il compito primo dell'umanità, oggi l'istituzione scuola, esito di tutta una storia che qui si è appena adombrata, ne rappresenta, con tutti i pregi e i difetti, la forma generale e necessaria, ma non certo l'unica. Non si è forse parlato, e a ragione, di una società educante (e, inevitabilmente, diseducante)? Ma qui comincia un discorso non più storico, bensì progettuale, che lasciamo alla riflessione del volenteroso lettore.

 

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