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Audizione presso la VII Commissione sul decreto n.137

 

Il Decreto legge n. 137 del 1 settembre 2008 presenta materie che non possono giustificare il carattere di urgenza di tale strumento legislativo: più adeguato sarebbe stato il disegno di legge che avrebbe consentito, nei tempi necessari, una discussione ampia e approfondita sui principali mutamenti che si vogliono introdurre nella scuola e che richiederebbero un'ampia condivisione nel Paese e tra gli insegnanti.

È giusto porsi l'obiettivo di migliorare la qualità e il funzionamento della scuola, ma non è certo imponendo per decreto un modello impoverito e retrodatato agli anni cinquanta che si affrontano le difficili sfide che la complessità pone oggi al nostro sistema di istruzione.

 

Il ripristino del maestro unico

Desta dunque molta preoccupazione la fretta con cui il Governo ha deciso di riorganizzare la scuola primaria, uno dei segmenti educativi più accreditati anche dalle ricerche nazionali e internazionali sui livelli di apprendimento dei nostri ragazzi (tra le indagini comparative quella IEA-Pirls del 2005 testimonia l'ottima tenuta dei livelli di apprendimento in lettura dei nostri allievi di quarta elementare).

Si cambia, in genere, quando i risultati non sono positivi, ma non ci risulta che ci sia stata in questi mesi alcuna indagine sul funzionamento della scuola elementare, su eventuali esigenze di ripensamento della sua organizzazione e su nuove modalità di formazione e preparazione dei maestri.

 

Un modello che ha funzionato per oltre vent'anni

Con oltre 2.580.000 allievi e 245.000 docenti, con una presenza capillare sul territorio distribuita in oltre 16.000 scuole e 138.000 classi, la scuola elementare italiana è un grande fenomeno sociale e non certo il frutto di un improvvisato e vacuo pedagogismo.

Da più di vent'anni la scuola primaria vede la presenza in ogni classe (meglio, in ciascun gruppo di 2 classi abbinate in un modulo) di un team di tre docenti (quindi con un rapporto di 1,5 per classe) che lavorano in modo efficace dedicando almeno due ore settimanali del loro tempo alla programmazione unitaria dell'attività didattica delle singole classi.

Vanno ricordati anche gli interventi dei docenti di sostegno, di lingue straniere e di religione. In qualche caso l'eccessiva frammentazione degli interventi ha limitato l'efficacia del modello, che però - in via generale - rappresenta un punto di forza della scuola italiana.

Un conto è dunque riflettere su alcune modalità di organizzazione didattica e decidere di migliorarle, un conto è cancellare con un decreto e senza alcuna pubblica discussione, oltre vent'anni di storia e di impegno innovativo!

Si fa una mera operazione di contenimento della spesa, ma si rinuncia a dare a ciascun bambino un apprendimento di qualità: meno tempo scuola e meno docenti vogliono dire infatti meno opportunità educative, minore attenzione e cura per i più piccoli. Ci si augura che la stessa formula non venga proposta anche per la scuola dell'infanzia, mettendo a repentaglio un modello, unanimemente apprezzato da genitori e opinione pubblica, che si è consolidato in oltre vent'anni di ricerca educativa.

 

Le sfide del futuro non si affrontano guardando al passato

Il maestro unico impoverisce le relazioni necessarie a una equilibrata crescita educativa dei bambini. In una situazione sociale profondamente mutata - per le domande che la società rivolge alla scuola, per il ruolo che oggi hanno conoscenza e saperi, per come si è trasformata la professionalità docente, per l'atteggiamento delle famiglie, per le nuove esigenze dei bambini - è pura semplificazione guardare al passato. Vogliamo ricordare che si decise di superare la figura del maestro unico e di avvalersi di un team di docenti perché il gruppo di insegnanti, con competenze meno generiche di quelle di un insegnante "tuttologo", rispondeva in modo più appropriato ai bisogni educativi dei bambini nei vari ambiti del sapere.

 

La riduzione dell'orario a 24 ore settimanali

Tale riduzione comporta un ulteriore impoverimento delle opportunità scolastiche. Infatti una compressione dell'orario non facilita l'apprendimento dei bambini: come dimostrano tutti gli studi internazionali, le conoscenze - a qualsiasi età, soprattutto per i più piccoli - hanno bisogno di tempi distesi per essere assimilate e consolidate nel tempo.

La possibilità di offrire alle famiglie - secondo le loro richieste - una più ampia articolazione del tempo scuola, è un punto su cui conviene riflettere: la variante tempo pieno (due docenti contitolari per ogni classe, con alcune ore di compresenza, che è un modello in crescita che riguarda circa il 25% delle classi in Italia, pur con vistose differenze territoriali), perché continui a essere un'importante esperienza pedagogica e didattica, dovrebbe essere esplicitamente tutelata dal quadro normativo così come risulta dalla legge n. 176/77. Altrimenti sarà solo un tempo scuola più lungo, un vecchio doposcuola con attività di puro intrattenimento pomeridiano.

 

Ripristino dei voti

Una premessa: i giudizi analitici erano stati sostituiti nel 1993 con indicatori e lettere alfabetiche (A, B, C, D, E) 1) , e nel 1996 con giudizi sintetici espressi in "insufficiente, sufficiente, buono, distinto, ottimo" 2) .

Il problema della valutazione non risiede nella forma utilizzata, quanto piuttosto nella chiarezza dei criteri valutativi e degli esiti degli apprendimenti che si intendono perseguire (quali conoscenze? quali competenze?). Risiede nella condivisione all'interno della comunità professionale dei profili cognitivi, affettivi, relazionali che compongono il quadro degli apprendimenti e delle competenze oggetto di valutazione; infine nella capacità dei criteri scelti di comunicare agli studenti, alle famiglie i significati reali degli esiti educativi.

Ciò vuol dire che una buona valutazione non dipende dal mezzo utilizzato (sistema numerico: decimi, trentesimi, centesimi .; sistema alfabetico: a,b,c,.; sistema dei giudizi sintetici: insufficiente, sufficiente, buono . o analitici: lo studente ha/non ha conseguito apprendimenti.), quanto dai significati che stanno dietro a un voto o un giudizio; dal processo di insegnamento apprendimento che il significato sotteso a un voto o a un giudizio mette in azione. Per raggiungere questi livelli di chiarezza c'è ancora molta strada da percorrere.

Appare perciò abbastanza "ingenuo" ritenere che l'eliminazione degli aggettivi (perché di questo si tratta) e il ripristino dei voti possa essere considerato un fattore di miglioramento del sistema scolastico, quando lo stesso sistema non ha ancora consolidato i fondamentali della cultura valutativa. Ricordiamo, a questo proposito, che nella scuola superiore, dove i voti non sono mai scomparsi, i risultati sono perfino peggiori.

Quindi, con il ritorno ai voti si intende semplicemente ripristinare la situazione antecedente alla legge 517 del 4 agosto 1977 che aveva introdotto per la prima volta la scheda di valutazione (art. 4) e quelle politiche dell'inclusione che hanno costituito fino a oggi il fiore all'occhiello del nostro sistema educativo pubblico.

 

La certificazione delle competenze

Sulla certificazione delle competenze vanno rilevati almeno due punti di debolezza: il primo è che, allo stato attuale, non esistono ancora modelli nazionali di valutazione e di certificazione delle competenze, né un elenco di competenze attese. Il secondo è che il dibattito europeo e internazionale va in tutt'altra direzione: si stanno da più parti sperimentando indicatori di tipo descrittivo, raggruppati magari entro quadri sintetizzati con una lettera o con un numero. L'esempio più noto è il "Portfolio europeo delle lingue" che si basa su una griglia di autovalutazione composta da tre dimensioni (comprensione, parlato e scritto) e da sei livelli all'interno di ogni dimensione (A1, A2, B1, B2, C1, C2). È dunque necessaria una moratoria delle decisioni legislative in merito (che appaiono del tutto superficiali) per rendere possibile una proficua azione di ricerca con la scuola

Valutazione del comportamento degli studenti

L'introduzione della valutazione sul comportamento degli studenti espressa in voti non modificherà la situazione attuale, perché voti o non voti, non c'è Consiglio di classe che non valuti il livello di apprendimento dei ragazzi anche in base al loro comportamento: gli esiti cognitivi non sono scindibili dagli atteggiamenti relazionali, motivazionali e affettivi degli studenti, dai loro livelli di partecipazione all'esperienza scolastica. Dunque un problema sostanzialmente educativo. Ci sembra pertanto ingenuo pensare che il ripristino del voto in condotta possa essere una misura di contenimento di comportamenti "eccessivamente disinvolti" o di contrasto ai fenomeni del bullismo.

 

Cittadinanza e Costituzione

L'attenzione allo studio della Costituzione e dei temi della cittadinanza è sicuramente apprezzabile (sono anni che il Cidi lavora con le scuole sulla base di un progetto intitolato A scuola di Costituzione ), quindi siamo convinti che sia importante approfondire tali temi, ma è necessario prendere atto che l'educazione alla cittadinanza non può essere l'obiettivo di un pacchetto di ore annuali - sottratto per altro all'insegnamento della storia e della geografia - in cui si ammucchieranno le più svariate educazioni (stradale, sanitaria ecc). Ci riserviamo comunque di esprimere un giudizio articolato dopo aver visto i contenuti del programma con cui si intende attuare la proposta.

 

Ripristino del valore abilitante del corso di laurea in Scienze dell'educazione

Era un atto dovuto. Cogliamo l'occasione però per sottolineare la necessità di ripensare al corso di laurea in Scienze dell'educazione che disegna un percorso senza alternative per i tanti giovani laureati che lo frequentano se rimane l'attuale misura governativa con la proposta dei massicci tagli di docenti e il ripristino del maestro unico.

 

Adozione dei libri di testo

Il provvedimento è molto ambiguo, non si capisce infatti come possa essere applicato. Che cosa vuol dire infatti "adottare libri di testo in relazione ai quali l'editore si sia impegnato a mantenere invariato il contenuto nel quinquennio"? Non si capisce come possa impegnarsi l'editore per cinque anni e come "ruota" nei cinque anni la possibilità di adozione da parte dei docenti. Per quanto riguarda il richiamo alle "appendici di aggiornamento", esso ricalca una idea, superata da tempo, di apprendimento come processo di accumulo progressivo di conoscenze. Inoltre, l'espressione "l'adozione dei libri di testo avviene con cadenza quinquennale e vale per il successivo quinquennio" contrasta con la libertà di insegnamento.

 

CIDi, piazza Sonnino 13, 00153 Roma; tel. 06 5809374; fax o6 5894077; e- mail:

mail@cidi.it

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1) Cm . 17 maggio 1993, n. 167, e Om. 2 agosto 1993, n. 236

2) Cm . 7 agosto 1996, n. 491

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