Libro bianco sulla scuola

bullet1 Premessa

PREMESSA

La posta in gioco

Alba sasso


La scuola del più forte


Lo scontro sulla scuola è oggi scontro tra idee profondamente diverse di società e di futuro. Letizia Moratti parte da un’analisi ingenerosa del sistema: “Non è competitivo – sostiene –, ci sono troppo insegnanti e hanno una mentalità impiegatizia”. Certo, Moratti tocca un nervo scoperto quando dice “La scuola italiana serve ai più bravi”. Ma la sua sbrigativa analisi e la sua altrettanto sbrigativa “ricetta” rappresentano un inaccettabile ritorno al passato. La scuola pubblica, statale - dice- ha fallito, non è in grado di fare formazione, affidiamo la formazione a chi la sa fare: la famiglia da un lato, il privato sociale dall’altra. Bocconi da una parte, San Patrignano dall’altra, in mezzo a deperire la scuola di tutti. Privilegi per alcuni, tutele e contenimento per i più deboli: una qualifica professionale, ma limitata a una specifica e singola mansione professionale, proprio oggi che ogni lavoro richiede maggiore sapere e ampiezza di preparazione; il sette in condotta; l’abolizione del valore legale del titolo di studio.

Nemmeno il modello della competitività sociale - ‘vinca il più forte’ -, ma il modello del privilegio e della sopraffazione sociale: ‘il più forte vince’. Chi ha più soldi e potere paga per avere in futuro più soldi e più potere. Ma non ha aspettato l’approvazione della legge delega la Moratti per avviare il suo programma di destrutturazione del sistema pubblico, di mano tesa alla scuola privata,di riproposizione non della scuola del ministero ma della scuola del ministro, di riduzione del ruolo degli enti locali nel governo del sistema.

Allora, riconoscimento di punteggio per gli insegnanti della scuola privata, esami di stato con commissioni tutte interne, immissione in ruolo per gli insegnanti di religione, tagli agli investimenti in finanziaria, riduzione degli insegnanti e conseguente riduzione di tempo pieno e tempo prolungato, classi affollate senza garanzia per i portatori di handicap, attacco all’autonomia come possibilità per la ‘scuola di tutti’ di articolare e arricchire i percorsi, di rispondere al disagio e all’eccellenza, di occuparsi di recupero, di educazione degli adulti e così via.

Allora, semplificazione di un modello di scuola, quella che in questi anni si è arricchita di percorsi, di idee, di progetti di lavoro: una scuola minima,quella della esclusiva lezione frontale, la scuola della maestrina Bellarmé – “quattro panche, una cattedra, il crocifisso…” Un modello di scuola che torna indietro nel tempo, che seleziona ed esclude.

Allora, il travisamento del ruolo delle famiglie, non contraenti di un patto, soggetti, tra gli altri, della comunità che educa, ma ‘controllori del prodotto’.

Allora un governo del sistema che propone un modello non solo centralistico ma piramidale - ministro, direttori regionali, dirigenti scolastici -, un modello di subordinazione e di obbedienza (Garagnani docet). Agli enti locali, alle regioni in particolare l’offa di governare una parte dei programmi, ma la scuola no: la scuola la governa il ministro, con gli occhi e le orecchie del re.

Il contesto, il campo è ormai definito: e tende a dare via libera a una controriforma, che sottrae la discussione al Parlamento e che sarà definita da atti amministrativi.


Una scuola ‘meno’


Èuna scuola meno quella della Moratti, meno istruzione, meno cultura, meno obbligo scolastico, meno partecipazione, meno autonomia, meno collegialità . Proprio oggi che serve che tutti siano più ricchi di sapere, di cultura, di istruzione. Per essere più forti, per rendere il Paese più forte.

Una scuola a due velocità sin dal primo ciclo (che altro è quest’anticipo pasticciato, questa volontà di valutare i “rendimenti” sin dai primi anni ?); una canalizzazione precoce (a dodici anni e mezzo) in percorsi separati e gerarchicamente organizzati: l’istruzione da un lato, la formazione professionale dall’altro.

Una scuola che si limita a rilevare differenze e squilibri sociali e anzi li rende principi regolativi della sua fisionomia e della sua funzione: un malthusianesimo di ritorno. Poi chi può, chi vuole e chi sa si pagherà una formazione di eccellenza.

La differenza è proprio qui: tra chi pensa che questa è modernità, che si va avanti liberandosi della zavorra dei più deboli, comprimendo i diritti di tutti, rispondendo ai bisogni più avari e congiunturali dell’impresa, e chiamando tutto questo “necessità dello sviluppo”e chi pensa che questa è una proposta miope, recessiva, che si allontana consapevolmente da una prospettiva europea, un boomerang per il futuro del Paese, e per la sua stessa economia.

Il progetto di Moratti non è solo iniquo: non funziona e la storia di altri paesi sta a dimostrarlo. Con le scuole ‘separate’ di Moratti non c’è linfa per la democrazia, perché consapevolmente si rinuncia a costruire un luogo plurale e pubblico, comune di formazione delle nuove generazioni. Un luogo di formazione alla cittadinanza, dove nell’incontro tra storie diverse, culture diverse, religioni diverse si impari a condividere il patrimonio di sapere e conoscenza, che fa l’identità di un paese, ne costruisce storia e cultura, premessa e condizione per la costruzione di una comune etica pubblica.

Nelle scuole delle enclaves non ci si libera dalla gabbia del pregiudizio, dal conformismo dell’appartenenza. E forse è proprio questo che non si vuole e di cui non si sente il bisogno: di una scuola che abitui a pensare.

Questo modello utilitaristico di cultura, questo modello avaro di economia mettono in circolo disvalori, propongono stili di vita e comportamenti improntati all’egoismo, all’individualismo, all’aggressività e al razzismo. Mai come in questo momento appare profetico quanto denunciato nel 1931 da A. Huxley: “Nell’era della tecnologia avanzata il maggior pericolo per le idee, la cultura e lo spirito potrebbe venire da un nemico dal volto sorridente, piuttosto che da un avversario che ispiri odio e terrore”.



Non si torna indietro


Ma la scuola è più avanti rispetto alle idee, che sostengono l’iniziativa legislativa che la vuole modificare. Per i processi che l’attraversano e che l’hanno attraversata. Per le domande inedite, nuove e difficili a cui ha dovuto rispondere nella quotidianità, spesso in solitudine. E allora adesso diventa un valore la sua lentezza, la sua capacità di elaborare nel tempo, di conservare pensiero, di intrecciare e accumulare esperienza e riflessione, di resistere a ogni semplificazione.

Non si torna indietro rispetto alla capacità progettuale della scuola, rispetto ai mille fili che si chiamano ricerca e innovazione già attuata e sperimentata. Ma una sfida culturale che ha per tema l’idea della democrazia, l’idea dello sviluppo del paese la scuola non può affrontarla, né vincerla da sola.

Non si tratta solo di una battaglia per la difesa della scuola pubblica; si tratta di difendere, valorizzare il luogo pubblico e laico dove si trasmettono e si costruiscono la fisionomia e l’identità culturale del paese, dove si avviano percorsi di vita e di futuro delle nuove generazioni. È a loro che dobbiamo quest’impegno e questa battaglia.

    Il libro bianco sulla scuola dal sito http://www.aprileperlasinistra.it