Scuola elementare, Scuola primaria…

Garantire le “buone pratiche”

 

Tra le novità più significative proposte dal decreto legislativo per la scuola elementare, ora denominata scuola “primaria”, si segnalano la questione del tempo scuola e l’organizzazione dell’equipe docente.

 

Se 27 ore vi sembran poche: l’organizzazione del tempo scuola nella scuola elementare

 

Viene previsto (art.7 del Decreto legislativo) un nuovo regime dell’orario scolastico, articolato in una quota obbligatoria (di 891 ore annue, in linea di massima 27 ore settimanali per 33 settimane), in una quota opzionale facoltativa (di 99 ore annue, quantificabili in 3 ore settimanali) e nel tempo da dedicare ai servizi di mensa e dopomensa (che può “spingersi” fino a 330 ore annue, cioè 10 ore settimanali), ovviamente facoltativi per gli utenti.

È la prima volta che nell’ordinamento si specifica la diversa finalizzazione degli orari scolastici, anche se nella legge di riforma del 1990 (poi rifusa negli articoli del T.U. del 1994) permanevano inconguenze tra l’orario del tempo pieno (di 40 ore settimanali) o del tempo lungo (fino a 37 ore settimanali), entrambi comprensivi del servizio di mensa, e l’orario “modulare” (con la variante 27-30 ore settimanali, in relazione all’insegnamento della lingua straniera) calcolato al netto di tale servizio, che veniva però garantito di fatto con la formula della permanenza (e non solo dei rientri) dei ragazzi a scuola. A tal fine una parte dell’orario di insegnamento dei docenti era impegnato (sia nel tempo pieno, sia nell’organizzazione modulare) per assicurare la necessaria assistenza educativa durante le fasce orarie di permanenza alla mensa e all’interscuola.

Viene ribadito che le attività che si svolgono in orario opzionale/facoltativo sono gratuite per gli utenti e la loro frequenza diventa obbligatoria, una volta che sia stata operata (annualmente) questa scelta, da parte delle famiglie. Ancora, è fatto obbligo alla scuola di organizzare tali attività e di offrirle come opportunità ai genitori. Questo implica l’esigenza di una specifica e chiara progettazione da parte delle scuola anche dei tempi facoltativi ed opzionali (nonché dei servizi di mensa e dopomensa), anche per garantire quell’unitarietà dell’esperienza educativa degli allievi (e quindi delle loro giornate scolastiche) che è ora richiesta dal decreto legislativo (art.7, comma 9) .

Va sottolineata la sovrapposizione che si determina nel testo del decreto, tra attività opzionali ed attività facoltative. In termini pedagogici (e linguistici) con opzione si intende l’espressione di una scelta tra più alternative offerte ad un soggetto (fermo restando l’obbligatorietà della frequenza, in quanto compresa in un progetto complessivo predisposto dalla scuola). Questa è, in punto di diritto, l’interpretazione suggerita dal Regolamento dell’autonomia (Dpr 275/99) che distingue nettamente (all’art. 4, comma 4) le attività opzionali (cioè una scelta all’interno di un’offerta obbligatoria: “agli studenti e alle famiglie possono essere offerte possibilità di opzione”) dalle attività facoltative (attività aggiuntive all’orario curricolare, che si possono frequentare o meno), come possibile ampliamento dell’offerta formativa (art. 9 del Regolamento).

Va da sé che le attività opzionali rappresentano l’impegno della scuola ad interpretare i diversi bisogni formativi degli allievi, offrendo loro proposte anche differenziate, ma nell’ambito di un progetto unitario, con l’obiettivo di favorire capacità di auto-orientamento, motivazioni, partecipazione dei ragazzi alla propria formazione. L’attività facoltativa sembra invece rimesse direttamente alle decisioni delle famiglie e quindi la sua eventuale scelta dipende da fattori (esterni) alle dinamiche scolastiche. È pur vero che gli insegnanti dovranno orientare i ragazzi nella scelta delle attività ma resta sempre la percezione di una scelta “esterna” rispetto al progetto della scuola. Inoltre, fa riflettere l’affermazione del decreto, là ove si associa il concetto di personalizzazione alla partecipazione alle attività facoltative/opzionali (forse che se un ragazzo non sceglie alcuna attività facoltativa, per lui non valgono i “piani di studio personalizzati” ?).

 

 

I contenuti degli allegati: aspettando i curricoli nazionali

 

Il decreto assegna agli allegati contenenti le Indicazioni Nazionali per i tre livelli scolastici (A-B-C) ed il Profilo di uscita (D) una più limitata funzione transitoria, in attesa della emanazione degli indirizzi curricolari nazionali previsti dall’art. 8 del Regolamento dell’autonomia. Va ricordato che la legge 53/2003 impone di definire il “nucleo fondamentale” dei piani di studio scolastici, che dovranno essere considerati i “livelli essenziali delle prestazioni” in materia di diritto all’istruzione. Poiché le attuali Indicazioni sono il frutto di un’operazione di elaborazione culturale assai unilaterale e ridotta, il rinvio a processi di definizione di curricoli nazionali potrebbe aprire la strada a strategie più aperte e condivise di partecipazione della comunità scientifica e professionale all’emanazione di nuove indicazioni programmatiche.

Le Indicazioni nazionali, pertanto, non sono i nuovi curricoli nazionali e le attività di ricerca, formazione e innovazione delle scuole dovranno tenere conto di una pluralità di fonti culturali in continua evoluzione (i programmi vigenti, il dibattito sui “saperi essenziali”, le proposte di curricolo verticale della Commissione De Mauro, i materiali più recenti, gli esiti delle sperimentazioni, ecc.). Occorre diffidare, dunque, di chi propone l’interpretazione “autentica” del progetto culturale della scuola italiana. Le stesse attività di formazione e-learning gestite dall’INDIRE hanno senso solo se offrono effettivi spazi di ricerca, dibattito ed approfondimenti, aperti a più interpretazioni.

 

 

L’organizzazione del team docente: il “tutor” che non c’è

 

Va precisato che il testo del decreto non utilizza la terminologia di “tutor” per identificare un docente cui attribuire particolari funzioni. Questo termine è presente nella legge 53/2003, ma unicamente riferito al docente incaricato di progettare i percorsi formativi in alternanza tra studio e lavoro. Nulla si dice per la scuola primaria, né – più in generale – vengono precisate le finalità e le caratteristiche delle funzioni di tutorato. Si trova solo un fugace richiamo ad una serie di funzioni o di figure professionali nell’articolo relativo alla formazione in servizio degli insegnanti (affidata alle Università). Dovremo pertanto interpretare con molta acutezza giuridica i commi 5-6-7 dell’articolo 7 del decreto legislativo, confrontandoli anche con  l’interpretazione “culturale” che di questa figura del tutor si dà nei documenti via via elaborati nel corso degli ultimi due anni (Indicazioni, Raccomandazioni ed Esemplificazioni). Ma, appunto, si tratta di una interpretazione culturale e pedagogica (non sempre espressa con chiarezza, quasi mai motivata), che non ha una cogenza giuridica, se si esclude il D.M 18-9-2002 che avviava esclusivamente per l’a.s. 2002/2003 un programma nazionale di innovazioni (in 251 scuole italiane), alquanto “limitato” dai successivi provvedimenti transitori (DM 61/2003). Gli stessi esiti della sperimentazione, in materia di docente-tutor, si prestano a valutazioni differenziate (nella relazione finale si afferma che la figura del tutor ha suscitato preoccupazioni e atteggiamenti di diffidenza).

Del decreto vanno considerate alcune sottolineature, per ognuna delle quali riportiamo qualche considerazione in corsivo:

 

*) si intendono valorizzare alcune funzioni educative connesse all’attività di insegnamento, in termini di tutoraggio degli allievi, orientamento degli stessi, coordinamento didattico, rapporti con i genitori, documentazione e valutazione.

**) è opportuno attivare gruppi di ricerca interni alla scuola per ”esplorare” le diverse caratteristiche di ogni funzione: fonti, modelli operativi, buone pratiche, ecc. Es: la funzione di tutoring è diversa da quella di coaching,la funzione di holding è altro rispetto al  counceling, ecc.

 

*) si chiede di assegnare queste funzioni ad un solo docente, per assicurare la coerenza e l’unitarietà degli interventi;

**) questo assunto appare discutibile, perché è evidente il rischio di una gerarchizzazione di funzioni tra i docenti di una equipe pedagogica, soprattutto se alcuni docenti fossero “privati” di aspetti qualitativi della funzione docente (il tutoring o il rapporto con i genitori o la valutazione sono funzioni intimamente connesse alla funzione docente); tutt’al più si potrebbe affidare ad uno dei docenti titolari della classe un coordinamento di team, come garanzia di unitarietà e tenuta del gruppo docente;

 

*) il docente cui vengono assegnate le funzioni “arricchite” esplica un orario dedicato all’insegnamento di almeno 18 ore settimanali (non si specifica se da rivolgere agli alunni della stessa classe);

**) questa previsione sembra precostituire un diverso regime contrattuale di orario (ridotto) solo per alcuni docenti; la cosa in sé non è negativa, ma va vista in una logica contrattuale (incentivi, articolazione di funzioni, formazione) e comunque occorre valutare le conseguenze sulla qualità dell’insegnamento di una eccessiva contrazione degli orari; il rischio è di considerare “insegnamento” sempre e comunque una attività “frontale”;

 

*) le funzioni arricchite devono essere svolte dal docente incaricato, con l’apporto dei colleghi “contitolari” della medesima classe;

**) è possibile forzare l’interpretazione del decreto distribuendo le funzioni di “tutoraggio” tra tutti i docenti titolari della classe (ogni docente accompagna in forme tutoriali solo alcuni allievi; tutti i docenti condividono la funzione “tutoriale”;altro è il problema del coordinamento didattico;

 

*) la responsabilità delle attività didattica ed educative è affidata ai docenti (al plurale) assegnati (e quindi titolari) della classe;

**) scompare il concetto pedagogico e giuridico di modulo (cioè di raggruppamento di 2 o 3 classi affidate ad un team docente). L’unità di riferimento (anche giuridico) è la singola classe, cui è preposto un gruppo di docenti (non si indica il numero di tali docenti). Si mantiene, dunque, l’idea di team docente, con responsabilità condivisa della classe (“contitolarità didattica”)

 

L’assegnazione ad un unico docente delle funzioni tutoriali mette in discussione l’impianto della pluralità docente e, prima ancora di creare gerarchie tra i docenti, porta ad uno svilimento della funzione docente in questo ordine di scuola. Non si può accantonare il ruolo strategico del team, inteso come luogo della condivisione e della collegialità, ma anche come il luogo entro cui meglio esplicitare le competenze del singolo docente all’interno del gruppo nella salvaguardia dell’unitarietà dell’insegnamento.

Le scuole, nella loro autonomia, dovrebbero salvaguardare il lavoro collegiale (almeno 2 docenti nell’attuale primo ciclo e nel tempo pieno e 3 docenti nel secondo ciclo – si vedano la C. M. 116/1996 e gli orientamenti di riferimento). Una tale soluzione è compatibile con il nuovo assetto e sta entro i  limiti dell’organico garantito per il prossimo anno scolastico. Tutto diventa più difficile con un organico ridotto (nel decreto legislativo si rinvia alle leggi finanziarie che di volta in volta possono operare tagli di personale).

 

 

I nodi della progettazione organizzativa

 

Piuttosto che proporre esempi già concretamente dettagliati (che ricadono ormai nell’ambito della piena autonomia dei docenti) è utile soffermarsi sulle variabili che vanno a comporre un modello organizzativo.

 

a. Alcuni criteri per l’organizzazione del tempo scuola

 

1) tempo settimanale: è possibile per la scuola offrire un modello “ricco” ai genitori, assestato sulla fascia alta della quantità oraria (ad esempio, 30 ore settimanali), comprendenti anche momenti opzionali per gli allievi (es.: 3 ore). I genitori vanno comunque informati circa il loro diritto di avvalersi anche dell’orario “minimo” (chiarendo le controindicazioni in termini di qualità dell’insegnamento di un orario eccessivamente compresso);

 

2) l’offerta ai genitori può prevedere anche l’indicazione dei servizi accessori garantiti (mensa, interscuola), con la configurazione della settimana (su 5 o 6 giorni, con rientri pomeridiani, preferibili nel caso ci si orienti verso la fascia “arricchita” dell’orario). Ad esempio 33 ore comprensive di 3 ore per i servizi di mensa, con due rientri pomeridiani; o altre soluzioni simili che offrono tempi adeguati al servizio di mensa e dopomensa;

 

3) il rientro pomeridiano (meglio la permanenza) non rappresenta più un obbligo formale, ma va “motivato” con i genitori alla luce di considerazioni pedagogiche (tempi più distesi, successione equilibrata di attività) e sociali (vita di relazione, integrazione di esperienze, ecc.);

 

4) è possibile garantire un’offerta settimanale di 40 ore corrispondente all’attuale tempo pieno, strutturato in 5 giornate di 8 ore ciascuna, con pause adeguate per la mensa ed il dopo mensa (ad es.:2 ore giornaliere). In questo caso i genitori devono esprimere il loro gradimento per l’intero “pacchetto” integrato di 40 ore. Eventuali scelte differenziate sulle diverse attività (che vanno prospettate ai genitori) mettono a rischio la possibilità di aver garantito il doppio organico dei docenti per ogni classe ad orario pieno (tempo pieno); 

 

5) le attività opzionali-facoltative assumono una piena rilevanza curricolare. Dovrebbero riguardare insegnamenti “fondamentali” espansi ed intensificati attraverso approfondimenti di contenuti e adozione di metodologie operative (produzione culturale, laboratorio, socializzazione di conoscenze, ecc.);

 

b. Alcuni criteri su pluralità docente e funzioni tutoriali

 

6) va assolutamente esclusa la distinzione tra docenti titolari di insegnamenti curricolari e docenti titolari di soli laboratori; ogni docente deve poter gestire insegnamenti curricolari e laboratori, in base a effettive competenze e attitudini;

 

7) è consigliabile una iniziale distinzione delle discipline tra almeno due grandi ambiti (quello della lingua e dei linguaggi; quello delle scienze e matematica); esiste poi l’opportunità di aggregare insegnamenti di storia e geografia all’ambito linguistico;

 

8) l’insegnamento delle 18 ore (fino alla terza classe) non è vincolante che avvenga nella stessa classe, rivolta al medesimo gruppo di alunni. Esempio: si possono ipotizzare 15 (12) ore in una classe, con leggera prevalenza, e 3 (6) ore in una altra classe, nella quale si opererà con maggiore frequenza  a partire dalle classi successive. La seconda figura di insegnante potrebbe assicurare, tendenzialmente una presenza paritaria di 11 ore in ciascuna delle due classi di insegnamento;

 

9) le 18 ore “di insegnamento” devono considerarsi comprensive anche del tempo eventualmente dedicato all’assistenza educativa alla mensa e al dopo-mensa, in quanto contrattualmente equiparate; una certa elasticità nella configurazione degli orari consente di recuperare un migliore equilibrio nel team e assicurare alcune fasce di compresenza;

 

10) i tempi del coordinamento dovrebbero essere riconoscibili anche in forma di incentivo economico (per non ridurre tempi di compresenza “pregiata”). Per lo stesso motivo i tempi per i servizi di mensa non dovrebbero andare a discapito dei tempi di compresenza;

 

11) la figura del tutor (ma non chiamiamolo così) potrebbe caratterizzarsi soprattutto come figura di “coordinamento” dell’equipe pedagogica, per assicurare la condivisione e la tenuta unitaria del gruppo docente, per realizzare una piena responsabilità nello svolgimento delle funzioni arricchite. Infatti è opportuno che le funzioni di tutoraggio, di orientamento, di valutazione,  di rapporto con i genitori, siano svolte con ampie forme di collegialità e condivisione (in accordo tra i docenti, come recita il decreto).


 

Materiali di riflessione a cura dei gruppi nazionali scuola dell’infanzia, scuola elementare, scuola media, del CIDI