Quale futuro per il tempo pieno ?

Loretta Lega

Il futuro del tempo pieno è una questione ancora del tutto aperta. Intanto, la legge delega (n. 53 del 28-3-2003) di riforma non indica criteri particolari in merito al tempo scuola e al tempo pieno cui il legislatore delegato (il Governo) dovrà attenersi nell'emanare i decreti legislativi (entro i prossimi due anni). Possiamo trovare alcuni indizi sugli scenari futuri nei materiali (bozze di indicazioni curricolari nazionali) elaborati in occasione della sperimentazione (DM 100/2002): in alcuni passaggi si trova un richiamo a 30 ore settimanali di tempo scuola obbligatorio; in altri, viene confermata la "quantità totale" del tempo scuola "erogato" ai ragazzi (40 ore); di fatto, in queste prime "manovre" verso la riforma, l'organico docente del tempo pieno (tendenzialmente due docenti per ogni classe) non è stato messo in discussione.

In qualche ulteriore ipotesi si è avanzata l'idea di una ristrutturazione interna del tempo pieno articolato in 30 ore curricolari obbligatorie, in 3 ore facoltative e in 7 ore per i "servizi" di accoglienza. C'è poi da dire che alcune proposte contenute nelle "esemplificazioni" fatte filtrare dal Ministero (che non hanno però alcuna rilevanza giuridica) erano assai discutibili, come quella di differenziare nella coppia docente del tempo pieno, un docente tutor da un docente "non-tutor" solo in base al numero delle "mense" che sarebbero accollate all'uno o all'altro dei docenti (poche al tutor, molte al non-tutor). In altri esempi (raccomandati !) si raggiungeva l'incredibile numero di 6-7 docenti da far ruotare in una classe a tempo pieno, con spezzoni orario di diversa dimensione. Un risultato del tutto opposto rispetto all'aspettativa di un modello organizzativo "semplice" e "disteso".

Insomma, chi sta lavorando all'attuazione delle riforma sembra non conoscere fino in fondo la storia, le caratteristiche, i punti di forza, la credibilità della scuola a tempo pieno italiana.

Sappiamo, infatti, che il tempo pieno riscuote un notevole successo "di pubblico e di critica", interessando una percentuale di alunni superiore al 25 % di tutti i frequentanti le scuole elementari italiane, con punte superiori al 50 % in molte province. Questo fatto dovrebbe rendere cauto il legislatore delegato (anche in carenza di esplici criteri nella legge di delega) nel "manomettere" con troppa superficialità e disinvoltura un modello "organizzativo" che ha oltre 30 anni di storia alle spalle (è nato infatti nel lontano 1971) e che ha rappresentato un punto fermo importante nella storia della scuola elementare di questi anni.

Questo non significa che nel tempo pieno italiano non ci siano aspetti da riesaminare, questioni da approfondire, elementi da modificare. Ma tutto ciò richiede l'apertura di un processo di autoanalisi, di riflessione critica, di partecipazione "corale" di docenti e genitori ad un dibattito che può e deve appassionare di più dei dettagli sugli schemi orario: quali i tempi di vita, di relazione e apprendimento dei bambini oggi ? e delle famiglie ? e della città ? come utilizzare il tempo scuola per qualificare l'ambiente di apprendimento ? come costruire un progetto educativo a misura di ogni bambino, senza entrare in una logica di competizione e di esclusione ?

Certamente si può (anzi, è necessario) aprire un dibattito "pubblico" sul futuro della scuola a tempo pieno in Italia. Ciò non può avvenire nel chiuso di qualche ufficio legislativo, troppo lontano dagli umori veri di chi frequenta la scuola. Le vere riforme si fanno a partire da questi umori, da queste esperienze, da queste "passioni". Non c'è spot che tenga...

Loretta Lega
Presidente del Cidi di Forlì