Affettività


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Affettività


Che ruolo ha nell'uomo

Gli "ingredienti" dell'uomo.
Non è possibile capire che ruolo possa avere l'affettività nell'uomo senza prima chiarire anche sommariamente chi sia l'uomo e soprattutto come sia fatto. Proviamo perciò ad usare un'immagine banale ma chiarificatrice.
Se dovessimo fare una torta dovremmo prendere della farina, dello zucchero, delle uova, del latte, impastando tutto senza dimenticare il lievito. Di cosa è impastato l'uomo? Quali sono, per così dire, i suoi "ingredienti"? Il primo che sicuramente vediamo è il corpo. Ma se facciamo attenzione non è solo corpo, altrimenti sarebbe un animale come altri. Nell'uomo c'è anche l'intelligenza, la sua capacità di ragionare sulle cose e su se stesso. Ma anche l'intelligenza non è sufficiente a fare la "torta" dell'uomo, perché non si riduca ad una sorta di computer che si muove. L'uomo sente le cose che fa, ne rimane coinvolto perché è intriso di sentimento, di affettività. Ma anche questo non basta perché l'uomo sia se stesso: ci vuole una sorta di volante che gli permetta di dirigere la sua vita: la volontà. Questi sono fondamentalmente i quattro "ingredienti" dell'uomo:
- corpo
- intelligenza
- affettività
- volontà.
E l'uomo e uomo se questi 4 "ingredienti" non prevaricano l'uno su l'altro ma sono armonicamente in relazione fra di loro. Per questo si potrebbe dire che il "lievito" che permette all'uomo di essere uomo è proprio la relazione .


L'affettività.
La cultura contemporanea la mette esageratamente in rilievo l'affettività facendone quasi unico criterio di scelta e di decisione. Spesso si dice: "lo faccio se mi sento", "non mi sento". Cos'è questo "sentire"? Il "sentimento" è un aspetto della nostra realtà affettiva insieme agli umori e alle emozioni. Ma se non si ha chiaro cosa sia e a cosa serva l'affettività rischiamo di svuotarla di quanto più prezioso ha da dare alla nostra umanità.

La definizione dell'affettività è piuttosto complessa. Per semplicità la si può esporre sotto due aspetti:
1. La risonanza (l'effetto)che si produce in noi sul piano del piacere e del dolore riguardo la soddisfazione o meno dei bisogni di una persona (fame, sete, bisogno di amicizia, di conoscere...).
2. L'aspetto energetico (come una sorta di carburante psicologico) che spinge e sostiene un'azione o un comportamento utile a soddisfare un bisogno.
Il n° 1 segnala se l'obbiettivo è stato raggiunto, mentre il n° 2 è l'energia per raggiungere l'obbiettivo.
Ora possiamo passare in rassegna le tre espressioni tipiche dell'affettività umana: emozioni, umori e sentimenti .

Le emozioni.
L'emozione è uno stato affettivo molto intenso che si prova trovandosi di fronte ad un fatto nuovo e diverso rispetto a ciò che per una persona costituisce la "normalità". 
Nell'emozione si riconoscono due livelli:
A. Reazione di sorpresa (che è sempre presente);
B. Reazione specifica che dipende dal tipo di fatto inatteso e dal bisogno che viene coinvolto: spavento, paura, collera, gioia.
Presenta poi due componenti esterne :
1. Fisiologica , cioè una reazione sul nostro corpo:
- sudorazione;
- aumento della pressione sanguigna;
- aumento del battito cardiaco;
- alterazione della respirazione;
- dilatazione della pupilla e altra che variano da emozione ad emozione.
2. Comportamentale , in seguito ad una emozione, specie se forte mettiamo in atto dei
- movimenti del corpo
- espressioni del viso
- esclamazioni
- comportamenti,
sono normalmente esagerati e non adeguati alla situazione, per questo anche pericolose (le persone prese dal panico per un incendio si accalcano alle uscite rischiando di morire soffocate o schiacciate; una persona che per un'impeto di gioia si distrae mentre attraversa la strada...).

Gli umori.
Rispetto alle emozioni, in genere forti e legati ad una causa ben precisa, gli umori sono degli stati affettivi durevoli, poco coscienti, senza un oggetto a cui si rivolgono e senza uno stimolo chiaro che li ha causati. Si è tristi, malinconici, nervosi o gioiosi senza sapere bene il perché. Corrisponde a quel che si dice "avere le lune" o "alzarsi con la luna storta". Si definiscono come piacevoli o spiacevoli di bassa o alta tensione:

Piacevoli :  Spiacevoli :
esaltato  depresso
gaio  malinconico
lieto  triste
contento  scontento
calmo  teso

I motivi che li fanno emergere sono i più svariati:
- alterazioni fisiologiche (a livello ormonale e chimico-nervose, ecc.)
- situazioni fisiche (tasso di ossigeno nell'aria, pressione atmosferica, rumori, ecc.)
- situazioni sociali (non essere accettato dagli altri, non accettare gli altri...)
- situazioni personali (alto o basso concetto di sé).

Prima conclusione.
Per comprendere meglio la terza espressione dell'affettività (il sentimento), tiriamo subito una prima conclusione sul mondo affettivo che emerge dalla breve analisi delle emozioni e degli umori che vale anche per il sentimento: il mondo affettivo si dimostra pre-libero . In altre parole le reazioni affettive non sono ancora libere, perché riflessi condizionati da fattori esterni alla persona che provocano delle reazioni automatiche . Emozioni, umori e quindi sentimenti, nascono senza la consapevolezza della persona e senza la sua decisione. Perciò una persona che si muove e decide solo in base ad emozioni, umori e sentimenti non è libera e se non è capace di gestire l'affettività può rischiare l'autodistruzione come testimoniano le frequenti depressioni ed esaurimenti delle persone nella società moderna. L'affettività è una realtà non solo positiva ma essenziale ed irrinunciabile nella vita umana ma nella misura in cui è vissuta insieme alle altre componenti della persona. Essa va conosciuta, incanalata ed integrata attraverso l'intelligenza (aspetto conoscitivo) e la volontà (aspetto decisionale). Solo così nasce un comportamento ed un agire libero, e non condizionato da fattori esterni che provocano emozioni ed umori. E questo vale anche per i sentimenti.

I sentimenti.
I sentimenti altro non sono che emozioni diluite nel tempo . Perciò la paura diventa angoscia, la collera diventa odio, la simpatia-infatuazione diventa innamoramento. Esaminiamo ora il sentimento-emozione "principe", quello più discusso e meno capito: l'innamoramento.

L'innamoramento.
Come ogni sentimento l'innamoramento nasce da un'emozione forte o graduale che nasce spontanea (non può essere imposta a se stessi né pretesa dagli altri) nella quale si proiettano nell'altro aspettative, bisogni desideri. Per usare un'immagine, è come contemplare la propria immagine riflessa negli occhi dell'altro. In fondo l'altro di cui ci si innamora è solo un'occasione esterna che suscita il sentimento ma che in realtà non c'entra, perché l'innamoramento è una fatto ancora soggettivo e tendenzialmente narcisistico.

Come nasce.
Dentro di noi c'è un naturale bisogno di completezza. Senza che noi ci accorgiamo durante la nostra crescita, fin da piccoli, ci costruiamo un io ideale che è la somma delle cose che in noi ci piacciono e delle cose che ci mancano. Durante l'adolescenza (che è la vostra fase), che inizia dai 11 anni sino ai 22, 25, 30 anni (a seconda delle persone e delle loro situazioni) nasce spontaneo questo fenomeno affettivo, che chiamiamo innamoramento. Quando si incontra un ragazzo (per lei) o una ragazza (per lui) che ci colpisce perché dimostra di avere uno degli elementi che compongono il nostro "io ideale" (che è dentro di noi), lo fa un po' come esplodere all'esterno (così come avviene per l'airbag di una macchina dopo un urto). Questo nostro "io ideale", che è "esploso" all'esterno, riveste la persona esterna che l'ha involontariamente provocato della nostra immagine interna.

I sintomi.
Come ogni espressione affettiva anche l'innamoramento ha dei sintomi che sono di due tipi: fisiologici (che riguardano il nostro corpo) e psicologici (che riguardano la nostra interiorità).
FISIOLOGICI:
- accelerazione del battito cardiaco
- alterazione del ritmo respiratorio
- sudorazione
- leggerezza alla testa e a volte vertigine
PSICOLOGICI:
- costante presenza mentale della persona di cui si è innamorati
- scomparsa delle tensioni e ansie per le preoccupazioni quotidiane
- atteggiamenti entusiastici (un po' "folli")

Non è ancora amore.
Quello dell'innamoramento è un sentimento bellissimo ma non è ancora amore. Infatti sono due esperienze completamente distinte anche se legate fra loro. Infatti, mentre l'innamoramento e un fenomeno affettivo (pre-libero) in cui il soggetto siamo ancora noi (e non l'altro di cui ci siamo innamorati), l'amore e una realtà pienamente umana che non comprende solo l'affettività ma tutta la persona con la sua intelligenza (conosce l'altro nella sua realtà e non nella mia immagine) e la sua volontà (scelgo l'altro perché l'altro è importante per me al di là dei suoi limiti che ora conosco). Inoltre è chiaro che il soggetto non sono più io ma siamo in due: un "io" che si apre ad un "tu" che ricambia.

Concludendo bisogna tener ben chiaro che l'innamoramento può anche diventare poi amore ma non è amore. Perché lo diventi deve essere reciproco e deve innescarsi un processo interamente umano che coinvolga anche gli altri aspetti della persona.
Soprattutto le prime esperienze di innamoramento (quelle adolescenziali) per quanto siano forti ed intense (proprio perché sono le prime e non si erano mai sperimentate prima), sono ancora da lasciar maturare. Perché? Il motivo sta che nei primi anni dell'adolescenza la nostra "macchina umana" è ancora in formazione, si sta ancora bene "assemblando": non si è più bambini ma non si è ancora adulti. Allora evitiamo di spingere l'acceleratore ad una macchina a cui mancano ancora dei pezzi o dei bulloni per non sfasciarla subito. In questi primi tempi è invece più importante preparare bene il terreno all'amore, togliendo erbacce, pietre, concimandolo e innaffiandolo. Si tratta di crescere come persone capaci di rapporto, di dono, di amicizia, con tutti gli aspetti di lealtà, generosità, sincerità che saranno gli strumenti affinché un sentimento possa diventare un vero atto umano, un atto di una persona libera e responsabile .

(dal sito: http://www.somgiovani.it/areagiovani/psicologia/dossier1a.htm)


Educatori e affettività

di: Davide Rambaldi

In ogni professione che si occupi di relazioni (educative, assistenziali, terapeutiche, di apprendimento) l'affettività è un nodo, un problema centrale che le diverse istituzioni e i diversi saperi professionali risolvono diversamente. In generale, nonostante siano passati quasi cento anni dalla prima teoria dell'affettività (la psicoanalisi), la considerazione dell'incidenza delle pulsioni, motivazioni e ragioni affettive all'interno delle professioni "relazionali" e nei servizi corrispondenti è ancora molto scarsa. L'unico ambito nel quale la riflessione sull'affettività è costante e determina profondamente le pratiche (terapeutiche) della professione è quello psicologico-psichiatrico, cioè l'ambito stesso in cui le teorie dell'affettività sono nate e sviluppate.

E' probabilmente una conseguenza di molteplici fattori il motivo per cui si sono utilizzate poco in chiave analitica ed euristica le potenzialità di tali teorie e riflessioni: in primo luogo per il profondo radicamento nell'epistemologia moderna del modello (filosofico ed etico) razionalistico, che connota specificamente la cultura occidentale dai suoi albori; in seconda istanza per la parcellizzazione e la specializzazione del sapere nel Novecento e infine per una resistenza tenace degli altri saperi di difendere la propria specificità, storia e identità epistemologica.
Comunque sia, conseguenza di questo "ignoramento" sia della problematica affettiva sia degli esiti dei suoi approcci teorici nelle istituzioni che si occupano di relazioni, è una ricaduta "pesante" nelle pratiche professionali -anche se negli ultimi anni vi è un tentativo di un cambiamento di rotta-, giacché se l'affettività è negata, rimossa o comunque non affrontata non vi è la possibilità di elaborarla consentendone un maggior controllo e migliorando così i livelli di consapevolezza, comprensione e intervento delle pratiche istituzionali e professionali.

Facciamo alcuni esempi classici.

Il medico e il suo paziente

La pratica medica occidentale nega totalmente l'affettività, in quanto per portare avanti i propri compiti ha fondato e sedimentato un sistema teorico e clinico che "oggettualizza" il corpo. In questo modo il chirurgo può aprire la pancia del paziente e operare senza sentirsi coinvolto da processi emotivi che frenerebbero le possibilità di cura del malato. Negare completamente l'affettività della relazione è insieme una strategia difensiva (non sentirsi coinvolti) e una strategia operativa (riuscire a curare).
Il problema della mancata elaborazione di questa negazione è che la relazione medico-paziente non si esaurisce in questo caso nella pratica chirurgica o in generale nella pratica clinica, ma si inserisce in un contesto che ne riproduce il modello senza che questo sia funzionale ai compiti terapeutici. In altre parole: il chirurgo riesce diagnosticare e operare la mia milza malata e insieme rischia di trattarmi da milza; la disumanità dei rapporti di ruolo in un ospedale, la negazione del malato come persona sono conseguenze di questa mancata elaborazione. Non è un caso che da più parti vi sia un invito all'epistemologia medica di riconsiderare i propri modelli teorici, clinici e terapeutici ai fini di migliorare le relazioni con il paziente e i contesti nei quali opera -senza che questo naturalmente significhi mettere in discussione globalmente un modello che sotto molti punti di vista si rivela vincente.
Se consideriamo altri contesti relazionali, il problema della rimozione delle implicazioni affettive assume per certi versi esiti vistosi e paradossali e forse più preoccupanti rispetto alle conseguenze che si verificano nel settore sanitario. Parliamo della scuola e dei processi di apprendimento.

A scuola nessuna affettività

Ancora oggi il modello scolastico propone una relazione tra insegnanti e allievi fondata sui contenuti da far imparare. Nessuna formazione -se non, oggi, per gli insegnanti elementari- sui processi affettivi che entrano nell'apprendimento, sulla complessità psico-antropologica della relazione. L'insegnamento è affidato al caso (le naturali capacità relazionali insieme a quelle professionali, relative ai contenuti, dell'insegnante) in un contesto in cui gli spazi, i tempi, i ruoli sono definiti istituzionalmente in un senso di potere assoluto -e spesso inutile, visti i risultati- dell'adulto/insegnante rispetto agli allievi (soggetti "ignoranti" e passivi a cui imprimere i saperi indiscutibili dell'istituzione); l'apprendimento è completamente delegato agli allievi, cioè alle loro risorse culturali e motivazionali, in definitiva sociali.
Anche in questo caso la negazione dei processi affettivi nella relazione, delle strategie affettive nei processi di apprendimento ha una ricaduta nella pratica istituzionale dell'insegnamento: in primo luogo l'impossibilità di riconoscere i motivi dei successi/insuccessi scolastici, affidando la responsabilità di questi solo agli allievi, alle loro motivazioni, capacità, risorse cognitive, psicologiche, culturali, alla loro provenienza sociale.
Ma non è solo un problema di incomprensione o rimozione del fallimento: dietro a questo vi è un problema ancor più pesante di resistenza al cambiamento. Attribuendo il fallimento agli allievi l'istituzione non solo si deresponsabilizza ma impedisce il proprio cambiamento, delle pratiche di insegnamento, dei contesti di classe, dell'organizzazione complessiva.
L'incapacità di affrontare la resistenza all'apprendimento di alcuni allievi è speculare all'incapacità di affrontare la propria (degli insegnanti) resistenza al cambiamento. Ammettendo che la resistenza all'apprendimento di alcuni allievi sia di tipo cognitivo, epistemico, non può negarsi che possa essere culturale ed emotiva. E' interessante notare come una gran parte degli insegnanti che frequentano corsi di aggiornamento, pur avendo, loro, capacità cognitive adeguate, in realtà rifiutino di apprendere i contenuti degli aggiornamenti a causa delle loro motivate ragioni culturali ed emotive (che però negano agli allievi): che lo scarto tra i formatori (pedagogisti, psicologi, antropologi, ecc.) e loro è abissale ("belle parole, dicono, ma noi siamo in prima linea"), che le condizioni di lavoro nella scuola sono impossibili, ecc. ecc. Ribaltando il ruolo nei corsi di aggiornamento (da insegnanti ad allievi) il gruppo insegnante si comporta ne più ne meno come una normale classe scolastica: ci sono i motivati, gli arrabbiati, gli indifferenti, i rivoluzionari. Visto che le risorse cognitive sono indiscutibili, qui le resistenze sono culturali ed emotive, cioè le medesime ancora una volta degli allievi. Senza avere idea di quali strategie, culturali e psicologiche, per scardinare queste resistenze, per fare spazio negli stereotipi culturali, per vincere la demotivazione, la rabbia, la timidezza, ancora una volta l'apprendimento, il cambiamento è lasciato al caso, è affidato ai bravi (relazionalmente e professionalmente) insegnanti e formatori e ai motivati, stabili emotivamente e preparati allievi.

I servizi socio-sanitari: alla ricerca del proprio modello

I servizi socio-sanitari e socio educativi presentano altre problematiche che però si apparentano alle precedenti.
Questi servizi si propongono come compito di produrre cambiamento -inteso come miglioramento, sviluppo, integrazione- in soggetti socialmente deboli, svantaggiati, emarginati. Questi servizi hanno una storia giovane, sono il prodotto di una cultura dell'integrazione che non ha più di 30 anni. I modelli epistemologici, psicologici, organizzativi di tali istituzioni si avvalgono anche di una approfondita riflessione sui processi razionali e affettivi per produrre cambiamento, tant'è che l'affettività qui non è negata o rimossa ma è ritenuta una componente fondamentale per portare avanti il compito. Si pensi, per fare un esempio, ai servizi per l'handicap in cui professionalità specificamente educative lavorano sul fondamento di relazioni profondamente "empatiche", affettivamente forti, per orientare intenzionalmente, razionalmente, interventi di cambiamento.
Qui allora il problema che si pone è diverso: il problema è il controllo di queste relazioni, l'equilibrio, come dicono gli operatori, tra "coinvolgimento" e "distanza", tra affettività e razionalità, ripetutamente, per non affidare al caso il cambiamento.
Se da una parte quindi, per la loro relativa giovinezza, i servizi socio sanitari e socio educativi hanno saltato a piè pari la tradizionale istituzione ottocentesca, burocratica, anaffettiva, autoritaria, dall'altra si trovano a fare i conti con una poco approfondita elaborazione degli strumenti di controllo necessari per non "impaludarsi" in relazioni che inconsapevolmente possono riprodurre modelli parentali, amicali, di volontariato. La metodologia del progetto e del lavoro di gruppo, per esempio, che si è andata costruendo in questi anni è ancora lontana dal raggiungere una sua stabile definizione teorica e un'affermata conoscenza e consapevolezza nel bagaglio professionale degli operatori; cosicché, a fronte di modelli epistemologici (teorici, metodologici, clinici, pratici) sanitari affermati, potenti e vincenti sul piano sociale e dei risultati, di quelli psicoterapeutici sempre più forti, quelli socio sanitari e socio educativi sono in una continua e confusa ricerca di un proprio modello.
Il mancato approfondimento degli strumenti metodologici relativi al controllo dell'affettività nella relazione rimanda comunque ad una poco approfondita ricerca ed elaborazione circa i meccanismi e i processi affettivi che si attivano tra operatori e utenti e tra gli operatori stessi. Cioè: non basta dire che l'affettività è necessaria a produrre cambiamento; perché? come? quali sono i meccanismi affettivi che hanno contribuito a produrre quel successo terapeutico, educativo, assistenziale? come gestire il desiderio, l'ansia? come elaborare il rifiuto (dell'operatore, dell'utente)? cosa succede nei gruppi di lavoro? come gestire il conflitto? e se il conflitto è rimosso?
Portiamo ad esempio alcune osservazioni condotte in servizi per handicappati gravi e per tossicodipendenti.

Alcuni casi concreti

In alcuni centri per gravi è emerso che il gruppo di lavoro, consapevolmente e inconsapevolmente, ha smesso di credere nel cambiamento degli utenti: di fronte a questa utenza incomprensibile e frustrante hanno rinunciato a investire nel cambiamento. Questa strategia difensiva ha parallelamente prodotto un aumento di benessere nel gruppo di lavoro, è sparito il confronto/conflitto sul compito e ha innalzato la produttività creativa -esclusiva degli operatori- delle attività, investendo sulla visibilità esterna (partecipazione a mostre, sagre, mercati, con il banchetto e i prodotti del centro). Il gruppo, pur continuando a gestire gli utenti con affettività e rispetto, ha smesso qualsiasi progetto sull'utente e si è definito in una identità collettiva (operatori, utenti e famiglie) come centro rispetto all'esterno, identificando il compito non più nel cambiamento degli utenti e nel cambiamento sociale ma solo in quest'ultimo, promuovendo l'integrazione degli handicappati attraverso attività rivolte all'esterno, attraverso la "visibilità" e l'affermazione/rivendicazione di sé. Di fronte al mancato cambiamento degli utenti, la responsabilità è fatalmente loro, nel loro destino di handicappati gravi.
Un processo analogo è successo in un Ser.T. in cui ho svolto una ricerca. Di fronte alla profonda frustrazione prodotta dalla difficoltà di una stabile riabilitazione del tossicodipendente, il gruppo di lavoro, del tutto inconsapevolmente, ha deciso di utilizzare l'équipe come evento rituale della propria socialità (amicale) evitando di affrontare la complessità del compito (la cura e al riabilitazione del tossicodipendente) nei termini di una continua analisi degli interventi, rielaborazione degli errori, dei limiti personali, professionali, emotivi degli operatori. Nessuno critica nessuno, nessuno critica sé stesso, tutti rassicurano e si autogratificano. A livello individuale ogni operatore porta avanti il compito al meglio delle proprie alte risorse professionali, ma a livello di gruppo evitano di affrontare qualsiasi rielaborazione critica del proprio lavoro. Il risultato (il cambiamento) è nuovamente affidato al caso, alla coincidenza di fattori diversi, alla capacità relazionale e professionale dell'operatore, alle capacità/potenzialità dell'utente. E la cronicizzazione dell'utenza è alta (cioè, quantitativamente, il cambiamento prodotto è basso).

In conclusione l'appello per un'approfondimento della ricerca sulle dinamiche relazionali in ambiti che esulano dallo specifico contesto psicologico è più che mai necessario. Il patrimonio di conoscenze che le teorie dell'affettività hanno prodotto in cento anni di storia è alto, le potenzialità euristiche ancora di più. Se abbiamo intenzione di migliorare la qualità dei servizi prodotti dalle istituzioni, credo che non se ne possa fare a meno. Senza che questo significhi riempire di psicologi il mondo: è della condivisione del sapere che abbiamo bisogno e non di una ulteriore egemonizzazione di un sapere su altri, che nelle dinamiche sociali finisce sempre per coincidere in dinamiche di potere fini a sé stesse.

 

(dal sito: http://www.accaparlante.it/cdh-bo/informazione/hp/archivio/libro.asp?ID=34 )


  Affettività e adolescenza: dentro la catastrofe adolescenziale 

 Dott.ssa Maria Rita Mancaniello

 

  1) Adolescenza come "catastrofe". Un'interpretazione psicopedagogica che offre all'educazione un ruolo di profonda responsabilità

 
 

  Nello studio dello sviluppo adolescenziale vi è una certa concordanza da parte degli studiosi nell'interpretare le trasformazioni che avvengono in questo arco di vita, come inestricabilmente connesse con il cambiamento corporeo conseguente all'affacciarsi della pubertà, in corrispondenza della quale si verifica l'incipit del processo che porterà alla definizione di una nuova identità, di un personale modo di leggere il reale, di un proprio senso della vita. Perché questo avvenga, però, è necessario attraversare una radicale trasformazione del proprio mondo interno e delle modalità relazionali con il mondo esterno, così che la centralità di questo periodo evolutivo si può dire che è assunta dal cambiamento, attorno al quale si "avvita" tutta la problematica adolescenziale. Se provassimo a disegnare il percorso tracciata dal cammino della vita di ognuno di noi, vedremmo come vi sono momenti in cui il sentiero si interrompe, sia arresta bruscamente, si perde nel sottobosco e pur cercando continuamente di trovare una via che si perda nell'orizzonte, immancabilmente incontriamo svolte, interruzioni, strapiombi. Questo è vero per tutto l'arco della nostra esistenza, fatta di un susseguirsi si definizioni e ridefinizioni di sé, ma è durante l'adolescenza che la cesura con il passato, la rottura con lo stesso recentissimo passato, mostra tutta la sua carica dirompente e inarrestabile, nonché anticipatoria di eventi che da questo momento in poi caratterizzeranno l'esistenza.1

  Ciò mette in luce il presupposto proprio della maggior parte dei recenti modelli che interpretano il cambiamento nel ciclo vitale, secondo il quale il fenomeno evolutivo è un fattore che riguarda l'esistere nel suo divenire e il mutamento è un elemento costitutivo della natura umana.2 L'evoluzione del soggetto è stimolata dalla continua necessità di adattarsi ed interagire con l'ambiente, che è, oggi più che mai, in continua trasformazione e ciò comporta che ogni momento evolutivo non può più essere fissato in un fase statica, in uno stadio definito, ma deve essere letto come un momento dinamico, creativo, mutevole. Così anche l'adolescenza può essere considerata non più come una fase transitoria tra l'infanzia e la maturità dell'adulto, ma un periodo della vita in cui si hanno peculiari processi trasformativi che investono il soggetto nella sua globalità. Attraverso il cambiamento del corpo, della mente, delle relazioni, della visione del mondo, l'individuo organizza la propria vita affettiva, forma modelli di pensiero e di azione, che assumono un ruolo preminente rispetto a tutte le altre esperienze. Considerata nel suo aspetto di sistema, l'adolescenza, è caratterizzata da alcune costanti che vengono vissute dal soggetto come altamente problematiche, quali la complessità degli elementi in gioco, la velocità del cambiamento, l'alto tasso di incertezza della soluzione, i quali sono tutti fattori che, sia internamente che esternamente, provocano situazioni di instabilità. 3 Nella prospettiva sistemica, infatti, l'adolescenza si sviluppa attraverso un'evoluzione processuale, che vede il soggetto portatore di varie componenti che coesistono in un sistema di relazione e di scambi, per cui l'adolescenza è fatta di elementi interni costantemente presenti, i quali interagiscono continuamente tra loro, creando un sistema dinamico in cui determinate componenti in alcuni momenti saranno in primo piano, mentre successivamente assumeranno un posto periferico, con una successione priva di una propria regolarità.

  Di conseguenza la prospettiva temporale con cui leggere questo processo non può essere altrimenti che sincronica, poiché il significato di ciò che accade può essere ricercato solo nel suo presente, divenendo centrale l'osservazione e la descrizione dell'evento hic et nunc e mettendo al centro dell'analisi i punti di catastrofe che rappresentano il momento di rottura tra il prima e il dopo.

  Come è ben visibile nell'esperienza comune, questa svolta, questa frattura, o meglio questa catastrofe, non assume un nuovo connotato e una nuova e chiara definizione in breve tempo, ma viceversa ciò che appare nitidamente sono una infinita serie di contraddizioni, di radicali antinomie che accompagnano passo dopo passo il viaggio esistenziale di ogni soggetto che si trova a vivere questa trasformazione.

  Le contraddizioni che caratterizzano questa metamorfosi sono molteplici, a partire dai bisogni emergenti personali in contrapposizione a quello che l'ambiente, e gli adulti che lo rappresentano, esigono e pretendono; passando per la contrapposizione che si ha fra la coscienza dell'immaginario - fatta di impulsi creativi quali i sogni e la fantasia o anche di ideali e speranze - e la coscienza del reale - privilegiata dagli adulti -; senza tralasciare di ricordare la fondamentale contraddizione tra il desiderio di mantenere le prerogative infantili, le cose già realizzate, apprese, vissute e l'irresistibile emergere di pulsioni e desideri di conoscere il nuovo, l'ignoto, l'imponderabile, spingendosi fino al di là "delle colonne d'Ercole"; arrivando a definire la contraddizione per eccellenza che è data dallo scontro (guai non ci fosse) tra l'età adulta che tende strutturalmente a fossilizzare il dato esperienziale nell'alveo della conoscenza già acquisita e l'adolescenza che è dominata da questo slancio innovativo, di scoperta, di novità, che però può essere facilmente imbonito e domato dal perdente confronto razionale con il reale.

  Si è parlato di una continua trasformazione per tutto l'arco dell'esistenza e perciò molte di queste antinomie si possono ritrovare, anche se in forme e modalità diverse, in altri momenti della vita, ma mai come nell'adolescenza esse assumono un ruolo così centrale, così pregnante, così totalizzante. Comprendere il senso della svolta, il significato della propria esistenza, il perché non vi è più nessun riferimento precedentemente utilizzato che funzioni, è un percorso altamente difficile da attraversare.

  Si comprende bene come a questi momenti di cesura, di rottura, faccia seguito uno stato di crisi, nel quale il soggetto vive una forte sofferenza e si sente sospeso in un vortice di instabilità dal quale non comprende neppure se riuscirà ad uscirci. Ciò che caratterizza lo stato vissuto dall'adolescente è connotato dal malessere, dal disagio, determinati dalla separazione da realtà conosciute, dal dover scegliere e valutare, dalla rottura con il passato: necessità sicuramente funzionali all'evoluzione dell'individuo, ma altrettanto sicuramente difficoltose per le tensioni e il senso di smarrimento vissuti.

  Rispetto a tutti i tipi di cambiamento, la catastrofe ha un suo specifico significato evolutivo,4 che, come vedremo in questo capitolo, assume rilevanza soprattutto dalla sensazione di vivere un "evento" ingovernabile, del quale non siamo stati la causa e neppure ne abbiamo espresso il desiderio e che è sopraggiunta, sopraffacendo la propria volontà e le proprie capacità - e anche possibilità - di contrastarla. Ad una certa lucidità di quello che sta avvenendo, nel momento critico ciò che manca completamente è la capacità di mettere insieme gli elementi in gioco secondo un ordine conosciuto, poiché l'unica consapevolezza che rimane viva è che la disposizione e le connessioni precedentemente utilizzate non funzionano più e l'esperienza e la sensazione di stallo, di perdita di senso, di incapacità di orientamento divengono fedeli compagni di viaggio.

 

 2). La formazione dell'identità

  Il distacco dalla precedente visione di sé, rassicurante e rasserenante, è davvero una fatica titanica. Se, però, lo sforzo di rielaborare e sintetizzare tutte le componenti utili al fine di costruire una propria identità è sopportabile, ciò che rende instabile il sistema-adolescente è il fatto che mentre trova una propria unicità, una propria dimensione relazionale, propri modelli di riferimento, si accorge anche che ciò comporta il definitivo abbandono di "altri" modi dell'essere.

  La maturità del pensiero è sicuramente la novità che permette al ragazzo di porre la riflessione sulla propria esistenza, innescando quel processo che gli permette di recuperare il proprio io passato, le esperienze che hanno inciso nella propria crescita, ma soprattutto gli permette di riuscire a sopportare i conflitti, le frustrazioni, le privazioni e i lutti che inevitabilmente si presentano in modo sempre più ricorrente.

  La palestra della presa di coscienza di sé avviene attraverso la sperimentazione di situazioni nuove, in cui il soggetto può allenarsi a sostenere successi e insuccessi, superare gli ostacoli, scontrarsi con la realtà e interpretarne i tratti più nascosti, apprendere le proprie abilità e scoprire i propri limiti. Ciò serve anche per riuscire a costruire un proprio percorso esistenziale, a darsi degli obiettivi e a fare delle scelte più consapevoli. Il confronto con gli altri, il superamento di piccole frustrazioni quotidiane, la continua ricerca di senso, vissuta anche attraverso le esperienze di ogni giorno, permette all'adolescente di stabilire i propri obiettivi in modo più realistico. La mancanza di corrispondenza, infatti, tra le aspirazioni che uno si pone e le qualità personali e attitudini, può portare ad un risultato fallimentare delle scelte compiute. Ciò non significa che ognuno non possa aspirare a obiettivi personali molto alti, ma che per costruire il proprio progetto di vita, è necessario imparare a concordare aspirazioni con strumenti e mezzi a disposizione, nella consapevolezza che la "capacità di volere" può anche corrispondere a quella di "potere", ma non sempre è così immediato.5

 

3) Stima di sé e mondo interno: come si vede il ragazzo

  Sperimentare il raggiungimento degli obiettivi prefissati ha una risonanza anche sulla stima di sé, che per poter dare "frutti più gustosi" ha bisogno di essere una stima positiva, realistica e stabile. Attraverso la visione positiva e la visione realistica, il soggetto, infatti, impara a riconoscere e accettare i lati negativi della propria personalità e del proprio carattere e ad attivare modalità di comportamento che superino tali aspetti negativi. Quando questa elaborazione positiva non avviene e si cerca una compensazione a ciò che "non si è" il rischio è quello di svalutare tutto ciò che non "ci appartiene" e fantasticare qualità o capacità inesistenti e irraggiungibili. Vi è però la possibilità di leggere il proprio potere e il proprio valore in modo inadeguato, esaltandoli acriticamente e mostrando una forte componente narcisistica, oppure, al contrario, senza comprenderli, lasciando spazio ad un senso di inferiorità, che può portare ad una sorta di silenziosa rassegnazione o ad una forma di continua protesta verso tutto e tutti, ma anche ad un "crogiolarsi" nella propria posizione vittimistica.6

  Rispetto alle altre due caratteristiche, più legate alla rielaborazione dell'esperienza individuale, la stabilità nella stima di sé è data anche dalla percezione di come gli altri ci vedono e ci giudicano. Vi sono adolescenti che mostrano la tendenza - abbastanza tipica, per altro, in questa fase evolutiva - a sopravvalutare il proprio io e a provare sentimenti di potenza, senza assolutamente ascoltare il tentativo di chi li circonda, di evitargli che questo irrealismo e onnipotenza portino a situazioni altamente rischiose; ve ne sono altri invece, che dipendono totalmente dal giudizio esterno, tanto che per percepire il proprio valore hanno bisogno del riconoscimento e della considerazione altrui.

  Una delle scoperte più interessanti per l'adolescente è quella del mondo interiore, di uno spazio nel quale nessuno può accedere e dove fermarsi per osservare la bellezza della propria esistenza. Una sorta di ripiegamento su di sé che permette di fantasticare e di "innamorarsi" anche un po' di se stessi, in questo momento in cui ci si scopre "altro" da tutto e da tutti, Questa concentrazione verso il proprio Io, è una nuova esperienza di narcisismo, distinta dal significato con cui la usava Freud, ma sempre indicativa di almeno tre componenti condivise dai diversi studiosi: la ricerca di una soddisfazione autoerotica, il rifugio nel sentimentalismo e nella fantasticheria, il compiacimento per le proprie doti.7 Tutte e tre questi fattori hanno a che vedere con lo sviluppo della sessualità e sono quindi presenti - in diversi momenti e con diversi pesi - in ogni adolescente, essendo espressioni dello stesso processo di individuazione che stanno vivendo. Le diverse manifestazioni del narcisismo, se da una parte possono avere anche componenti negative, hanno prevalentemente la funzione di dare vita ad un processo creativo che non deve essere fermato, ma anzi sostenuto e guidato. Il problema si pone casomai quando l'adolescente si ripiega su se stesso in maniera assoluta e l'immaginario diventa il rifugio prediletto rispetto al reale, con una concentrazione sul proprio corpo totalizzante. In questa situazione, infatti, la personalità rischia di non transitare in una dimensione eterodiretta e di bloccarsi in una forma di chiusura verso l'esterno. 

 

4) Cambiamento delle emozioni e degli affetti 

Anche sul versante emozionale ed affettivo hanno luogo una serie di cambiamenti che dipendono da molteplici cause:

  • La spinta delle pulsioni in rapporto allo sviluppo ormonale e sessuale.
  • La capacità da parte dell'io di tollerare gli istinti.
  • La natura e l'efficacia dei meccanismi di difesa.

Si ha nell'adolescenza un secondo processo di individuazione con la formazione del senso del sé stabile. Vi è, quindi, un processo di distacco da parte dell'adolescente che comporta la rinuncia alla dipendenza e l'indebolimento dei legami formatisi nella prima infanzia e rimasti fino alla pubertà. Il processo di formazione dell'individualità dipende dalla recisione dei vari legami di attaccamento dell'infanzia, ma questi legami possono allentarsi solo se vengono rielaborati i conflitti infantili per giungere ad un nuovo e  più maturo controllo dei conflitti passati.

Si tratta di un processo non disgiunto da ansie ed incertezze che dà luogo ad una serie di condotte regressive fisiologiche, quali:

  • Stato di fusione emozionale (partecipazione appassionata ed improvvisa a gruppi religiosi o di altra natura).
  • Orientamento all'azione più che all'uso del pensiero o del linguaggio verbale.
  • Attività frenetica con ricerca di sensazioni forti per riempire il vuoto causato dai sentimenti di perdita delle certezze e delle relazioni infantili.
  • Idealizzazione di personaggi dello spettacolo o dello sport, con cui identificarsi, ma nell'impossibilita' di confrontarsi realmente.
  • L'instabilità emotiva, esibita nelle relazioni, le contraddizioni tra pensiero e sentimenti ed il passaggio apparentemente illogico tra una reazione e quella opposta

Strettamente connessi a questi atteggiamenti, connotati dall'ambivalenza sono l'anticonformismo e l'atteggiamento ribelle, non scevri da dipendenza e sentimenti di colpa. Il venir meno degli oggetti di identificazione infantile costituisce una vera e propria esperienza di perdita di sé insieme ai propri legami d'amore infantili, sensazioni tali da poter essere assimilabili a quelle provate nel lutto. Con la sensazione di perdita della propria immagine infantile, del proprio ruolo di bambino e del proprio corpo nella sua forma infantile - propri della prima fase dell'adolescenza - prevalgono l'ambivalenza ed i meccanismi di negazione, che lasciano sentimenti di incertezza ed insicurezza ed il bisogno di ricercare rassicurazioni diventa sempre più marcato. Una forma di rassicurazione, più frequentemente attuata dai maschi, viene trovata nell'appartenenza ad una banda/gruppo di coetanei, che permette di esprimere aggressività, socializzare la colpa, difendere la propria incerta identità, svalutando chi sia diverso anche solo per modo di vestire. Per le ragazze, il bisogno di sicurezza viene ricercato nell'"amica del cuore", attraverso la condivisione dei sentimenti e l'identificazione reciproca. C'e' in questo periodo un bisogno fortissimo di identificazioni con la ricerca di figure da idealizzare e di cui introiettare aspetti e caratteristiche ideali, che vengono poi velocemente abbandonate e persino criticate.

La seconda fase dell'adolescenza e' caratterizzata da un investimento libidico sui propri pensieri ed emozioni. Proprio per questo l'interesse è  maggiormente incentrato sul sé, anche quando si rivolge ad oggetti esterni: Gli innamoramenti o le discussioni sui valori o sui problemi dell'umanità sono mezzi per raggiungere la consapevolezza di sé oltre che  passi per realizzare un contatto più profondo con il mondo esterno (l'oggetto amato permette la costruzione di un ideale dell'io, così come il ragionamento su problemi generali permette l'espressione di conflitti interiori).

 

 Il cambiamento di sé in una società in continua trasformazione.

  Osservando la quotidianità tutti si accorgono e si domandano perché i gesti di ogni giorno, gli avvenimenti, non sono più raffrontabili con il passato, neppure quello più recente. Ma soprattutto percepiamo spesso la sensazione di essere persone diverse nel momento in cui passiamo da un ambito ad un altro della nostra vita, dal lavoro alla famiglia, alle vacanze, quando si vive momenti di solitudine, arrivando perfino spesso a non saper neppure descrivere in modo chiaro le nostre azioni. Il ritmo accelerato del cambiamento, i diversi ruoli a cui continuamente siamo chiamati, la grande quantità di opportunità a disposizione, la miriade di messaggi a cui prestiamo la nostra attenzione, dilatano la nostra esperienza cognitiva e affettiva, in un tal modo da non esserci nessun paragone possibile da fare con culture del passato. Negli ultimi decenni sono venuti meno i punti di riferimento su cui sia i gruppi che i singoli soggetti fondavano la continuità della propria esistenza. Per ogni persona, ormai, si pone il problema di trovare una risposta alla domanda prima e ultima sul chi siamo, poiché vengono meno i punti sui quali poggiare il proprio percorso di vita e "la ricerca di dimora dell'io diventa così vicenda comune e l'individuo deve costruire e ricostruire la propria casa di fronte al mutamento incalzante degli eventi e delle relazioni. [...] Un mondo che vive la complessità e la differenza, non può sfuggire l'incertezza e chiede agli individui la capacità di mutare forma restando se stessi."

  Il processo di individuazione, allora è una necessità che si ripresenta continuamente nella vita, poiché l'io non poggia più solidamente su una identificazione stabile, ma vive una molteplicità di forme, ognuna con un suo significato. Vi è bisogno di una forte interrelazione tra il mondo interno - le dimensioni affettive e sensoriali che permettono di vedere, provare, sentire, comunicare - e il mondo esterno, poiché senza apertura all'altro, senza la volontà di raccogliere le sfide che una società complessa pone ad ogni individuo e alla collettività nel suo insieme, il rischio è quello della chiusura, dell'isolamento, prigionieri di se stessi.

  E' straordinaria la velocità del cambiamento a cui tutta la società è sottoposta.

  In questa prospettiva, fatta di tante - forse, a volte, sembrano fin troppe - opportunità, possibilità, alternative che si profilano nel quotidiano, la sfida più impegnativa da affrontare diviene quella di dover scegliere. "di fronte al possibile che seduce e minaccia non ci si può sottrarre al rischio della decisione (di cui la catastrofe è figura e metafora estrema)." La scelta è inevitabile e non affatto semplice, tanto più che ogni volta che sperimentiamo una modalità di azione, ci rendiamo conto che non è possibile trasferire in un'altro campo l'esperienza precedentemente acquisita. In ogni contesto, in ogni relazione ci rendiamo conto dell'impossibilità di utilizzare linguaggi, regole, modi di fare, a noi noti e della necessità di rimodellare ogni volta le nostre modalità di pensiero. Velocità e variabilità sono due caratteristiche dei sistemi complessi che però in questo momento storico hanno raggiunto una frequenza e un'intensità senza precedenti, così che, di fronte alla grande quantità di campi d'azione in cui possiamo misurarci, ci accorgiamo delle insufficienti capacità che abbiamo a disposizione. Un profondo senso di incertezza accompagna le decisioni che quotidianamente devono essere prese e l'analisi delle diverse alternative possibile, tanto che la capacità di scegliere diviene uno dei primari obiettivi da perseguire - non ultimo per il motivo che pur essendo possibile la non scelta, in realtà essa avviene comunque, perché la non scelta, è sempre una scelta.

  Ogni esperienza di cambiamento porta con sé una componente positiva, che proietta verso il nuovo e verso l'inesplorato, ma anche una paura di ciò che non conosciamo, che non sappiamo prevedere. Il cambiamento diviene una mèta a cui aspirare, a cui ambire, ma allo stesso tempo è limitato dal timore, dall'incertezza. La scelta che continuamente si pone davanti è quindi fluttuante tra il lancio nell'ignoto e l'ancoraggio alle certezze di ciò che è già conosciuto, ma scegliere tra le infinite possibilità è un compito arduo, soprattutto perché ciò che viene scartato è sempre di più di ciò che viene scelto.

  Questa mobilità a cui l'io è sottoposto, porta - quindi - a poggiare la riflessione sugli aspetti dinamici dell'identità e a mettere al centro la varietà dei processi di identificazione. Inoltre la moltiplicazione dell'io pone in rilievo anche una nuova ottica con cui leggere il rapporto tra individuo e società, con un soggetto che viene visto come protagonista del suo agire e non più come soggiogato da entità quali la divinità o la natura o la stessa società, quanto capace di dare significato alla propria azione e di agire in modo autonomo. Dal soggetto metafisicamente concepito si è passati al soggetto-individuo, in un processo dove l'io molteplice trova la propria unità e la propria individualità.

  In tale prospettiva assume un ruolo e un significato particolare il tema della responsabilità, nella sua accezione di capacità di rispondere, sia come riconoscimento di se stessi e di ciò che ci sentiamo di essere, sia come riconoscimento dell'altro e del modo di porsi nelle relazioni.

  Dal paradosso prima descritto, secondo il quale si ha una apertura del soggetto illimitata, ma allo stesso tempo senza possibilità di uscita (non si può non scegliere) se ne deduce l'importanza che assume il bisogno di unità, di trovare gli elementi di stabilità nel mutamento. Ciò non si trova più nell'identificazione con un unico modello, con l'appartenenza ad un solo gruppo o nel riconoscersi appieno in una cultura, ma vi è bisogno di una capacità di cambiar forma, di potersi ridefinire di fronte al nuovo, di rendere reversibili e rinnovabili scelte e decisioni.

  La nostra epoca è caratterizzata da questo dover moltiplicare modi di essere, linguaggi, relazioni. E intrinsecamente chiede una grande umanità, una forte spinta verso l'altro e verso la ricerca di correlazione tra le differenze, una carica di umiltà per saper sempre ridimensionare i nostri confini per accogliere e sup-portare chi non è subito in sintonia. Senza questa disponibilità non è possibile cambiare forma, al limite si cambia maschera.

  Reti di relazione sempre più complesse, messaggi e informazioni sempre più ampie, rischiano di frantumare l'individuo; vi è la necessità di imparare ad aprire e chiudere il proprio mondo: partecipazione e rinuncia, riposta e silenzio, legami e distacchi, diventano fondamentali per la vitalità del sistema-uomo, che deve trovare un proprio ritmo in questo andamento senza stasi. La capacità di poter vivere discontinuità ed eterogeneità di tempi e spazi, richiede anche una unificazione dell'esperienza, che deve venire da qualità di percezione immediata, intuito, immaginazione, tutti aspetti appartenenti alle culture tradizionali. Le radici nel presente, non possono fare a meno di quelle del passato per non rendere meramente finalistico allo scopo l'agire e l'esperienza. Ma le radici nel presente sono fondamentali per affrontare le trasformazioni e attraversare la metamorfosi che si presentano nell'arco della vita. 

  La relazione educativa con l'adolescente  

  I modi di esprimersi degli adolescenti sono molti e molto diversificati tra loro, e non sempre si è preparati a riconoscere le modalità comunicative con cui essi ci interpellano. Sono i loro corpi che ci parlano, è il loro modo esibizionistico ed eccessivo di comportarsi che comunica, non le parole. Il linguaggio delle emozioni non passa attraverso le frasi costruite con forme sintattiche e grammaticali corrette. E' un modo di comunicare che passa dal rossore del viso, dal movimento fisico spesso ipercinetico, dal corpo martoriato dai piercing metallici, dai capelli rasta, dai pantaloni calati sotto i fianchi e tenuti da catene...Sono modi per differenziarsi da quel mondo degli adulti che non li comprende, sono forme per esprimere una propria nuova identità, sono l'espressione della paura di non essere accettati, sono la dolorosa constatazione che per sentire riconosciuta la propria visibilità sociale devono in qualche modo differenziarsi dal mondo adulto, indaffarato nelle questioni "serie" della finanzia e dell'economia, dei calcoli e dei compiti lavorativi dove non c'è spazio per "le stupidità" degli adolescenti. Proprio nel tentativo di richiamare l'attenzione adulta, i ragazzi spesso compiono azioni dirompenti e eclatanti, atti vandalici e violenti, esprimendo una profonda rabbia che non riescono a canalizzare, se non attraverso l'azione distruttiva. E anche questo è un modo di comunicare: distorto, maldestro, malfatto, deviante, ma sempre un modo dell'adolescente per chiedere con forza di essere considerato e accompagnato nel difficile cammino evolutivo.

  Il compito fondamentale delle diverse figure con cui il soggetto si trova a relazionarsi, insegnanti, genitori ed ogni altro educatore o adulto, è allora quello di riuscire ad instaurare una comunicazione educativa che tenga di conto di alcune specifiche attenzioni, come la creazione di un particolare atteggiamento di disponibilità a incontrare l'altro attraverso una situazione costantemente centrata sulla relazione di aiuto e di incoraggiamento e mediante l'attivazione e l'utilizzo di strategie educative più idonee al raggiungimento dei diversi obiettivi formativi e pedagogici. In questa prospettiva vi sono alcune competenze che devono essere acquisite da queste plurime figure che in diverso modo si relazionano con l'adolescente, a partire dalla capacità di saper praticare un ascolto attivo e saper costruire le condizioni per l'instaurarsi di una relazione empatica, nella quale l'adulto sia disposto a mettere anche in discussione se stesso.

  Saper praticare un ascolto attivo permette all'adulto di osservare il soggetto-in-crescita in modo approfondito e non solo in particolari situazioni o occasioni, così come costituisce un'efficace modalità di sostegno affettivo, assumendo perfino un valore terapeutico. La realizzazione di questa modalità dipende molto dal tipo di emozione che l'adulto riesce ad attivare nella relazione, perchè è a partire da questa che si può instaurare una effettiva comunicazione e una reale comprensione del soggetto che si ha di fronte. Non è assolutamente semplice entrare in una comunicazione di tipo empatico  con l'adolescente, soprattutto per tutti quei feed-back di chiusura - difensivi - che spesso l'adolescente attiva nella comunicazione con l'adulto, ma è di fondamentale importanza per comprendere fino in fondo ciò che sta vivendo.

  Sapersi "mettere nei panni dell'adolescente", arrivando a provare le stesse sensazioni e percependo le medesime emozioni - pur rimanendo nella propria dimensione di adulto - ci permette di superare il limite delle parole per arrivare davvero a comprendere il linguaggio emotivo. Dare vita ad un tipo di sentimento "altro", che ci consenta di condividere le emozioni e i pensieri di un'altra persona, senza però creare confusione tra i reciproci confini degli attori in gioco, ci permette di entrare in sintonia con il nostro interlocutore e di comunicare in modo autentico e libero da condizionamenti e schemi precostituiti. In questo modo si possono capire anche comportamenti apparentemente assurdi e incomprensibili e trovare delle specifiche risposte da offrire a ogni singolo soggetto. Un ambiente educativo in grado di lavorare con simili modalità, agisce su due fronti entrambi fondamentali, poiché da una parte integra e sostiene la fragile e indefinita struttura del sé del ragazzo che sta vivendo la propria metamorfosi identitaria e dall'altra crea un clima di fiducia nel quale sentirsi accolti e compresi. Rispondere al disagio di un adolescente non è semplice, anche perché nell'adulto sono sottilissimi i margini tra la risposta adeguata al momento e la banalizzazione del problema. Ogni azione dell'adolescente, spesso biasimata dal mondo degli adulti, nasce dal bisogno di comunicare un messaggio che trova origine in un mondo interno in pieno caos. Se un genitore, un insegnante, un operatore sociale non si accorge del significato che vi è in ogni agito dell'adolescente, e ridicolizza o beffeggia la modalità comunicativa scelta dal ragazzo, può mortificarlo profondamente, perdendo un'occasione di incontro e di dialogo e privandolo della speranza di essere compreso.

  E' un gioco comunicativo complesso quello dell'adolescente, fatto di sfide e di infantilismi, di atti banali e azioni scomposte, ma è un modo per chiedere all'adulto sia di aiutarlo a comprendere quello che gli sta accadendo, sia di accompagnarlo in quei meandri della vita adulta nei quali non sa ancora come muoversi. 

  La relazione empatica come relazione educativa 

  Questa capacità non è di semplice attuazione, dicevamo, anche perché dipende da componenti diverse, sia di tipo personalistico - certi modi di comunicare e di trasmettere emozioni si apprendono nei primi mesi di vita: dal tipo di relazione che si è instaurata tra madre e figlio, dalle emozioni vissute nel rapporto con gli altri adulti significativi, dall'accoglienza del contesto, etc. - che di tipo esperienziale e legate all'apprendimento. Un ascolto attivo trova spesso il suo principale "ostacolo" nella difficoltà che gli adulti-educatori-formatori, ed in modo specifico gli insegnanti, trovano nell'ascoltare i propri ragazzi, concentrati nella ricerca di un modello operativo in grado di spiegare, far comprendere, trasmettere saperi, etc. piuttosto che mettere al centro una riflessione sulla funzione della modalità empatica e sulla propria comunicazione rispetto all'apprendimento. Soprattutto con gli adolescenti, c'è una certa difficoltà - facilmente comprensibile se si pensa alle provocazione, ai silenzi, alle distorsioni comunicative, e tutte le modalità oppositive che essi spesso utilizzano per esprime se stessi - a "impiegare" tempo ed energie per cercare di capire in quale modo ogni singolo allievo apprende, interpreta, recepisce, sintetizza i messaggi e i contenuti comunicati, o in quale situazione emotiva si trova. Quando, però, viene colta dall'educatore la profonda valenza che ha la sua capacità di ascolto, insieme anche a quella - attivata dallo stesso meccanismo - dell'osservazione dell'altro (dei suoi stati d'animo comprensibili dai messaggi non verbali, delle emozioni provate, leggibili dalle reazioni fisiche, etc.), è utile sviluppare questa competenza attraverso una formazione specifica sulle competenze relazionali, in modo da rendere patrimonio degli educatori le capacità empatiche che permettono una modalità di ascolto attivo e un potenziale sviluppo di relazioni educative significative e aprono la strada alla possibilità che i ragazzi si sentano veramente accolti e riconosciuti 

  La figura dell'adulto nella relazione educativa 

  Alcune trasformazioni sociali in corso hanno inciso in modo significativo anche sul mondo degli adulti, mettendo in crisi il sistema valoriale delle generazioni che oggi si trovano ad avere figli adolescenti. Se questo è un problema che non va sottovalutato - quello della notevole responsabilità che gli adulti hanno nei confronti alla fragilità dei bambini e dei ragazzi di oggi - non possiamo esimerci dall'evidenziare ciò che l'adulto dovrebbe riuscire ad essere per l'adolescente.

  Nell'immaginario dell'adolescente esiste un tipo di adulto che esso vorrebbe incontrare. Il bisogno di identificarsi in qualcuno al di fuori dalla famiglia, il desiderio di ritrovare un modello che possa sostituire quelle figure genitoriali un tempo onnipotenti e onniscienti - e adesso, invece, così visibili nei loro limiti umani - è forte e la ricerca di esso spesso avviene nei contesti più disparati. Quello che l'adolescente cerca è un adulto che raduna in sé forza e destrezza, positività e gusto per la vita, coerenza e capacità d'azione. Quell'estremismo verso tutto e tutti tipico dell'adolescente, lo è anche quando osserva l'adulto e lo valuta per comprendere se può fidarsi di lui. E spesso l'adulto viene scelto senza esserne consapevole, senza rendersi conto del peso e del valore che il suo modo di agire, di pensare, di essere esercita sull'adolescente. Un adulto che diventa di volta in volta una guida, uno sostegno, un "traino", un "pungolo", un "porto sicuro a cui approdare". Un valido sostegno per la crescita, è, allora, l'adulto che sa essere ottimista, che offre una sensazione positiva di fronte alla prefigurazione del futuro, che sa valorizzare "del domani" le faticose conquiste effettuate nel passato, dando la forza e la sicurezza per vedere il futuro come il territorio in cui sperimentare la novità che l'adolescente porta intrinsecamente con sé. Un adulto ottimista, ma anche capace di sopportare la frustrazione della realtà, di affrontare con serenità i possibili ostacoli e le inevitabili contrapposizioni che la vita pone davanti ai propri desideri e alle proprie aspettative. Per l'adolescente di oggi, abituato da una realtà pronta ad offrire "tutto e subito", cresciuto spesso in una situazione soddisfacimento immediato di ogni bisogno, allenato dallo "zapping" e dal "cliccare" ad ottenere in un attimo ciò che cerca, a vedere quiz televisivi che mostrano guadagni immediati senza lavoro, non è assolutamente semplice accettare la fatica e le diverse frustrazioni possibili nel cammino verso l'adultità. Questa mancanza di "allenamento" a costruire passo dopo passo le proprie aspettative, lo porta in molte occasioni ad arrendersi ancora prima di lottare, ad una profonda paura di affrontare la sconfitta, ad accettare la possibilità di sbagliare. L'adulto-educatore deve riuscire a contrapporre a questo atteggiamento, una tenacia nel raggiungere i traguardi prefissi e una solidità nel percorso di costruzione delle azioni e dei comportamenti, in modo da rendere mentalmente possibile la sopportazione di una fatica e la consapevolezza che per ottenere i propri successi sono necessari impegno, perseveranza, resistenza. Accanto a tensione verso il futuro, a questo imparare anche dai propri errori e dalle delusioni che si possono incontrare, è importante che l'adulto sappia essere anche un promotore del cambiamento e della apertura alle nuove soluzioni e alle plurime alternative possibili. Allagare gli orizzonti e ampliare le prospettive, è una esigenza sempre più forte per un uomo che vive in un epoca di grandi sollecitazioni a tutti i livelli, emotivi, affettivi, sensoriali. Rompere gli schemi conosciuti per addentrarsi in meandri nuovi della conoscenza e dell'esperienza, è una esigenza propria dell'adolescente, che propone le tipiche posizioni alternative di chi scopre per la prima volta la sua appartenenza alla vita sociale, con una propria identità e una propria unicità. Questo bisogno di cambiamento, però, deve essere supportato e accompagnato da un adulto capace di accettare le nuove istanze proposte, ma anche in grado di offrire una relazione oggettuale solida e costante che rassicuri nelle continue trasformazioni. In questo suo modo di essere diventa anche necessario che sia animato dalla curiosità di capire, di comprendere l'altro, di accogliere il diverso punto di vista, di ripartire dal ragazzo per definire nuove forme di cultura, di linguaggio, di regole.

  Si comprendere bene come essere adulti di riferimento per l'adolescente non sia affatto affar semplice, anzi. Tanto più che tutto questo deve essere mosso da una reale volontà di accettazione e di incontro, di disponibilità a cambiare il punto di vista adulto, di rimettere davvero ogni volta in discussione cardini fondamentali per l'esistenza adulta. L'adolescente non sopporta in nessun modo quell'atteggiamento spesso tipico nell'adulto, di "simulata comprensione" e "affabile compiacimento" che però non esprimono una reale e profonda accoglienza dell'altro. Può fare finta di non notare la sfumatura, può mostrare di non far caso, ma in verità si è persa un'occasione di incontro e di riposta fiducia. Gli adolescenti, così come tutte le persone che hanno acuiti i sensi e le percezioni, per ciò che stanno emotivamente vivendo, colgono immediatamente se non c'è sincerità e onestà nell'altro, soprattutto quando adulto. Non è semplice ne immediato entrare in relazione con l'adolescente, molti sono i meccanismi difensivi da lui attivati e molte le oppositività che mostra, come molti sono le resistenze provate dall'adulto a rimettere in discussione la propria posizione e il proprio sistema di riferimento, ma incontrare un adolescente è una delle esperienze più significative che l'adulto possa vivere. La relazione con il bambino, con l'anziano, con il coetaneo sono sempre fonte di altrettanto piacere quando sono improntate all'accoglienza e alla condivisione, ma vivere la relazione di tipo educativo con l'adolescente è una sensazione unica. Non si può "bleffare", non si può "far finta di". L'adolescente ti mette a nudo, ti guarda diretto negli occhi quando vuole capire, ti spoglia senza rimorso quando non sente la tua credibilità. Davanti a questa richiesta di senso, di motivazione, di certezza, l'adulto non può svincolarsi, ma riesce a sostenerla solo quando ha realmente raggiunto quell'equilibrio psico-fisico che permette di reggere la messa in dubbio positiva, attiva, sinceramente volta alla revisione e alla verifica di sé. L'adolescente spiazza, provoca, lancia sfide e sollecita continuamente una risposta "vera". Non si accontenta di un qualsiasi "perché sì", vuole conoscere la motivazione delle questioni, delle scelte, delle azioni. Vuole sapere perché il mondo degli adulti gli ha fatto credere e gli ha presentato come validi, valori che poi non vengono da loro vissuti, o sono vissuti credendoci poco. L'adolescente è implacabile con l'adulto che ha preso a modello, è intransigente e poco disposto a perdonare l'eventuale errore che esso può compiere; è spietato quando non trova coerenza tra ciò che gli è stato presentato come vero e assoluto da bambino e il modo in cui viene considerato nel mondo adulto. In questa sua ricchezza di emozioni e di sensazioni, di bisogno di punti fermi e paletti saldi, ma anche di flessibilità e comprensione, di elasticità e pazienza nei suoi confronti, c'è un mondo vitale in rivoluzione che quando trova l'adulto a cui affidarsi costruisce un senso profondo e positivo della propria esistenza. L'adolescente quando si affida, è pronto ad immolarsi per l'altro. Sentire di essere un adulto di riferimento, percepirlo e comprenderlo veramente, comporta l''assunzione di una profonda responsabilità. In questa seconda nascita vissuta dall'adolescente, l'adulto educatore diventa una figura con una funzione pari a quella genitoriale, con i rischi e le potenzialità che questo comporta. Non è un professionista che l'adolescente cerca, ma una persona capace di ascoltarlo con le orecchie, "la mente" e "il cuore", in grado di accoglierlo e di contenerlo nelle diverse sofferenze, gioie ed esperienze che la vita pone, di riconoscergli l'unicità e la bellezza di cui è portatore.

  Possiamo ricordare un valore fondamentale dell'insegnamento, a partire dalle parole del saggio Gibran: "Nessuno può insegnarvi nulla, se non ciò che giace mezzo addormentato nell'albore della vostra conoscenza e il maestro[...] non vi invita ad entrare nella casa della sua sapienza, ma vi guida invece sulla soglia della vostra mente, perché la visione di un uomo non presta le sue ali ad un altro uomo. E come ciascuno di voi Dio lo conosce da solo, così ognuno è solo a conoscere Dio e a interpretare la terra". (K. Gibran) 

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  Palmonari A. (a cura di), Psicologia dell'adolescenza, Il Mulino, Bologna 1993.

  Pietropolli Charmet G., I nuovi adolescenti. Padri e madri di fronte a una sfida, Cortina Editore, Milano 2000.

  Rossi B., Intersoggettività e educazione: dalla comunicazione interpersonale alla relazione educativa, La Scuola, Brescia 1992

  Rossi B., Pedagogia degli affetti, Laterza, Roma 2002.

  Rossi S., Schirone T., Pediconi M.G., Psicodinamica dell'adolescenza: adolescenti in relazione, Guerini studio, Milano 2001.

  Vegetti Finzi S., Battistin A.M., L'età incerta. I nuovi adolescenti, Mondadori, Milano 2000.

  Zaghi P., Comunicazione verbale: un'analisi pedagogica, Cappelli, Bologna 1992.

  Zuanazzi G.F., L'età ambigua. Paradossi, risorse e turbamenti dell'adolescenza, Editrice La Scuola, Brescia 1995. 

  Cosa si può fare in classe? 

  Il Saper essere dell'insegnante:

  • Non etichetta
  • Non ha risposte già pronte
  • Non incentiva obiettivi irraggiungibili
  • Non "tarpa le ali" ai voli pindarici degli adolescenti: li incanala in potenzialità da sviluppare
  • Non inganna
  • Aiuta il ragazzo a scoprire e misurarsi con i propri limiti e le proprie potenzialità
  • Mette in luce i fini e gli strumenti e i mezzi per raggiungerli
  • Tiene fisso lo sguardo sul percorso e sul processo
  • Ha chiaro il valore della fatica
  • Ha fiducia nel progetto del ragazzo
  • E' pronto a rimettere in discussione se stesso e il proprio punto di vista

  Il Saper fare: la cassetta degli attrezzi

  Ognuna delle possibili attività sotto riportate deve essere scelta e condivisa dai ragazzi che devono sentirsi protagonisti e liberi di poter affrontare certi percorsi di riflessione. Tutte le tematiche devono essere sempre affrontate in un'ottica di dialogo e riflessività critica, evitando di entrare troppo nel profondo. Devono suscitare domande, più che dare risposte. Devono essere motivo di autoanalisi, non di un analisi di gruppo. Ma soprattutto devono rimanere nell'ottica del lavoro educativo che il contesto classe ha come propria potenzialità. Se esce da questo quadro, entrare nei meandri dell'adolescente può essere estremamente rischioso e non di aiuto. 

  • Discussioni su tematiche che interessano direttamente i ragazzi: ad es. Il valore dell'estetica oggi: essere o apparire?; Ha ancora senso parlare di trasgressione?.

  • Partire da un caso presentato da un quotidiano per affrontare una situazione possibile da vivere anche per loro: le corse con i motorini e la sfida della morte; rapporto di coppia e violenza; dipendenza da persone o da cose.

  • Utilizzare giochi come "Il gioco della vita" pubblicato da Duccio Demetrio per far parlare di sé i ragazzi.

  • Utilizzare storie di vita e letture di autobiografie per attraversare i vissuti dell'altro e ripensare anche ai propri percorsi personali.

  • Visioni di film su amori e rotture di legami per analizzare anche i propri modi di costruire le relazioni e le forme di attaccamento.

  • Incontri con esperti per affrontare l'argomenti che sentono prioritari nella loro crescita.

 

(dal sito: http://www.irre.toscana.it/disagio/laboratori/4_mancaniello.doc.)

 

 

 

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