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       GLOBALIZZAZIONE 
      "Globalizzazione? 
        Un progetto tutto da creare" 
      (La sociologa 
        americana  Saskia Sassen parla delle trasformazioni sociali future 
        connesse alla globalizzazione) 
         
       
       
        Ci può dare prima di tutto una definizione di globalizzazione? 
         
        La globalizzazione è stata definita in molti modi diversi. Io preferisco 
        prendere in considerazione non tanto la crescente interdipendenza fra 
        le diverse parti del mondo, su cui si basa la definizione più diffusa, 
        ma piuttosto l'effettiva formazione di sistemi specializzati e trans-nazionali. 
        Non è tanto importante il fatto che i paesi si colleghino ad altri paesi 
        o che le persone comunichino di più via Internet. E' la realtà stessa 
        di Internet, ossia quella di un sistema specializzato, che naturalmente 
        consente ai vari paesi di essere maggiormente a stretto contatto l'uno 
        con l'altro. E lo fanno in modo nuovo, sfruttando sistemi specializzati, 
        che in sostanza sono spazi a cui aziende, governi e altri soggetti possono 
        accedere. Si può dire che la "Organizzazione mondiale commercio e 
        telecomunicazioni" (WTO) sia uno di questi sistemi, ma ce ne sono 
        anche di privati. L'idea di fondo è perciò che la globalità si costituisce 
        anche nei termini di una particolare spazialità, distinta dal semplice 
        luogo di incontro dei diversi paesi. In questo spazio ideale rappresentanti 
        e luoghi territoriali nazionali entrano in contatto fra loro. La globalizzazione, 
        quindi è come uno spazio diverso, situato in un certo senso al di fuori 
        delle relazioni fra i paesi. Pensiamo a Internet, che ne è l'esempio più 
        evidente. 
         
        Da quando si è cominciato ad utilizzare questo termine? 
         
        Si dice che già un letterato veneziano del '700 abbia usato questo termine, 
        ma l'esatta provenienza non è certa. Il termine comincia a essere in voga 
        negli anni '80 e si diffonde enormemente negli anni '90. Io probabilmente 
        ho cominciato a usarlo in certi articoli pubblicati nei primi anni '80. 
        Direi comunque che è un termine alquanto recente. 
         
        Esiste una differenza tra il concetto di "mondializzazione" e quello 
        di "globalizzazione"? 
         
        Si può parlare di "mondializzazione" in virtù del fatto che da ormai molto 
        tempo abbiamo un'economia mondiale e sistemi politici mondiali. Io preferisco 
        usare il termine "globalizzazione" per indicare invece un fenomeno tipico 
        di questi ultimi 20 anni che punta ad un fenomeno preciso e che si riferisce 
        a ciò che oggi è differente dalle forme precedenti di "mondializzazione". 
         
        Cosa è cambiato? 
         
        Da un lato partecipiamo di una storia recente, quella dell'800 e del '900, 
        in cui lo stato nazionale diventa sempre più la realtà dominante. La "mondializzazione" 
        odierna emerge infatti in un contesto storico che vede affermarsi robusti 
        stati nazionali. Dall'altro lato abbiamo invece un processo di globalizzazione 
        che è in parte il tentativo, il progetto di denazionalizzare quel che 
        è stato costruito come nazionale. Non si può dire lo stesso delle forme 
        precedenti di "mondializzazione". Nel libro che ho pubblicato con 'Il 
        Saggiatore', parlo del processo di de nazionalizzazione come di uno dei 
        temi della globalizzazione. Una grossa differenza emerge comunque dallo 
        sviluppo delle nuove tecnologie. Il livello di complessità in termini 
        di dinamiche trans-nazionali de territorializzate che le tecnologie digitali 
        rendono possibili differenzia la nostra era da tutte quelle precedenti. 
        Le tecnologie digitali, essendo intelligenti, decentralizzate, e creando 
        simultaneità nell'accesso, rappresentano davvero qualcosa di diverso. 
        La differenza non è semplicemente quantitativa, ma soprattutto qualitativa. 
        Ci sono poi molti altri fattori tecnici relativi al modo in cui l'economia 
        viene organizzata che distinguono la presente accezione di 'globalizzazione' 
        da forme precedenti di "mondializzazione". Fra questi c'è la formazione 
        di sistemi tecnici e legali enormemente specializzati dedicati alla gestione 
        di transazioni commerciali oltre frontiera, di mercati globali, e così 
        via. In altre parole si potrebbe rintracciare una quarta differenza che 
        consiste nel livello di perfezionamento, legalizzazione e formalizzazione 
        dei presenti sistemi che rendono possibile l'economia globale e che sono 
        radicalmente diversi dalle realtà proprie delle fasi precedenti dell'economia 
        mondiale. 
         
        Il processo di "globalizzazione" può dirsi terminato? 
         
        No, è senza dubbio un processo ancora in corso. In realtà ne stiamo vivendo 
        soltanto gli inizi, e non sappiamo in che modo questo processo potrà svilupparsi. 
        Noi esseri umani abbiamo grandi difficoltà a capire le novità, anche se 
        ci siamo dentro. Ad ogni modo ci aspetta una trasformazione assolutamente 
        radicale, che però non riguarderà il mondo intero. Sarà un processo altamente 
        esclusivo, e il suo spazio non coinvolgerà tutti i paesi Riguarderà comunque 
        una porzione significativa della popolazione. I mutamenti cui parteciperemo 
        saranno straordinari. E non solo nell'ambito della techne, ma in campi 
        che coinvolgono l'idea stessa di identità che le pratiche che gli individui 
        come membri delle comunità locali adotteranno. Si creerà una commistione 
        profonda tra realtà globale e vita di comunità a carattere locale diversa 
        dall'idea di cosmopolitismo. Il cosmopolitismo è un termine che suggerisce 
        il trascendimento di tutto ciò che è locale in termini di tempo e di condizioni. 
        Quando parlo di dimensione globale e micrositi alludo invece alla interconnessione 
        di micro ambienti e aperture globali. 
         
        Che ne sarà del concetto di "locale"? 
         
        Sono abbastanza convinta, anche se non tutti saranno d'accordo, che il 
        concetto stesso di "locale" subirà una profonda trasformazione, perché 
        credo che avremo almeno due tipi di dimensione locale, e sarà assai problematico 
        utilizzare lo stesso termine per entrambi. Il primo tipo è il microambiente, 
        situato sia nello spazio digitale che in quello fisico. L'altro è più 
        vicino alla realtà locale che abbiamo conosciuto fino a oggi, ovvero un 
        luogo geograficamente e territorialmente identificabile, molto più concentrato 
        su se stesso, e occupato da se stesso. Questo corrisponde in linea di 
        massima al il vecchio tipo di dimensione "locale". Alcuni degli spazi 
        locali che sembrano essere del tipo tradizionale, come un quartiere, un 
        paesino, eccetera, verranno situati all'interno dei circuiti globali. 
        Diventeranno microambienti nel contesto di quel che è fondamentalmente 
        un circuito globale. L'esempio più elementare sono le comunità di immigrati 
        italiani negli Stati Uniti e in tutto il mondo, che mettono in piedi un 
        sito web e comunicano fra loro. Hanno una dimensione globale ma sono assolutamente 
        locali. Il problema delle realtà locali continuerà ad esistere, anche 
        nel contesto di Internet, ma si tratterà di un tipo diverso di "locale". 
        Rispetto alla vecchia accezione di 'locale' ci sarà al contempo un numero 
        crescente di comunità e individui che cambieranno strada, che esisteranno 
        in zone parzialmente de-territorializzate dove esistono le sub culture. 
        Un esempio. Io e lei ci troviamo in un ambiente fisico locale. Ma, al 
        contempo, sia io che lei operiamo anche in una zona che non è locale. 
         
        Il "locale" riuscirà a combattere il "globale"? 
         
        Combattere la globalizzazione è un'impresa certamente ben avviata, e molto 
        più realistica di quanto molti sembrano credere. Dissento con l'idea di 
        quanti ritengono che il locale non può combattere il globale. Il globale 
        non solo si materializza parzialmente nel locale, ma ha concretamente 
        bisogno di agganciarsi a spazi locali al fine di essere ciò che è: globale. 
        Sicché esistono nodi multipli dove il globale e il locale si intersecano. 
        Prendiamo, ad esempio, i mercati finanziari globali. Essendo in parte 
        digitali non hanno un territorio, si trovano in certo senso ovunque e 
        in nessun luogo. Sono globali e, in quanto tali, enormemente potenti, 
        ma ciononostante dipendono da un'infrastruttura composta da un ingente 
        materiale non digitale come strutture fisiche di interconnessione. Tali 
        strutture, costituendo l'infrastruttura sottostante le reti di comunicazione, 
        sono molto vulnerabili nel senso che potrebbero venire distrutte. Oggi 
        abbiamo movimenti di lotta contro la globalizzazione, come quello di Seattle. 
        Esistono tanti modi diversi in cui figure locali possono impegnarsi in 
        una politica del globale passando per i diritti umani, l'attivismo ambientalista, 
        nonché l'attivismo digitale che a mio avviso è di importanza cruciale 
        sotto questo rispetto. L'attivismo digitale assume varie forme, una delle 
        quali ovviamente è lo "hacktivismo", quella cioè degli hacker; alcune 
        sono molto costruttive e altre invece no. Ma per sfidare il sistema globale 
        enormemente potente esiste una molteplicità di modi, che invece molta 
        retorica della globalizzazione vuol far credere impossibili. Questo fa 
        pensare che il sistema economico globale presenta delle incrinature dei 
        punti deboli che possono essere in qualche modo scalfiti. 
         
        Si può affermare che le nuove tecnologie siano all'origine del globalismo? 
         
        Non si può dire che il globalismo sia stato originato da queste tecnologie 
        ma, è semmai asseribile che il sistema economico globale attualmente esistente 
        ne dipenda completamente. Le tecnologie non sono soltanto radicate nelle 
        configurazioni sociali e culturali si concretizzano in certe attività 
        economiche che spingono per il loro sviluppo. Ma sono i singoli individui 
        che orientano e permettono di collegare gli strumenti offerti dalla tecnologia 
        a determinate condizioni economiche, in certi casi persino alterano la 
        situazione socio economica precedente. Ad esempio agli esordi dello sviluppo 
        di Internet, sono stati gli scienziati ad usare la Rete per determinati 
        scopi, a guidarne l'evoluzione. Poi è venuta l'era degli hacker, negli 
        anni '70 e '80. Anche loro avevano un progetto, e sono state le loro tecnologie 
        a permetterne lo sviluppo. Dalla fine degli anni '80 in poi, attraverso 
        la realizzazione del www ci si è avviati verso un progetto completamente 
        diverso. Svolgendo una ricerca a questo proposito ho scoperto che la maggior 
        parte dell'odierna produzione di software è tarata sulle necessità delle 
        imprese guidate da soggetti. Ancora una volta la tecnologia si rappresenta 
        come guidata da particolari soggetti. 
         
         
         
        Biografia 
         
        Saskia Sassen insegna sociologia all'Università di Chicago e alla London 
        School of Economic in qualità di 'Visiting professor'. Considerata fra 
        i teorici di spicco della società dell'informazione, la Sassen ha acquistato 
        fama e prestigio con il libro 'Global city' (1991). Tra le sue pubblicazioni 
        recenti ricordiamo: Guests and Aliens (1999), Globalization and its Discontents 
        (1998), 'Losing Control? Sovereignty in an Age of Globalization' (1996). 
        I libri della Sassen sono stati tradotti in tre lingue. Fra i libri tradotti 
        e pubblicati in Italiano ricordiamo: 'Città globali' Utet, Torino,1997; 
        Fuori controllo, Il Saggiatore, Milano,1998; 'Migranti, coloni, rifugiati. 
        Dall'emigrazione di massa alla fortezza Europa', Feltrinelli, Milano, 
        1999. Attualmente la Sassen sta completando il libro 'Cities and their 
        Crossborder Networks'. Fra i progetti di ricerca che sta portando avanti 
        ricordiamo il porgetto 'Governance and Accountability in a Global Economy.' 
         
       
        
      *  
        Stefano 
      Se dovessi 
        dare una definizione tecnica, asettica della globalizzazione, la mia scelta 
        potrebbe essere questa: la globalizzazione è il processo di progressivo 
        abbattimento dei confini economici nazionali.  
        Però, dando questa definizione, perderei tutto il gusto della discussione 
        su un tema che penso sia cruciale per i destini del mondo. Forse sono 
        un po' apocalittico, forse no. 
        Per dare un quadro più esaustivo del processo in questione, si potrebbe 
        comunque partire dalla definizione tecnica. Ho parlato di abbattimento 
        dei confini economici... il che è alquanto riduttivo vederlo come la semplice 
        rimozione dei dazi doganali o delle dogane stesse (come è accaduto in 
        Europa). Sempre di più, infatti, a partire dalla fine degli anni '50, 
        ciò ha significato il vero e proprio spostamento di intere fabbriche di 
        produzione di beni materiali e semilavorati, tipicamente a basso valore 
        aggiunto, in alcune aree depresse del mondo. Le ragioni di questa scelta 
        imprenditoriale sono note a tutti: in quei paesi, per ragioni politiche, 
        culturali, ma anche a causa di retaggi colonialistici, non esistono norme 
        di diritto dei lavoratori e di regolamentazione dei salari. Il che ha 
        significato un notevole risparmio da parte di quelle imprese che hanno 
        operato questa scelta. Risparmio troppo spesso accompagnato dallo sfruttamento 
        dei lavoratori stessi. Una conseguenza di questo modo di operare è stato 
        il progressivo impoverimento di quei paesi, dato il mancato reinvestimento 
        di risorse da parte di quelle aziende sul territorio. Una cifra sola: 
        intorno agli anni '60 per ogni dollaro che gli USA investivano nel Sud 
        America, 3 dollari tornavano dal Sud America agli USA. Da questa considerazione 
        nasce poi tutto il problema del debito estero dei paesi in via di sviluppo. 
        Soluzioni a questi problemi ce ne sarebbero. Ma sono tutte difficili da 
        attuare, soprattutto per i grandi interessi economici sottostanti. Innanzitutto 
        bisognerebbe costringere i governi di quei paesi a introdurre regolamentazioni 
        salariali e a legiferare in favore dei lavoratori. Ma così facendo la 
        situazione non si risolverebbe. Sicuramente i lavoratori avrebbero una 
        qualità della vita più elevata e una ricchezza maggiore: ma per farci 
        cosa? In effetti il problema vero della globalizzazione è che essa è ancora 
        oggi legata a beni materiali quando il vero valore aggiunto a quelle merci 
        lo danno i servizi ad esse correlati. Mi spiego: se un paio di scarpe 
        da ginnastica (la marca mettetecela voi) costa 300.000 lire, probabilmente 
        150.000 le dovete ai ricarichi sui costi di marketing e di ricerca e sviluppo 
        di quel prodotto. Tutti processi, questi, che vengono sistematicamente 
        iniziati e conclusi nei paesi industrializzati. Costringere le aziende 
        a esportare nel paese in via di sviluppi anche questi processi, gli unici 
        a creare un know-how oggi spendibile, significa riportare la ricchezza 
        in quei paesi.  
        Stefano  
       
        
      *  
        Kofi Annan 
      Una larga 
        parte della popolazione mondiale in questo momento è completamente fuori 
        dal mercato globale. Non produce nè consuma praticamente niente. Ha bisogni 
        enormi e un desiderio di beni e servizi forte, pari a quello di chiunque 
        altro. Ma non è in grado di pagare nulla, perchè non guadagna nulla. 
        Sono donne e uomini paralizzati dalla fame, dalle malattie, dall'ignoranza, 
        dall'isolamento. Insomma, dalla povertà. In molti luoghi la loro stessa 
        esistenza è minacciata, dalla violenza o dal degrado ambientale. Eppure, 
        potrebbero vivere in un mondo completamente diverso. 
        Il nostro pianeta è benedetto da risorse che potrebbero nutrire tranquillamente 
        i sei miliardi di persone che vi abitano, e anche di più. 
        Ma almeno un miliardo di bocche non hanno cibo, mentre derrate in eccesso 
        marciscono nei magazzini dei paesi ricchi. 
        Kofi Annan 
        Segretario generale dell'ONU 
        "Repubblica" 22/6/2001  
       
        
      *  
        Johan Galtung 
      "Vorrei proporre 
        un'altra definizione di "globalizzazione": la partecipazione 
        equa e collettiva di tutti gli stati ad un processo migliorativo comune, 
        a livello planetario. L'unico strumento che ci resta, è l'organismo delle 
        Nazioni Unite. Va detto chiaramente che la pace strutturale è oggi un 
        fenomeno che trascende la dimensione statuale, non possono essere gli 
        stati i soggetti attivi del processo." Johan Galtung 
       
       
         
      
        
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