Estetica della differenza ed ermeneutica pedagogica


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La ragione sensibile

Estetica della differenza ed ermeneutica pedagogica

Anita Gramigna*

 

Lo sguardo che accoglie

Le implicazioni operative di una riflessività pedagogica che attraversa criticamente la categoria della differenza riguardano i comportamenti, la loro coscientizzazione e la loro evoluzione. Il comportamento è largamente condizionato dallo sguardo, dalla sua direzionalità e consapevolezza. Per sguardo intendiamo il modo di guardare e/o occultare la realtà. Ne sottolineiamo insomma l'implicita e spesso oscura componente ideologica.

Così, la nostra proposta di un'istruzione scolastica interculturale presuppone, per esempio,

un modo di guardare alle culture con una intenzionalità più estetica che interessata a stabilirne il tasso di verità. L'estetica, infatti, non cerca l'universalità in una comunità bensì i segni paradigmatici ad alto spessore simbolico, onirico, artistico delle sue manifestazioni.

Uno sguardo quindi che non esclude, che valorizza le differenze come segni irripetibili ed autentici, che è in grado di cogliere i significati nella differenza rispetto alla propria identità culturale, etica, sociale. Si tratta di un orientamento dell'osservazione che non parte dal proprio punto di vista colto come esclusivo, o come detentore del massimo significato, ma anzi che può spostare il fascio di luce di tale direzionalità alla ricerca di significati altri che la possano arricchire. Un orientamento partecipato che è in grado di esercitare sul soggetto un'autosservazione costante, lucida e appassionata, capace di smuovere il proprio punto visuale e di cogliere, insieme alle suggestioni della sensibilità, le componenti affettive e relazionali delle istanze culturali.

Educare lo sguardo in direzione multiculturale e interculturale significa “trascendere” la direzionalità nella destinalità, attraverso la consapevolezza di come e di quanto la direzione possa escludere o accogliere, cogliere i contenuti e la possibilità di produrli o negarli, affinare una tensione etica, affettiva ed estetica di fratellanza universale. Ci sembra che questo possa costituire l'importante fondamento di una ragione sensibile e calda. Una ragione che sa sciogliere il senso di smarrimento lasciatoci dalla fine del fondazionalismo nell'ermeneutica di quelle diverse correnti di cultura, che intersecano la nostra società. Gli incontri delle differenze, quelli che preludono spazi di dialogo, convivenza o scontro, hanno bisogno di narrazioni, ed è proprio la scuola, insieme alle altre agenzie formative, insieme ai movimenti e ai centri sociali, a dover costruire gli strumenti, le occasioni e le suggestioni di tali narrazioni.

Stiamo parlando di un'ermeneutica decostruttrice che vince sia il determinismo delle ricostruzioni a posteriori, sia il nichilismo delle secolarizzazioni, in una narrazione che interpreta l'altro come parte del sé. Seme fecondo di quella relazionalità che “danza” 1 in noi e nel rapporto con il mondo che abitiamo e che ci abita. La relazione è il filo conduttore epistemologico ed etico della nostra ermeneutica. Una formazione in grado di cogliere la cultura occidentale nella sua identità plurale ed evolutiva, che conosce il valore educativo delle diversità ed il ruolo strategico del dialogo per creare spazi di incontro fra soggetti che, in vista della loro tras-formazione, s'impegnano a dare un nome al mondo 2 .

Tale orientamento dello sguardo sfugge al modello di integrazione, tante volte prospettato nella politica scolastica, che tende a ridurre le minoranze a immagine e somiglianza dello Stato, pressoché monolitico, che le ospita. Questa “integrazione” può temporaneamente sedare alcuni problemi di scontro fra le diversità, ma non mette mai in gioco i presupposti, le implicazioni ideologiche, la presunta centralità di significato di una cultura e la presunta marginalità non-significante di un'altra. Non risolve la questione di fondo. L'integrazione è dialogo, dialettica, confronto, crescita, narrazione. Ciò non significa dover abbandonare la nostra cultura civica.

Si tratta invece di prenderne coscienza delle sue profonde implicazioni ideologiche, delle direzionalità degli sguardi appunto, e degli impliciti giudizi di valore che possono schiacciare l'altro, il diverso, lo straniero, il deviante, l'accattone in una sorta di pericolosa non significanza.

Il nostro Paese, come ogni Paese, ha formalizzato attraverso leggi, programmi e curricula scolastici la maniera di discutere le questioni, di affrontare i conflitti, di risolvere i problemi delle minoranze e spesso di stabilire il loro interesse, insieme a quello definito “comune”. Alla luce di questa cultura civica e secondo questo modo di guardare, si insegnano la storia, la religione, le scienze sociali, i saperi scolastici in generale, compreso lo sport e l'educazione fisica. Crediamo che dovremmo porci il problema del modo in cui gli studenti stranieri rispondono all'impianto ideologico d'insegnamento, innanzi tutto essendone noi per primi consapevoli e poi, s'è detto, iniziando narrazioni nuove entro “una rete elastica e interdipendente di identificazioni multiple” 3 , narrazioni che guardino alla cultura come all'esito di differenze che, lungi dall'essere assolute, sono relazionali. E feconde. Crediamo

infine che dovremmo porci l'obiettivo concreto di far sì che ogni studentessa e ogni studente, italiani o stranieri che siano, possano trovare forti elementi identitari nel mondo e nel tempo che abitano. Questo ineludibile obiettivo educativo è perseguibile solo se la formazione che viviamo ci porta ad interpretare la nostra identità nell'armonia delle differenti appartenenze che la generano e nella consapevolezza intima e profonda di appartenere prima di tutto alla grande famiglia dell'umanità. Nella pratica educativa ciò significa essere sensibili all'ascolto e all'osservazione partecipata di tutte le differenze, ossia essere aperti alla loro lettura per coglierne il senso simbolico, le grammatiche profonde, le relazionalità dinamiche.

Si tratta di una formazione che è progettualità trasformativa, che agisce sulla coscienza individuale e che può cambiare la società.

 

Lo sguardo che ferisce

Esiste uno sguardo inconsapevolmente ideologico di chi in buona fede ritiene che quella del centro sia la realtà e che quindi la marginalità, con tutto il suo carico di malessere, vada rimossa. Ma, in questo desiderio di rimuovere la sofferenza che vive ai margini della società civile, si nasconde, ancora una volta, un punto di vista colonialista, che priva di significanza chi vive oltre quei margini, come se lì non ci fossero, insieme alla sofferenza, allo svantaggio, alla devianza, saperi, emozioni, affetti, significati, simboli che possono prefigurare una vita diversa e un mondo migliore. Gli esiti di tale prospettiva sul piano formativo generano progetti, itinerari, curricula, prassi educative che non tengono conto di quei saperi, emozioni, significati, e che siglano la nonsignificanza di coloro ai quali ci rivolgiamo. In tal modo si nega, con la loro identità, il diritto all'autodeterminazione. Le conseguenze sul piano metodologico sortiscono dei monologhi, finti dialoghi dove si parla solo la lingua e la cultura del più forte, di chi viene dal centro, perché costui, semplicemente, non conosce la lingua e la cultura di chi è al margine. Intrecciare dialoghi veri, cercare spazi di familiarità, empatia, scambio, implica la conoscenza delle formalizzazioni, degli alfabeti, delle metafore che nascono ai margini della nostra società 4 . E il desiderio di elaborare, anche attraverso di essi, differenti scenari di senso del mondo, anche del nostro mondo. La formazione che progettiamo per i marginali è destinata a fallire se intanto non tras-forma anche noi stessi. Pensiamo che ci debba essere questo lavoro preliminare di conoscenza dell'altro e, al contempo, di coscientizzazione di sé. Il problema è evidentemente anche filosofico oltre che pedagogico.

L'esplorazione delle categorie, lo studio della loro evoluzione e del pensiero che le attraversa sono infatti obiettivi propriamente filosofici, ma nelle finalizzazioni formative assumono una connotazione di evidente carattere pedagogico, o meglio, di epistemologia pedagogica.

Tuttavia questa prospettiva interdisciplinare ha bisogno anche di una riflessione etica, nonché di una relativa presa di coscienza, che definisca il soggetto nel suo rapporto con l'ambiente sociale, naturale e culturale. Per dare un senso alto al legame sociale, e per sfuggire alle chimere di quel narcisismo individualista su cui si fonda la piaggeria del consumismo contemporaneo. Di qui, la proposta operativa di fare educazione interculturale a partire da una profonda opera di diafanizzazione etica ed epistemologica dei paradigmi implicati nel gergo pedagogico.

Le riflessioni che proponiamo partono da questa convinzione e mirano ad esplorare con responsabilità piena le epistemologie implicite, le ideologie personali, gli orientamenti dei nostri sguardi, al fine di comprendere l'agire pragmatico che questo sfondo riverbera sia sulle scelte educative, sia sulle investigazioni scientifiche. Del resto, la responsabilità educativa non può eludere la condivisione e la partecipazione attiva di tutti i soggetti che agiscono entro un progetto formativo; diversamente, la formazione si muta in colonialismo, e la democrazia in assistenzialismo.

La pedagogia solidale invece mira a processi di integrazione reciproca fra soggetti che sono concepiti come agenti epistemici.

Nella relazione interculturale, fine dell'educazione diviene così la coscientizzazione della propria specifica e individuale responsabilità nella costruzione della conoscenza, e, di conseguenza, nel rapporto con il mondo, con i mondi, con l'identità, con gli altri. A partire dagli stranieri, in quanto ospiti che ci accolgono e che accogliamo. Per questo, in una prospettiva ecologica della conoscenza 5 , qualsiasi azione educativa riverbera i suoi effetti ben oltre il soggetto, i soggetti, gli ambiti prossimali, in una dimensione planetaria. Per conseguenza, l'integrazione formativa è, non può non essere, nella consapevolezza della reciprocità e del suo agire relazionale e tras-formativo nel contesto, nell'ambiente, nel mondo.

L'integrazione alla quale pensiamo è dunque un processo costruttivo di pensieri, sentimenti, azioni, simboli, estetiche, giudizi morali, sapere che, insieme agli altri, ci coinvolge e ci tras-forma nell'avventura della conoscenza. Che è precisamente l'avventura della differenza 6 . La conoscenzaalla quale ci riferiamo è infine quella che ci porta via via a scegliere, con chiara cognizione, gli strumenti culturali, intellettuali, strategici ed operativi adeguati ad orientarci nel mondo, a scegliere con responsabilità, e ad agire in senso strategico.

 

Una Pedagogia Solidale

La nostra ipotesi investigativa postula che, nel mondo contemporaneo, estraneità e familiarità rappresentino categorie chiave della lettura del mondo 7 . Riteniamo che, oggi più che mai, risulti impossibile orientarci nel kaos simbolico della complessità - ma più opportunamente potremmo chiamarlo multiversum - senza incontrare o scontrarci con queste matrici di senso. Attraverso la relazione estraneità-familiarità leggiamo sia la nostra storia esistenziale, sia i percorsi di orientamento nel reale e, di conseguenza, l'ermeneutica pedagogica 8 vi gioca una parte fondante.

Così, l'indagine intorno a queste categorie, sia in una prospettiva epistemologica che di operatività educativa, non rappresenta solo un modo di affrontare l'emergenza sociale e formativa legata al difficile e, per certi versi, drammatico processo migratorio in atto; ma anche l'occasione per una riflessività pedagogica, esistenziale, infine etica, che il presente reclama. Insieme all'urgenza di una conversione. Una conversione di orientamento culturale, di riflessione interiore, di slancio morale. Di qui la necessità di una integrazione, che per riuscire pienamente nelle sue enormi potenzialità formative - anzi tras-formative – deve necessariamente essere reciproca.

La scuola può organizzare i suoi curricula in senso inter e trans-disciplinare intorno a queste categorie, esplorandone le implicite dimensioni cognitive e metacognitive, le componenti scientifiche, le informazioni su tempi, geografie, letterature, economie, antropologie, religioni secondo un'organizzazione dei saperi che annuncia una diversa e più consapevole ideologia di sfondo. Il tema dell'estraneità ci riporta a quello dell'identità e dunque dell'alterità, in un circolo semantico che non conosce soluzione di continuità.

Lacan 9 ci ha mostrato come l'altro sia una struttura del soggetto e quindi fondi, con la sua identità, la sua natura stessa, perché è sull'immagine altra che iniziamo ad interrogarci sull'io. La presenza dell'altro ci mostra l'incompiutezza dell'individuo, la fragilità dell'autocoscienza, l'impossibilità dell'autosufficienza. In questo gioco di specchi si consuma buona parte del dramma educativo che agiamo nelle scuole o nelle nostre comunità, e che, attraverso di noi, talvolta a nostra insaputa, agisce sulle cose. Queste categorie possono efficacemente evidenziare le varie anime dell'investigazione educativa, i suoi intrecci disciplinari, le possibili contaminazioni epistemologiche, alla luce di una ermeneutica che, sempre, sia in grado di far convivere paradigmi differenti.

Siamo convinti che estraneità e familiarità siano concetti attraverso i quali la ricerca educativa possa esplorarsi, e al contempo, elaborare, a fronte delle emergenze formative contemporanee, nuovi panorami, contesti e itinerari di significazione del sapere pedagogico. Più vasti orizzonti esistenziali, nuovi scenari di senso del mondo. Itinerari formativi solidali.

 

 

Note

1 Il riferimento è a Bateson, Verso un'ecologia della mente , Adelphi, Milano, 1977

2 Il riferimento è a P. Freire, La pedagogia degli oppressi , Milano, Mondadori, 1973.

3 G . Bauman, L'enigma multiculturale. Stati, etnie, religioni , Bologna, Il Mulino, 2003, tit. orig. The Multicultural Riddle. Rethinking National, Ethnic, and Religious Identities , New York- London,Routledge, 1999, p. 144.

4 Cfr. A. Gramigna, I saperi giovani, Milano, Angeli, 2003.

5 Cfr. S. Manghi, La conoscenza ecologica . Attualità di Gregory Bateson , Milano, Cortina, 2004.

6 Cfr. A. Gramigna, (a cura di) Semantica della differenza , Roma, Aracne, 2005.

7 A . Schutz, Lo straniero. Saggio di psicologia sociale , (1942), in Id. Saggi sociologici (1971), Torino, UTET, 1979.

8 Cfr. A. Escolano Benito e A. Gramigna (a cura di), Formazione e interpretazione. Itinerari ermeneutici nella Pedagogia sociale , Milano, Angeli, 2004.

9 Cfr. J. Lacan, Lo studio dello specchio come formatore della funzione dell'io , in Scritti , Vol. I, Torino, Einaudi, 1974.

Articolo tratto dalla rivista bimestrale "Pedagogica.it" Luglio-Agosto 2006

 

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