| 
        La 
          volontà 
 Come 
          ben si sa i punti di vista dai quali si osservano e giudicano gli eventi 
          sono molto numerosi. Se rifiutiamo l’idea che qualcuno fra gli 
          esseri umani possegga il dono della verità dobbiamo accettare 
          che siamo immersi in un mondo di verità relative. La cosa generalmente 
          ci spaventa, nei testi scientifici il termine "relativismo" 
          è usato per indicare una iattura, pare ci tolga il terreno sotto 
          i piedi e ci faccia sentire "soli" con le nostre ragioni. 
          Alla fine di queste pagine vedremo però che si tratta di una 
          solitudine semplicemente raccontata e che esplorando un po’ la 
          foresta dei punti di vista relativi ci imbatteremo in interessanti spiegazioni 
          su che cosa sia la volontà, quella strana forza che ci renderebbe 
          coerenti e capaci di raggiungere le nostre mete.  Accettiamo 
        quindi, per ora solo provvisoriamente, l’idea che viviamo in un 
        mondo di verità relative, potremmo quindi affermare che gli esseri 
        umani conoscono il mondo soltanto interpretandolo, e che lo stesso ambiente 
        può essere visto in un numero molto alto di modi, a seconda delle 
        modalità interpretative.Questa possibilità venne chiamata da George Kelly "Alternativismo 
        costruttivo". Costruttivo perché il modo col quale interpretiamo 
        la realtà ce la fa sembrare "vera" e quindi la nostra 
        azione interpretativa è anche una azione di costruzione di ciò 
        che sperimentiamo. Alternativismo perché il nostro punto di vista 
        può essere sostituito a pieno diritto da altri punti di vista.
 Ora 
        alcuni dei modi interpretativi che utilizziamo ci permettono di costruire 
        una realtà funzionale ai nostri bisogni adattivi, altri non ci 
        riescono. A complicare le cose sta il fatto che, proprio perché 
        immersi in una verità relativa, noi cerchiamo di interpretare ciò 
        che sperimentiamo per dargli dei significati, ma questi devono essere 
        condivisi anche dagli altri. Più i significati sono condivisi, 
        più ci sentiamo parte del genere al quale apparteniamo. Va da sé 
        che l’insieme di ciò che va interpretato comprende anche 
        noi stessi.Due sono quindi le nostre attività vitali nel processo di esperienza 
        del mondo:
 
         interpretare 
          ciò che ci sta attorno e ciò che è in noi stessi 
          per fornirne 
          significati condivisi e/o rinegoziarli.   
        Che strumenti utilizziamo per interpretare il mondo, classificare ciò 
        che vediamo e percepiamo e fare quindi ordine nel caos di sensazione nel 
        quale siamo immersi?Fra mille modelli (ipotesi sulla "forma" di tali strumenti) 
        potremmo scegliere quello proposto sempre da Kelly: i costrutti personali. 
        Questi sono i modi attraverso i quali interpretiamo il mondo I costrutti 
        hanno lo stesso ruolo che per gli scienziati hanno le leggi fisiche: servono 
        a predire ciò che avverrà.
 Infatti tramite i costrutti anticipiamo gli eventi utilizzando il ricordo 
        di caratteristiche e situazioni, che già altre volte abbiamo visto 
        in passato e che sono simili a quelle che immaginiamo o constatiamo nel 
        presente. (Harrè, Gillet, la mente discorsiva)
 A 
        questo punto la cosa comincia a farsi davvero molto complicata! Il passato 
        ci va anche bene, è nei libri e un po’ anche in quello che 
        si guarda. Ma il futuro, come si può vedere il futuro? Tu, mamma 
        , ci riesci? [...]-Se metto una biglia sopra un tavolo e poi inclino il tavolo, sapete dirmi 
        in anticipo cosa succederà?
 -La biglia rotolerà.
 -Ebbene, citrulloni, ciò si chiama semplicemente vedere nel futuro.
 Esistono individui che sanno guardare molto lontano, ma noi tutti possiamo 
        prevedere un poco il futuro.
 (Moitiesser B., 1994)
 E, 
        in termini meno coinvolgenti:  "Ogni 
        persona dà differenti interpretazioni delle cose a seconda che 
        trovi utile paragonarle ai contenuti di questa o quell’altra esperienza 
        del proprio passato e, sulla base di queste concettualizzazioni, programma 
        le sue interazioni future con queste cose, persone, situazioni.(Gillet G., Harrè R., 1996)
 Le 
        nostre interpretazioni dunque, e di conseguenza le nostre previsioni di 
        ciò che accadrà devono il più possibile esser condivisibili 
        dagli altri, e ciò significa implicitamente che il terreno di verifica 
        della nostra normalità è necessariamente il terreno della 
        comunicazione, è qui che confrontiamo le nostre interpretazioni 
        e le nostre previsioni con quelle altrui, è qui che cerchiamo di 
        conquistare l’altro alle nostre idee, perché solo se non 
        siamo i soli a pensarle possiamo aspirare alla normalità, traguardo 
        che forse è il vero motore dell’umanità in questi 
        confusi anni. Dovrebbe 
        essere abbastanza facile ora accettare questa conclusione: tutta la realtà 
        che condividiamo con gli altri è una realtà comunicativa, 
        è fondata cioè sul fatto che anche gli altri comunicando 
        con noi forniscono le stesse interpretazioni e le stesse previsioni. Ora 
        , pensare che tutta la nostra realtà è soprattutto una realtà 
        comunicativa, ci fornice un formidabile strumento di analisi di ciò 
        che accade, ci consente di porci per qualche istante al di fuori del palcoscenico 
        della comunicazione e di guardare con distacco dal loggione. Scena:Uno studente , dopo alcuni mesi di sofferenza e di insuccessi scolastici, 
        trova la forza di dire ai genitori di non esser portato per lo studio 
        e di sentirsi un fallito.
 Se 
        voi foste i genitori sareste a questo punto coinvolti da questo problema 
        e comincereste a discutere su che cosa fare: cercare un aiuto? Interrompere 
        gli studi ? Mostrare solidarietà col ragazzo? Rimproverarlo? Incoraggiarlo 
        ? Inveire furibondi? ecc.  Ma 
        , osservando le cose dal "loggione" potreste ora dire"Ciò 
        che stiamo "osservando" non è l'incapacità di 
        un ragazzo di seguire il corso di studi iniziato, è soltanto la 
        comunicazione della sua incapacità e di un fallimento."  Non 
        esiste nella realtà l’oggetto "fallimento", esiste 
        una comunicazione che dichiara fallito un percorso formativo, ed è 
        su questa comunicazione che bisogna ulteriormente indagare, per capire 
        a chi è destinata, perché è ritenuta conveniente, 
        quali vantaggi ci si aspetta dal fallimento ecc. La comunicazione tende 
        infatti a produrre negli altri interpretazioni e previsioni simili alle 
        nostre. Possiamo 
        toccare ora il termine a titolo di queste pagine, usatissimo dal senso 
        comune e sempre carico di effetti di realtà: la volontà.Si può ora agevolmente comprendere che la volontà non è 
        un oggetto, ma una convenzione linguistica. Si comunica di avere volontà, 
        non si ha volontà.
 Riterremo allora volonteroso ciò che è adeguato al nostro 
        costrutto relativo alla volontà. Chi vorrà essere volonteroso, 
        dovrà apparire tale, dovrà mettere in atto processi accurati 
        di ricerca su ciò che si intende per "volonteroso".
 Possiamo quindi esprimere queste considerazioni conclusive:
 Volonterosi 
        si impara ad essere, e lo si può imparare una volta scelto (consapevolmente 
        o no) il gruppo culturale dal quale si vogliono i riconoscimenti. Sarà 
        infatti quel gruppo a decidere che cosa abbia attinenza con la volizione. 
        La persona che è ritenuta volonterosa si è servita , per 
        apparire tale, di una sorta di intelligenza sociale: come il politico 
        sa cosa occorre dire per conquistare il suo pubblico, così il volonteroso 
        sa cosa mostrare per apparire tale ad un determinato tipo di pubblico.
 Questa specie di intelligenza, questa necessità di sondare e riconoscere 
        le esigenze del "pubblico" vale per tutti i campi, Aristotele 
        applicò questo concetto al bravo oratore:
 Poichè 
        la funzione del discorso è in certo modo quella di guidare l’anima, 
        chi intende diventare oratore bisogna che conosca quante specie di anima 
        ci sono. Ora , esse sono tante e di tale natura diversa che gli uomini 
        sono chi di un carattere e chi di un altro. E in più, a questi 
        tipi così catalogati, corrispondono tanti e tanti tipi di discorsi, 
        ciascuno diverso. Di qui un certo tipo di uditori rimarrà facilmente 
        persuaso da un certo tipo di discorso a fare certe cose e per certe ragioni, 
        mentre un altro tipo rimarrà indifferente.  Ma 
        che cosa succede quando i costrutti che un individuo ha messo a punto 
        non riescono ad anticipare gli eventi? Non sono condivisi dagli altri, 
        non hanno cioè lo stesso significato e lo stesso valore , per gli 
        altri, che l’attore vorrebbe loro dare? Esaminiamo alcune delle 
        numerose possibilità: Si 
        vuole essere volonterosi, ma si è consapevoli di non avere ancora 
        imparato a farlo Si vuole essere volonterosi e non si è consapevoli di non avere 
        ancora imparato a farlo
 Si vorrebbe essere volonterosi, ma se lo si diventasse, si andrebbe incontro 
        ad implicazioni del tutto spiacevoli.
 Si vorrebbe essere volonterosi , ma non si sa come impararlo perché 
        mancano esperienze precedenti e non si possono fare anticipazioni.
 Si vorrebbe essere volonterosi, ma il costrutto "volonteroso" 
        sfugge di mano e diventa incontrollabile
 esamineremo questi casi uno per uno.
 Si 
        vuole essere volonterosi, ma si è consapevoli di non avere ancora 
        imparato a farlo.Qualcuno vorrebbe mostrarsi volonteroso , ma non ha imparato a mostrarsi 
        tale. Se ne è consapevole accentua la sua ricerca per la scoperta 
        e l’apprendimento delle regole di comportamento del perfetto "volonteroso". 
        Siamo qui di fronte a qualcuno che sta per mettere in opera un cambiamento 
        e sta per diventare una persona volonterosa. Se ricordiamo che la realtà 
        di cui si parla qui è una realtà narrata, ci sarà 
        chiaro che volersi mostrare volonteroso senza avere imparato a farlo non 
        significa "mentire", ma iniziare a fare ciò che si fa 
        per apparire volonterosi, mettersi al lavoro per questo scopo.
 Nella realtà narrata ogni azione è semplicemente un mostrare 
        qualcosa , un comunicare e narrare a se e/o agli altri.
 Questo è il caso in cui è inutile ogni intervento, se chiamiamo 
        le fasi in altro modo tutto diventa chiaro: Volersi mostrare volonteroso 
        e sapere di non esserlo ancora non è altro che il manifestarsi 
        di un problema, e un problema rappresenta sempre una discrepanza fra ciò 
        che si vorrebbe e ciò che si ha. I problemi si risolvono agendo.
 Questo caso rappresenta dunque una situazione di grazia e di fortuna, 
        ragionare in questo modo ci semplifica la vita. Così ragionano 
        quei ragazzi che semplicemente si impegnano nello studio e hanno successi 
        scolastici. I nostri sforzi di educatori potrebbero riconoscere in questo 
        stato la condizione ideale, quella cui condurre e mirare i nostri sforzi 
        educativi. Purchè questo sia il nostro problema.
 Si 
        vuole essere volonterosi e non si è consapevoli di non avere ancora 
        imparato a farlo. Carlo, diciassette anni, frequenta il liceo scientifico 
        con molte difficoltà. Vorrebbe mostrarsi volonteroso, non ha però 
        imparato a mostrarsi tale e non ne è consapevole. Come è 
        possibile questo caso?Riteniamo che spesso l ’ "errore" stia nel tipo di pubblico 
        a cui dedica la propria recitazione. Al variare del tipo di pubblico come 
        abbiamo visto, variano le attese.
 La commedia di Show, "Pigmalione" è una brillante illustrazione 
        del passaggio da un pubblico ad un altro.
 E’ 
        facile capire che se i giudici di quanto si studia sono gli amici di gioco, 
        i compagni del gruppo, si potranno riscontrare alcune discrepanze con 
        i giudizi degli insegnanti.Quando sono posto di fronte alla variabilità dei criteri con i 
        quali gli esseri umani valutano le loro azioni mi torna sempre a mente 
        un dialogo avuto molti anni fa con un ragazzo detenuto in un carcere minorile:
 -Ehi, 
        Masoni, io ti ammiro-Sì?, e perché?
 -Perché sei un non violento, anch'io sono un non violento
 -Bene !
 -Perché quando io sto menando qualcuno, appena cade per terra o 
        sanguina, smetto di pestarlo...
 Allo 
        stesso modo un ragazzo di un istituto tecnico mi diceva: -Io 
        non è che non studio, studio un casino, ma la scuola va male lo 
        stesso-E quanto studi in media al giorno?
 -Una mezz'ora, a volte anche un'ora.
 Si 
        tratta di casi abbastanza semplici: sono i tipici casi in cui è 
        necessario fornire al ragazzo un metodo di studio oltre alla conoscenza 
        che il tempo impiegato per la scuola deve essere maggiore.  Abbiamo 
        avuto tutti l’esperienza di osservare qualcuno ritenuto precedentemente 
        un fannullone, farsi in quattro per un certo tipo di azioni che giudichiamo 
        assolutamente insignificanti o indegne di quella fatica. Quando lavoravo 
        in un carcere minorile ascoltavo con stupore quanto lavoro implichi per 
        dei "professionisti" il furto di una macchina su richiesta del 
        ricettatore: supponete che questi abbia chiesto al ragazzo "specialista" 
        di procurargli un fuoristrada Toyota rosso, il ragazzo passerà 
        molte ore e anche qualche giorno per trovare una macchina adatta, la seguirà 
        per controllarne l’impianto antifurto, organizzerà poi il 
        colpo lavorando per una buona mezz’ora per rendere inutilizzabile 
        l’impianto antifurto, poi la guiderà per la città 
        schivando percorsi sospetti e macchine della polizia, infine la consegnerà 
        al ricettatore per una cifra irrisoria. Questo lavoro , motivante forse perché redditizio, non pare stancare 
        il nostro ragazzo , ho conosciuto ragazzi di diciassette anni che mi hanno 
        detto di aver rubato su ordinazione circa duemila auto.
 Questi stessi ragazzi trovavano insopportabilmente faticoso leggere più 
        di tre righe di un libro o eseguire una moltiplicazione con numeri di 
        due cifre.
 Forse perché non l’hanno mai fatto? Non è semplicemente 
        così.
 L’approvazione del loro gruppo e dei loro boss è di gran 
        lunga più importante per loro della nostra approvazione.
 In una situazione di questo tipo si trovano anche quei ragazzi che hanno 
        una sete di capire e di sapere che la scuola, condizionata da una media 
        ritenuta un valore assoluto, rifiuta o non sa riconoscere e approvare. 
        Molti studenti dalle capacità eccezionali si trovano male a scuola 
        per questa ragione.
 Si 
        vorrebbe essere volonterosi, ma se lo si diventasse, si andrebbe incontro 
        ad implicazioni del tutto spiacevoli.I costrutti non sono entità vaganti liberamente nel pensiero delle 
        persone, essi stanno in rapporto tra loro e sono inseriti in gerarchie: 
        sono cioè spesso implicati da altri costrutti o implicano altri 
        costrutti. Mettere in luce queste gerarchie non è difficile.
 Immaginiamo 
        di avere già precedentemente elicitato i costrutti più utilizzati 
        da un ragazzo relativamente al mondo della scuola e alle sue concezioni 
        in proposito, ora dovremmo rintracciare tutti i costrutti che hanno rapporto 
        con l’idea di volontà o di volonteroso.Non è difficile , anzi è altamente probabile che il ragazzo 
        abbia usato costrutti relativi alla volontà per descrivere le caratteristiche 
        di alcuni personaggi proposti per la elicitazione dei costrutti.(Possiamo 
        anticipare che la stessa tecnica può essere utilizzata per i costrutti 
        relativi all’attenzione e alla memoria) Supponiamo quindi che esista, 
        fra quelli elicitati, il costrutto:br>
 Che è volonteroso / che non ha voglia di far niente
 E 
        supponiamo naturalmente di aver di fronte proprio un ragazzo che si riconosce 
        nel polo "che non ha voglia di far niente". Gli chiederemo allora: "Se 
        ti svegliassi una mattina e ti accorgessi che sei diventato una persona 
        volonterosa, cioè che rispetto alla volontà hai ora caratteristiche 
        opposte a quelle che avevi prima, quali altri costrutti cambierebbero? 
        In altri termini, il cambiamento da una parte all’altra del costrutto 
        volontà provocherà dei cambiamenti prevedibili anche in 
        altri costrutti?"  Si 
        inviterà il ragazzo quindi a far passare ogni costrutto per immaginare 
        se esso resterà tal quale o cambierà polarità in 
        seguito al cambiamento del costrutto relativo alla volontà.  L’osservazione 
        di ciò che accadrà sarà semplice e utile: Se 
        molti altri costrutti saranno cambiati ( se sarà cambiata cioè 
        la polarità ritenuta prima più descrittiva) ciò significherà 
        che il costrutto relativo alla volontà è un costrutto altamente 
        sovraordinato: il suo cambiamento sarà difficile perché 
        nell’istante in cui avverrebbe il cambiamento molte altre cose dovrebbero 
        o potrebbero cambiare. Alcune di queste cose possono apparire così 
        sgradevoli da inibire la messa in atto del processo di cambiamento al 
        livello superordinato.  Nella 
        terza C tutti sanno che cosa vuol dire avere buoni risultati a scuola, 
        tutti sanno che occorre impegnarsi in un certo modo per poter poi avere 
        un buon risultato. Gianni però sembra incapace d impegnarsi e di 
        avere un buon risultato.Conducendo con lui una ricerca sulle implicazioni scopriamo che se diventasse 
        volonteroso troverebbe normale un cambiamento nel costrutto relativo al 
        sesso e all’educazione, scopriamo cioè che è fortemente 
        radicata in Gianni la convinzione che mostrarsi volonteroso è da 
        femminucce.
 Questa fu, alla fine, la sua risposta:
 Chi 
        studia e si comporta in modo volonteroso ed educato in classe è 
        una femmina, un frocio, io troverei insopportabile essere un frocio. Il 
        rimedio a questo stato di cose, una volta raggiunta la chiarezza sui termini 
        del problema e sui costrutti del ragazzo, non sembra difficile , occorre 
        un lavoro di informazione , corredato da esempi e da esperienze di successo 
        (In riferimento ovviamente ai "valori" del ragazzo.Per es. un 
        elenco dei ragazzi che vanno bene a scuola, che sono educati e lavorano 
        con costanza e tuttavia non sono affatto omosessuali), che mostri al ragazzo 
        che la sua ipotesi di correlazione fra l’omosessualità e 
        il successo scolastico non ha alcun fondamento "scientifico". 
         Si 
        potrebbe naturalmente anche procedere sull’altro versante del problema 
        , cioè insegnare al ragazzo che non c’è nulla di male 
        nell’essere omosessuali, ma, avendo poco tempo a disposizione, il 
        rifiuto sociale nei confronti di questa posizione è così 
        forte, malgrado le lotte dei gay, da rendere vana questa scelta. Si 
        vorrebbe essere volonterosi , ma non si sa come impararlo perché 
        mancano esperienze precedenti e non si possono fare anticipazioni.Se ci dicono che dovremmo impegnarci un po’ di più in quello 
        che stiamo facendo, alla maggioranza di noi il significato di questa richiesta 
        appare assolutamente chiaro: che noi poi ci si impegni di più o 
        si ignori la richiesta, noi sappiamo che cosa vuol dire impegnarsi. Lo 
        sappiamo perché l’abbiamo sperimentato molte volte nella 
        vita. Come questa ragazza:
 - 
        Non riesco nella scuola , proprio non ho voglia di studiare, è 
        una cosa che non sopporto- Da quanto tempo?
 - Da quando ho finito le medie , prima mi piaceva studiare e andare a 
        scuola
 - In quell'epoca riuscivi a impegnarti?
 - Sì, andavo volentieri a scuola , studiavo, facevo sempre i compiti 
        a casa...
 Molto 
        diversa è invece la risposta di questo ragazzo, uno dei tanti incontrati 
        durante gli anni in cui conducevo uno sportello di consultazione psicologica 
        nella scuola:  - 
        Come va?- Bene
 - Qual è il problema?
 - Non è che tengo un problema
 - Beh, perché sei qua, non che occorra avere un problema , ma la 
        maggioranza dei ragazzi che mi chiedono un aiuto lo fanno per poter risolvere 
        un problema
 - Sì, che sono un tipo un po' nervoso
 - In che senso?
 - Quando sono con la ragazza....
 - Beh?
 - Eeeeh...divento cattivo
 - Quando in particolare diventi cattivo?
 - Non so....tante volte
 - Mi puoi fare un esempio recente?
 - Come recente?
 - Recente vuol dire che ti è successo poco tempo fa...l'ultima 
        volta che ti sei arrabbiato
 - Domenica...sono andato al parco , con la mia ragazza, siamo passati 
        di fianco a un gruppo e uno l'ha toccata...
 - E allora?
 - E allora minchia gli ho spaccato il naso, era pieno di sangue , la mia 
        ragazza mi tirava via, piangeva....poi mi ha detto che non vuole più 
        uscire con me....poi...c'è anche la scuola
 - Cosa c'è a scuola
 - Eeeeh, va male
 - In che cosa vai male?
 - In tutto
 - Pensi che ti boccino?
 - Mi hanno già bocciato...l'anno scorso
 - Secondo te vai male perché non ti impegni, non studi o per altre 
        ragioni?
 - Ma, non lo so...che ddevo fare?
 - Studi a casa?
 - No, io il pomeriggio esco
 - Ma non studi mai?
 - No, sto fuori
 - Non hai mai studiato?
 - No
 - Vediamo se ci capiamo....sai cosa vuol dire studiare?
 - Essì
 - Cosa vuol dire?
 - Leggere
 - E fare i compiti?
 - Scrivere
 - Con gli insegnanti come va?
 - Dicono che parlo, che faccio casino
 - Hanno ragione?
 - Sì, ma che devo fare?
 - Beh, secondo te qual è il tuo problema nella scuola?
 - E che ne saccio!
 Che 
        succede quando, come nel caso appena visto, i costrutti non trovano altre 
        esperienze a cui collegarsi per predire ciò che avverrà? 
        Si creano disadattamenti e distorsioni nei propri costrutti (Gillet G., 
        Harrè R.,1996 )  Alcuni 
        costrutti possono diventare non nominati ( resi pre - verbali), altri 
        possono aver un loro polo sommerso e invisibile.(Ryckman, 1989, pag. 333)La possibilità, insomma, di costruire la realtà intorno 
        a noi non è così grande come sembrerebbe a prima vista , 
        infatti per le nostre costruzioni utilizziamo solo i significati utilizzati 
        all’interno delle narrazioni che noi abitiamo. Abbracciando questo 
        punto di vista dobbiamo fare a meno, fra l’altro, di tutte le categorie 
        della psicologia tradizionale. Per es l’idea che ci siano in noi 
        pulsioni, bisogni eccc, perde di senso, Harrè riporta il seguente 
        esempio: Don Giovanni vede le donne come bersaglio per un certo appetito 
        che egli SUPPONE di avere. Ciò che spinge Don Giovanni ad arricchire 
        il proprio catalogo non è più una pulsione, ma il "focalizzarsi 
        sui significati o sulle immagini nei cui termini le persone costruiscono 
        le proprie personalità".(Gillet G.,Harrè R.,1996 )
 Che aiuto dare allora a quel ragazzo che nemmeno riesce a mettere a fuoco 
        il suo (nostro?) problema. Credo che un atteggiamento emico (Masoni,M.,1994), 
        in un lungo percorso, per lungo tempo, possa aiutarci a vedere il mondo 
        con i suoi occhi. Dovremmo risvegliare il vecchio Rogers: assumi il suo 
        punto di vista, senza rinunciare a ciò che sei, solo così 
        potrai indicargli strade nuove che egli potrà vedere come sue.
 Si 
        vorrebbe essere volonterosi, ma il costrutto "volonteroso" sfugge 
        di mano e diventa incontrollabile. il 
        contesto sociale è grigio e amorfo. l'individuo per poter risaltare in esso deve distinguersi, apparire "altro"
 Si può apparire altro solo non rispettando le regole del contesto 
        "grigio e amorfo", che ovviamente devo conoscere.
 Quindi percepisco i valori generali che improntano quel contesto grigio 
        e amorfo e agisco in modi ad essi contrari.
 La 
        tappa costruttiva più importante in questa serie di passi è 
        quella relativa alla convinzione che risaltare , esistere, occorre apparire 
        "altro". Questa convinzione una volta acquisita non è 
        più padroneggiabile dalla persona.Tentiamo di generalizzare:
 Si accettano i significati di un certo livello discorsivo, vale a dire 
        di un certo contesto sociale.
 Non si riesce ad agire in accordo con quei significati.
 Il "non riuscire ad agire" è una attività discorsiva 
        attiva e non padroneggiabile. Il fatto che non sia padroneggiabile è 
        ovviamente dovuto al fatto , identitario, che ora , per "esserci", 
        occorre non riuscire ad agire.
 Che fare quindi in questi casi? Ci sono scelte dolorose degli altri che 
        vanno rispettate. Se ne soffriamo troppo ( noi), confortiamoci pensando 
        che nel tempo molto può cambiare: se il mondo è comunicazione, 
        allora i problemi si formano nella relazione e si risolvono nella relazione. 
        Pensare di guidare sempre le relazioni significa pensarsi onnipotenti.
 ConclusioniLa volontà, in quanto argomento narrativo, va indagata all’interno 
        dei contesti narrativi nei quali prende corpo. Motivare un ragazzo, ossia 
        fornirlo di volontà, significa fornirgli narrazioni che ristrutturino 
        la sua vecchia narrazione/argomentazione. Per esempio, se per un ragazzo 
        diventare "volonteroso" significa "perdere la faccia", 
        motivarlo significa fornirgli argomentazioni che egli possa spendere per 
        spiegare il suo cambiamento salvandosi la faccia. In generale il biasimo, 
        il rimprovero , tutte le sanzioni dello stupidario scolastico e famigliare, 
        alimentano la mancanza di volontà, la forniscono di senso, la rendono 
        nobile. Chi scrive un po’ se ne intende, dato che è stato, 
        tanto tempo fa, un ragazzo molto svogliato.
 
 Bibliografia 
        Gillett G.,Harré R., La mente discorsiva, Raffaello Cortina,1996
 Masoni, Insegnamento e devianza minorile, Giuffrè, Milano, 1994
 Moitessier B. Tamata e l'alleanza, L'autobiografia di un grande navigatore 
        Edizione Incontri Nautici, Roma, 1994
 Ryckman, 1989, pag. 333, Theories of Personality,Wadsworth, New York
 Marco 
        Vinicio Masoni 
 Tratto 
        da www.vertici.com Torna 
        alla lettera V - Torna all'alfabeto
 |