| EURISPES LA DISPERSIONE SCOLASTICA
 Sintesi per la stampa
 Roma, settembre 2002
 
 Definizione 
        e cause della dispersione scolastica
 Nonostante i numerosi interventi ministeriali tesi al 
        miglioramento della qualità dei programmi, dei metodi, delle strutture 
        e degli strumenti necessari all'apprendimento e alla formazione, le istituzioni 
        continuano a confrontarsi con un problema di antica data: la dispersione 
        scolastica, ovvero l'interruzione del ciclo di studi, che spesso prelude 
        all'ingresso del giovane nei canali della microcriminalità o in 
        organizzazioni criminali vere e proprie.Secondo quanto emerge da uno studio realizzato in collaborazione con i 
        docenti impegnati nell'attività dei Centri di Informazione e Consulenza 
        (CIC), l'abbandono scolastico è il prodotto di una combinazione 
        di fattori socio-economici, culturali e familiari, quali (in ordine di 
        importanza):
 - lacune nella preparazione di base: attribuibili anche alla scarsa motivazione 
        dell'alunno, sono altrettanto imputabili a metodi di insegnamento inadeguati; 
        inoltre, la politica delle promozioni indifferenziate, attuata soprattutto 
        nella scuola dell'obbligo, non aiuta certamente a colmare le lacune nella 
        preparazione, le quali, sedimentandosi nel corso degli anni, creano i 
        presupposti per l'interruzione degli studi;
 
         scarso orientamento all'istruzione superiore nella 
          scuola media: il passaggio da un ciclo di istruzione all'altro rappresenta 
          una fase delicata, che richiede allo studente l'approccio con nuovi 
          contenuti e modalità didattiche; la scuola, invece, spesso tralascia 
          l'importante compito di informare e preparare i ragazzi ad affrontare 
          un livello di studi superiore: di qui il senso di smarrimento e di insofferenza 
          verso l'istituzione scolastica che si registra negli studenti lungo 
          il crinale dell'accesso al ciclo di studi successivo; insufficiente motivazione allo studio: si evidenzia 
          in particolare negli istituti professionali; benché direttamente 
          imputabile allo studente, è da ritenersi anche la conseguenza 
          di un presupposto sbagliato, secondo cui impegno e studio costante sarebbero 
          necessari soltanto nei licei e negli istituti magistrali. L'istituzione 
          scolastica dovrebbe pertanto veicolare una diversa immagine di se stessa 
          innalzando gli standard e gli obiettivi formativi, di modo che anche 
          lo studente meno motivato venga sollecitato allo studio, inteso come 
          strumento fondamentale della propria realizzazione personale; 
 scarso sostegno e coinvolgimento delle famiglie 
          nella vita scolastica dello studente: è un atteggiamento che 
          influenza negativamente la percezione di sé, delle proprie capacità 
          e possibilità di riuscita nello studio, perché enfatizza 
          i fallimenti scolastici e minimizza i segnali di ripresa da parte dello 
          studente; 
 eccessivo carico di lavoro e difficoltà di 
          adattamento ai ritmi di studio: si tratta di disagi avvertiti in particolare 
          nei licei e negli istituti magistrali; la sensazione dell'incapacità 
          a tenere il passo con il resto della classe e con le richieste dei professori 
          può produrre un calo nella motivazione nei soggetti meno tenaci;
 caduta della motivazione allo studio: si verifica 
          soprattutto nel triennio superiore e interessa in particolare gli istituti 
          professionali; può essere ricondotta anche all'incertezza dell'inserimento 
          nel mondo del lavoro, per il quale la scuola non sempre sembra fornire 
          strumenti opportuni; 
 problemi di inserimento nella prima classe di ogni 
          ciclo di studi: ad ogni passaggio da un ciclo scolastico ad un altro 
          di livello superiore, i ragazzi vengono a contatto con un gruppo di 
          compagni nuovi, ma soprattutto con un nuovo corpo docente. La difficoltà 
          ad instaurare con questi ultimi una relazione adeguata può acuire 
          il disagio che l'alunno avverte nel passaggio ad una fase più 
          complessa ed impegnativa del percorso di studi. Possono derivarne contrasti 
          con il docente e ritardi nel processo di apprendimento;
 difficoltà nell'acquisizione di una corretta 
          metodologia di studio: è attribuibile da un lato alla scarsa 
          volontà dello studente, dall'altro alla mancanza di un adeguato 
          supporto didattico che possa aiutare l'alunno ad orientarsi nella molteplicità 
          di richieste cui si trova a dover rispondere, considerando l'elevato 
          numero di docenti e le relative, differenti modalità di intendere 
          il processo di apprendimento;
 difficoltà relazionali con la classe: subentrano, 
          in particolare, quando l'alunno possiede caratteristiche che lo differenziano 
          dal resto del gruppo. Gli studenti stranieri, gli appartenenti a comunità 
          nomadi ed i portatori di handicap sono i soggetti che più facilmente 
          e più frequentemente vivono una condizione di esclusione e di 
          isolamento dal resto della classe, subendo spesso vere e proprie discriminazioni. 
          Se privi di sostegno adeguato da parte degli adulti, questi ragazzi 
          possono decidere di risolvere il conflitto abbandonando la scuola;
 aspettative eccessive da parte dei genitori: favoriscono 
          in molti casi (e soprattutto negli studenti liceali) l'insorgere di 
          ansie e del timore di non essere all'altezza. La combinazione di un 
          approccio costruttivo agli insuccessi scolastici e di un comportamento 
          responsabilizzante da parte dei genitori creerebbe invece, negli alunni, 
          le basi per un atteggiamento positivo dinanzi alle difficoltà 
          scolastiche;
 divario tra età anagrafica e classe frequentata, 
          causato da ritardi e ripetenze: in questo caso, lo svantaggio psicologico 
          nei confronti dei compagni di classe e del corpo docente può 
          acuire le difficoltà di apprendimento già manifestate 
          dal ragazzo e produrre irritabilità, insofferenza e comportamenti 
          inadeguati;
 scarsa continuità didattico-educativa tra 
          scuola media inferiore e superiore: il cambiamento nei metodi di insegnamento 
          e nelle discipline oggetto di studio rientra tra i fattori che, disorientando 
          lo studente, possono incidere negativamente sul rendimento scolastico.
condizione economica non elevata della famiglia di 
          provenienza: contrariamente a quanto si potrebbe pensare, l'abbandono 
          scolastico non è un fenomeno limitato ai ceti meno abbienti; 
          pertanto, tra le cause di dispersione scolastica, il basso status economico 
          della famiglia di origine riveste un'importanza minore.  La situazione nazionale
 Secondo i dati rilevati da una ricerca della Uil Scuola 
        (2001), oggi in Italia l'8,1% degli studenti delle scuole medie superiori 
        viene bocciato almeno una volta, mentre il 5,2% non supera, al primo tentativo, 
        l'esame di maturità. Nelle scuole medie inferiori la metà 
        di coloro che affrontano l'esame di licenza non va oltre il giudizio "sufficiente". 
        La maggior parte degli studenti ripetenti delle scuole medie superiori 
        vive nelle Isole: il 10,2% degli studenti della Sicilia e della Sardegna 
        viene bocciato almeno una volta. La percentuale scende nel Nord-Ovest 
        (8,3%) e nel Centro (8,1%), assestandosi sui valori più bassi al 
        Sud (7,5%) e al Nord-Est (7%).
 La Sardegna detiene il primato nella classifica nazionale del maggior 
        numero di bocciati, con una percentuale del 15,2%; seguono la Valle d'Aosta 
        con il 9,8%, la Liguria con il 9,2%, poi il Lazio e la Sicilia con l'8,8%.
 La maggiore frequenza nelle bocciature si registra in quattro città 
        sarde: Cagliari (16,1%), Oristano (15,5%), Sassari e Nuoro (14,2%). Nella 
        classifica seguono Caltanisetta (11,1%), Livorno (10,7%), Rieti (10,3%), 
        Massa, Palermo e Catania (10%). I migliori risultati si evidenziano a 
        Macerata (4,4%), Cuneo (4,5%), Piacenza (5%), Terni (5,2%) e Alessandria 
        (5,3%).
 La tipologia di istituto che presenta il maggior numero di ripetenti è 
        l'istituto d'arte, in cui il 22,4% degli studenti, ovvero un quinto del 
        totale, deve ripetere l'anno scolastico almeno una volta. Una situazione 
        simile caratterizza gli istituti tecnici ed i licei artistici (20,5%), 
        gli istituti professionali (17,2%) e quelli magistrali (16,8%); i licei 
        si discostano invece nettamente da questi dati negativi.
 In generale, le pagelle denunciano una preparazione non brillante degli 
        studenti delle scuole superiori: il 44,9% di essi ottiene un giudizio 
        "sufficiente", il 24% "buono", il 16,2% "distinto" 
        e soltanto il 14,9% ottiene "ottimo".
 Per quanto concerne l'esame di maturità, Agrigento detiene il primato 
        negativo del maggior numero di bocciati, seguita da Mantova, Enna, Reggio 
        Calabria e Cosenza.
 La Ricerca della Uil Scuola non manca tuttavia di registrare alcuni elementi 
        moderatamente positivi, come ad esempio l'attestarsi su livelli "fisiologici" 
        del fenomeno della dispersione nelle scuole elementari. Anche nelle scuole 
        secondarie superiori i valori relativi all'a.s. 2000-2001 restano pressoché 
        stabili rispetto all'anno precedente, mentre invece assumono particolare 
        rilevanza negli istituti professionali e nelle scuole medie.
 Un'indagine campionaria sulla dispersione scolastica è stata realizzata 
        dall'Ufficio di Statistica del Ministero dell'Istruzione relativamente 
        all'anno scolastico 2000-01.
 La rilevazione riguarda gli studenti di elementari, medie e superiori 
        che si sono ritirati con atto formale entro i termini di legge (esclusi 
        quelli che si sono trasferiti ad altra scuola), gli alunni non valutati 
        agli scrutini finali a causa dell'elevato numero di assenze, e i ragazzi 
        che sono usciti dal circuito dell'istruzione dopo l'assolvimento dell'obbligo 
        scolastico senza però aver conseguito la licenza media.
 L'indagine è basata su un'analisi dei comportamenti di disagio 
        e disaffezione, che sono gli indicatori più comuni della dispersione 
        scolastica, e mostra, per quanto riguarda la situazione della scuola elementare, 
        un picco di abbandono dello 0,05% riguardante gli alunni "mai frequentanti 
        sebbene iscritti": nella quasi totalità dei casi si tratta 
        di alunni nomadi, le cui famiglie decidono di trasferirsi altrove o di 
        non mandare più i figli a scuola senza darne avviso.
 Il dato risultante dagli indicatori di abbandono in senso stretto, nei 
        cinque anni di corso, è dello 0,07%, pari a quello dell'anno scolastico 
        1999-2000, con una flessione dello 0,10% rispetto all'anno scolastico 
        1990-91, più evidente nelle Isole (- 0,36%) e al Sud (- 0,16%).
 Una situazione simile si riscontra nelle scuole medie, con valori però 
        più elevati: nell'a.s. 2000-01, lo 0,31% degli iscritti (rispetto 
        allo 0,39% dell'anno precedente) ha abbandonato, con una variazione di 
        -1,09% nell'arco del decennio. I valori più bassi della dispersione 
        nelle scuole medie statali si registrano al Nord (0,09%), mentre quelli 
        più elevati si evidenziano nelle Isole (0,67%) e al Sud (0,55%); 
        bisogna tuttavia sottolineare che, rispetto all'a.s. 1990-91, in queste 
        due macroregioni si è registrata una variazione di -2,08% nel primo 
        caso e di -2,01% nel secondo. La maggiore concentrazione di abbandoni 
        (0,22% nazionale) si verifica tra gli alunni "mai frequentanti sebbene 
        iscritti", con punte dello 0,49% nelle Isole e dello 0,40% al Sud.
 Nella scuola secondaria superiore, gli studenti non valutati perché 
        ritirati ufficialmente nell'a.s. 2000-2001 sono stati il 2,8% degli iscritti 
        (contro il 3% dell'anno precedente); a questi si aggiunge l'1,8% riferito 
        a studenti non valutati per altri motivi (salute, assenze, mancata frequenza).
 Per l'anno scolastico in questione, la dispersione risulta più 
        pesante negli istituti professionali (8,7%) e negli istituti d'arte (6%). 
        Il rischio di abbandono è presente soprattutto nel primo anno di 
        corso, su tutto il territorio nazionale: risulta disperso infatti il 6,7% 
        degli iscritti, con punte del 9,6% nelle scuole delle Isole e dell'8,5% 
        in quelle del Sud. Nell'a.s. 2000-2001, la dispersione scolastica nelle 
        Isole ha fatto registrare valori al di sopra della media nazionale in 
        ognuna delle tipologie di scuola secondaria superiore (tranne al liceo 
        scientifico), con una differenza di ben +3,8 punti percentuali negli istituti 
        tecnici e di +3 punti negli istituti d'arte. Accade l'opposto al Nord 
        e al Centro, dove i valori sono sempre al di sotto della media nazionale, 
        oppure la superano, ma in misura decisamente trascurabile (come nel caso 
        del liceo classico e scientifico al Nord e del liceo classico al Centro). 
        Anche al Sud, la situazione si presenta sostanzialmente in linea con la 
        media italiana, tranne al liceo artistico, dove la dispersione scolastica 
        fa registrare +3,5 punti percentuali in più rispetto ai valori 
        nazionali.
 Secondo i dati diffusi nel dicembre 2001 dal Ministero dell'Istruzione, 
        e relativi alle scuole statali e non statali del territorio nazionale, 
        i valori più alti della dispersione si registrano nelle regioni 
        meridionali e insulari: al Sud, la percentuale dell'abbandono scolastico 
        nelle medie corrisponde allo 0,51% (contro lo 0,31% della media nazionale); 
        alle superiori, la percentuale è dell'1,15%, mentre il dato italiano 
        si attesta sullo 0,88%; nelle Isole, lo scarto rispetto ai valori nazionali 
        è ancora più evidente (0,72% nelle medie e 1,72% alle superiori); 
        i valori registrati nel Nord-Ovest, nel Nord-Est e nel Centro sono invece 
        sempre al di sotto della media nazionale, sia nel caso delle scuole medie 
        che di quelle superiori.
 Considerando i dati regionali, in Sardegna si registra la dispersione 
        massima per le scuole superiori (2,99%, seguita dalla Liguria con l'1,41% 
        e dalla Campania con l'1,36%); i valori relativi alle scuole medie, invece, 
        superano la media nazionale in Sicilia (0,79%), seguita dalla Puglia (0,60%) 
        e dalla Calabria (0,58%).
 Secondo un'indagine Eurostat del 1999, la realtà 
        italiana, confrontata con la situazione europea, mostra ancora una volta 
        le pecche e l'inefficienza del suo sistema scolastico: esaminando la ripartizione 
        della popolazione fra i 25 e i 64 anni nei paesi dell'Unione, si osserva 
        che in Italia oltre la metà della popolazione (54%) ha solo la 
        licenza media, mentre nel Regno Unito questa percentuale scende al 19% 
        e in Germania al 14%. Per quanto concerne l'istruzione secondaria superiore, 
        solo il 34% degli italiani completa gli studi, mentre Austria (68%), Germania 
        (61%) e Regno Unito (57%) hanno standard pari quasi al doppio. Solo l'11% 
        della popolazione italiana, infine, consegue la laurea, rispetto al 27% 
        dell'Olanda, al 17% di Spagna e Danimarca e al 16% del Lussemburgo. L'indagine Eurispes
 L'Eurispes, in collaborazione con il Master Europeo 
        in Gestione di Impresa Cinematografica e Audiovisiva ha svolto un'indagine 
        campionaria su 800 studenti delle scuole medie e del biennio superiore. 
        La ricerca ha preso in esame il rapporto degli intervistati con l'istituzione 
        scolastica nel suo complesso, nell'intento di individuare nuclei problematici 
        in cui possano annidarsi potenziali fenomeni di dispersione scolastica. 
        Dall'indagine Eurispes emergono alcuni segnali che, per la loro esemplarità 
        e la loro valenza conoscitiva, possono efficacemente inserirsi nel dibattito 
        nazionale sulla modernizzazione dell'istituzione scolastica e sulla necessità 
        di adeguare la qualità dell'offerta formativa alle richieste dell'utenza 
        e del mercato del lavoro.
 In merito al significato dell'esperienza scolastica, i ragazzi sembrano 
        esprimere un'opinione contraddittoria: ne avvertono l'importanza (come 
        occasione di crescita e come investimento per il futuro), ma anche l'onere, 
        se è vero che il 33,8% di quegli alunni che pure si dichiarano 
        consapevoli dell'utilità della scuola per il loro avvenire, guarda 
        con una sorta di invidia a coloro che abbandonano la scuola, giudicandoli 
        "liberi", forse perché sordi al richiamo interiore del 
        dovere o alle ambizioni inculcate dalla società o dalla famiglia.
 Questo atteggiamento si accentua nel passaggio dalle medie al primo anno 
        delle superiori: chi non studia viene definito una persona libera dal 
        5,2% degli alunni di prima media e dal 16,9% degli intervistati in prima 
        superiore; lo stesso giudizio viene espresso riguardo a chi abbandona 
        la scuola dal 7,6% degli intervistati in prima media, ma la percentuale 
        sale di ben 12,7 punti in prima superiore. Chi non studia fa del male 
        a se stesso per l'80,5% degli alunni di prima media, ma in prima superiore 
        la percentuale precipita al 68,4%. Questi dati concordano con l'incremento 
        del numero dei ripetenti e della dispersione scolastica che si registrano 
        nelle fasi di passaggio da un ciclo di studi ad un altro.
 Bisogna tuttavia sottolineare che, nel passaggio dalla prima alla seconda 
        superiore, aumenta la percentuale di alunni che giudicano autodistruttivo 
        il comportamento di chi si sottrae allo studio (+7 punti) o abbandona 
        la scuola (+7,3); parallelamente, queste scelte vengono considerate sempre 
        meno come espressioni della libertà individuale: scende, infatti, 
        dal 20,3% al 15,6% il numero di chi reputa "libero" chi non 
        studia e crolla dal 16,9% al 6,2% la percentuale di chi considera l'abbandono 
        scolastico come una forma di emancipazione da doveri imposti dall'esterno 
        e mai interiorizzati.
 Sembra dunque che, superata la fase critica e disorientante dell'accesso 
        al ciclo di istruzione successivo (con la mole di lavoro e responsabilità 
        aggiuntive che questo comporta), gli studenti si incamminino verso una 
        progressiva armonizzazione del loro rapporto con l'istituzione scolastica: 
        in questo senso, definire la scuola come "tappa obbligatoria" 
        (una tendenza che cresce in modo quasi costante dalla prima media alla 
        seconda superiore), non significa considerarla una specie di fato, oscuro 
        e inspiegabile, che si abbatte su ogni singolo indistintamente, bensì 
        come uno step formativo, un dovere introiettato e considerato come un 
        momento, seppure faticoso, di un progetto a lunga scadenza.
 Non a caso, tra la prima media e la seconda superiore, cresce senza soluzione 
        di continuità anche la percentuale di chi considera la scuola un 
        investimento per il futuro: dal 21,8% si sale al 38,5%; mentre diminuisce 
        sempre più il numero di chi sostiene che la scuola sia un luogo 
        dove maturare e istruirsi: dal 67,9% si scende al 38,5%.
 Quest'ultimo segnale non deve spaventarci e indurci a pensare che l'istituzione 
        scolastica stia perdendo la sua funzione di supporto alla costruzione 
        dell'identità personale e sociale: più semplicemente, i 
        ragazzi tendono ad assegnare soprattutto alla scuola dell'obbligo quel 
        ruolo di educazione all'intersoggettività che in seguito, durante 
        l'adolescenza, viene demandato ad esperienze extra-familiari ed extra-scolastiche; 
        all'istruzione secondaria superiore, invece, i ragazzi sembrano chiedere 
        una forma di conoscenza funzionale al loro avvenire professionale, e non 
        un sapere puro e fine a se stesso. Questa visione economico-razionale 
        dell'istituzione scolastica - che in seconda superiore riscuote la stessa 
        percentuale di consensi dell'istruzione intesa come veicolo di crescita 
        e maturazione - fa pensare che gli studenti non siano refrattari ad una 
        maggiore integrazione e ad una più marcata armonizzazione tra la 
        scuola, il mondo del lavoro e le richieste del mercato.
 In questa direzione si orienta anche quel 29% del campione che effettuerebbe 
        esperienze lavorative già durante il percorso dei propri studi, 
        coerentemente con il quadro politico e culturale attuale in cui si inserisce, 
        ad esempio, la proposta dell'alternanza tra periodi di studio e periodi 
        di lavoro (contenuta nella legge delega sulla riforma della scuola). Non 
        è escluso che simili iniziative, che creano un ponte tra sistema 
        educativo e mercato del lavoro, e accentuano la valenza occupazionale 
        dell'istituzione scolastica, possano produrre un rafforzamento della motivazione 
        allo studio ed un argine al fenomeno della dispersione.
 La concezione "utilitaristica" della scuola come investimento 
        sembra riscuotere maggiore successo tra i ragazzi che tra le ragazze. 
        Il 60,3% delle studentesse assegna all'istruzione un valore eminentemente 
        sociale e civile, di contro al 40,5% degli studenti maschi: una percentuale 
        - quest'ultima - di poco superiore a quel 37,3% di ragazzi che apprezza 
        soprattutto i vantaggi futuri del percorso scolastico. Coerentemente con 
        la loro visione etico-normativa della scuola, le studentesse esprimono 
        con più facilità dei ragazzi giudizi negativi su chi non 
        studia e sui fenomeni di dispersione scolastica.
 Problematico appare il rapporto con gli immigrati, che suscitano reazioni 
        positive nel 59,4% degli intervistati e negative in un buon 38,9% dei 
        casi. Nel complesso, le ragazze sembrano molto più sensibili dei 
        ragazzi al confronto culturale con gli stranieri: la maggioranza di loro 
        (il 50,9%), infatti, sottolinea l'importanza che gli immigrati rivestono 
        per la conoscenza di stili di vita diversi dal nostro, e il 20,7% li definisce 
        un arricchimento per la nostra cultura; segue un 16,8% che si ritiene 
        minacciato dal punto di vista lavorativo, mentre solo il 6,5% del campione 
        femminile considera lo straniero un pericolo.
 L'opinione degli studenti maschi, invece, sembra polarizzarsi intorno 
        a due posizioni contrapposte: gli immigrati rappresentano in pari misura 
        un pericolo (15,6%) ed un arricchimento per la nostra cultura (15,9%), 
        e la percentuale di chi si dichiara incuriosito dalla diversità 
        di cui lo straniero è portatore (il 29,2%) non si discosta molto 
        da quel 26,3% di chi sottolinea la presunta insidia occupazionale rappresentata 
        dall'immigrazione.
 Nel complesso, dunque, le sacche di resistenza al confronto interculturale 
        sono notevoli; se a queste si aggiungono gli episodi di razzismo/discriminazione 
        nei confronti di alunni stranieri, a cui il 19,3% degli intervistati dichiara 
        di aver assistito, si ottengono sufficienti elementi di valutazione per 
        interpretare il fenomeno della dispersione scolastica tra gli immigrati.
 Per quanto riguarda il grado di motivazione allo studio espresso dagli 
        intervistati, si sono registrati alcuni segnali negativi. Un buon 13,1% 
        degli studenti ha infatti dichiarato che, potendo scegliere, preferirebbe 
        smettere di studiare e cominciare a lavorare; questa risposta presenta 
        un certo grado di definizione ed esprime una qualche articolazione progettuale, 
        pertanto risulta più attendibile - e dunque più facilmente 
        interpretabile come preludio alla dispersione scolastica - di quella fornita 
        dal 10,4% del campione, che vagheggia la più totale inattività.
 Un dato confortante emerge dall'analisi dei principali motivi di scelta 
        della scuola superiore: il 38,9% dei ragazzi segue le proprie inclinazioni 
        e passioni, il 25,9% pianifica gli studi secondari in base alle prospettive 
        occupazionali ed il 16,4% in base ai futuri studi universitari. Solo un 
        trascurabile 0,7% dichiara di aver subìto imposizioni esterne, 
        presumibilmente familiari. Dunque sembrerebbe difficile, stando alle risposte 
        fornite dal campione, poter includere le interferenze genitoriali ed il 
        boicottaggio delle naturali predisposizioni dei figli nell'eziologia del 
        fenomeno della dispersione.
 I genitori non mancano, tuttavia, di esercitare la propria influenza sulle 
        modalità di prosecuzione degli studi, anche se non in modo imperativo, 
        e soprattutto sui ragazzi, dei quali il 24,5% segnala la presenza di condizionamenti 
        familiari. Le ragazze, invece, dimostrano una maggiore risolutezza ed 
        una autonomia più spiccata dei ragazzi nella scelta della scuola 
        superiore: il 63,7% di loro dichiara di non subire alcuna influenza (di 
        contro al 57,9% dei ragazzi), mentre il 17,1% indica un condizionamento 
        familiare; il consiglio degli amici, per loro, ha meno importanza che 
        per i ragazzi, anche se non di molto (il 10,7% di contro all'11,6% del 
        campione maschile); più degli studenti maschi, inoltre, tendono 
        ad attribuire credibilità agli esperti, cioè agli insegnanti, 
        di cui ascoltano volentieri i suggerimenti sull'indirizzo scolastico.
 Anche la variabile della condizione economica dei genitori sembra orientare 
        la scelta della scuola superiore: i figli provenienti da famiglie di status 
        medio e alto sembrano più propensi a seguire le loro reali inclinazioni 
        e passioni personali (rispettivamente nel 44,6% e nel 38,3% dei casi, 
        di contro al 32,4% degli studenti di bassa estrazione economica); oppure 
        sono portati a compiere le loro scelte in coerenza con il corso di laurea 
        che hanno già deciso di frequentare in futuro. I figli di lavoratori 
        di status basso, invece, sembrano privilegiare considerazioni di tipo 
        occupazionale (nel 34,7% dei casi, di contro al 21% dei ragazzi di elevata 
        estrazione sociale e al 21,5% di quelli provenienti dalla classe media); 
        e lo conferma anche la maggiore frequenza con cui dichiarano di voler 
        smettere di studiare per cominciare a lavorare.
 Tra le aree prese in esame dalla rilevazione, quella del rapporto con 
        gli insegnanti non sembra lanciare segnali di profondo disagio. Ben 83,9 
        alunni su 100, infatti, definiscono "amichevole" l'atteggiamento 
        dei docenti nei loro confronti. È pur vero che la maggior parte 
        dei ragazzi non si sente sollecitata ad affrontare con gli insegnanti 
        questioni di carattere personale, ma questo si verifica indipendentemente 
        dalla maggiore o minore cordialità dei rapporti tra allievi e docenti, 
        e sembra essere piuttosto collegato al livello di scolarizzazione dei 
        genitori e al loro status lavorativo: quanto più sono elevate la 
        condizione socio-economica e la preparazione culturale dei genitori, tanto 
        meno i ragazzi si dichiarano disponibili ad un dialogo confidenziale con 
        i docenti, probabilmente perché in famiglia trovano competenze 
        allargate a cui fare ricorso per risolvere i loro problemi. Sono pertanto, 
        con una certa prevalenza, i figli di genitori di bassa estrazione economica 
        e - soprattutto - culturale ad assegnare al corpo docente una missione 
        extra-didattica ed una funzione vicaria di supporto psicologico.
 Per quanto riguarda alcuni segnali critici (numero di assenze, motivazioni 
        delle assenze e frequenza delle bocciature), si possono notare interessanti 
        convergenze tra gli alunni di bassa estrazione sociale e quelli provenienti 
        da famiglie di status economico elevato: sia gli uni che gli altri totalizzano 
        più di 7 assenze al mese con frequenza maggiore rispetto agli alunni 
        di ceto medio; più facilmente, inoltre, adducono motivazioni di 
        scarsa importanza (come la stanchezza o la scarsa voglia) per spiegare 
        le assenze, e vanno incontro alla bocciatura in un maggior numero di casi. 
        Questo induce a pensare che le famiglie di ceto medio, a differenza delle 
        altre, esercitino un controllo efficace sui propri figli, seguendo da 
        vicino il loro effettivo comportamento scolastico.
 Un ultimo dato merita una segnalazione: rispetto alle altre province italiane, 
        quella di Viterbo registra la più alta percentuale di studenti 
        che reputano la scuola una perdita di tempo e che vorrebbero smettere 
        di studiare per cominciare a lavorare; inoltre, gli alunni viterbesi giudicano 
        autodistruttivo il comportamento di chi abbandona la scuola con minore 
        frequenza che altrove. Ciò non significa, tuttavia, che questi 
        giudizi si tradurranno automaticamente in altrettanti casi di dispersione 
        scolastica: le situazioni di disagio evidenziate dagli alunni sottoposti 
        alla rilevazione non devono essere considerate deterministicamente come 
        cause necessitanti ed infallibili dell'abbandono scolastico, bensì, 
        più semplicemente, come precondizioni che inclinano e predispongono 
        alla dispersione.
 
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