| Quale futuro per la formazione dei docenti 
        in Italia?   A 
        tre anni dalla loro nascita le SSIS si confrontano con le indicazioni 
        contenute nel Rapporto Bertagna.
 di Loredana 
        Smario(supervisore 
        presso la SISSIS di Catania per l'area linguistico-letteraria)
 Com'è 
        noto da tre anni esistono in Italia Le Scuole di Specializzazione per 
        l'Insegnamento Secondario. Nel corso dell'estate passata si è formata 
        la prima generazione di insegnanti abilitati, attraverso la specializzazione, 
        all'esercizio della professione. Durante l'anno accademico in corso raggiungerà 
        il diploma abilitante la seconda generazione di docenti. Da poche settimane 
        si sono inoltre conclusi gli esami di ammissione alla Scuola della terza 
        generazione di studenti SSIS. Si 
        tratta di una macchina imponente e faticosa, non perché essa lo 
        sia di per sé, ma perché la sua stessa esistenza ha reso 
        evidenti i limiti e i ritardi dei diversi segmenti del nostro sistema 
        formativo, di un mondo universitario poco incline ad aprirsi e a confrontarsi 
        con un sistema scolastico che fatica, dal canto suo, a rendere diffuse 
        al proprio interno e leggibili all'esterno le proprie punte di eccellenza. Su 
        questa, come su altre questioni riguardanti il futuro della formazione 
        nel nostro Paese, si è pronunciato il Gruppo Ristretto di Lavoro 
        costituito con D.M. 18 luglio 2001, n.672, presieduto dal Prof. G. Bertagna. Il 
        rapporto finale redatto dal gruppo dedica una decina di pagine al tema 
        della formazione iniziale dei docenti, prevedendo che essa si attui attraverso 
        la frequenza di una laurea specialistica abilitante (300 crediti), al 
        termine della quale si avrà uno sbocco nell'esercizio concreto 
        della professione (biennio di praticantato); l'attuazione di attività 
        di laboratorio e tirocinio attivo è relegata a questo secondo momento: 
        "
60/90 crediti di Laboratori e di Tirocini attivi, supervisionati 
        dall'università
".  Il 
        tirocinio attivo viene dunque scorporato dalla laurea specialistica, collocato 
        durante i due anni successivi e posto sotto la supervisione dell'università. 
         Nelle 
        attuali SSIS laboratori e tirocinio occupano rispettivamente il 20% e 
        il 30% del monte ore complessivo, e appaiono strettamente interrelati 
        alle restanti due aree, quella della formazione docente (Scienze della 
        formazione) e quella relativa ai contenuti formativi degli indirizzi. 
        A personale docente in servizio presso istituzioni scolastiche è 
        attribuito il compito di svolgere compiti di supervisione del tirocinio 
        e di coordinamento del medesimo con altre attività didattiche nell'ambito 
        delle SSIS.  Com'è 
        ovvio non si tratta di un semplice spostamento in avanti della "pratica" 
        professionale ma di un mutamento radicale nel modo di intendere la formazione 
        e la professionalità docente. Che 
        di cambiamento radicale si tratti viene confermato nel secondo paragrafo 
        che il Rapporto dedica all'argomento, il cui titolo "Dove prevedere 
        la collocazione delle lauree specialistiche per l'insegnamento" sembra 
        alludere ad un problema di natura meramente organizzativa: in realtà 
        dietro ciascuna ipotesi avanzata si celano precise opzioni politico-culturali La 
        prima ipotesi prevede che la formazione degli insegnanti sia di competenza 
        delle facoltà: ciascuna gestirebbe direttamente il proprio indirizzo 
        avvalendosi di un eventuale "Servizio per la formazione degli insegnanti" 
        (ex-SSIS?) che dovrebbe curare "
la gestione e la certificazione 
        dei 60/90 crediti post lauream, nonché gli insegnamenti e le attività 
        didattiche di scienze dell'educazione nelle sedi dove non c'è Scienze 
        della Formazione".  E' 
        un'ipotesi che tende ad enfatizzare il ruolo delle singole facoltà 
        nella formazione degli insegnanti, senza gravarle di carichi organizzativi. 
        Ciò che nella formazione docente non è immediatamente legato 
        alle discipline verrebbe al più giustapposto, alcuno sforzo di 
        mediazione. Non 
        sono previsti uno spazio e un tempo significativi per un incontro e uno 
        scambio tra i saperi e le professionalità dell'università 
        e quelli della scuola.  Sono 
        molte le domande che sorgono. Con chi e dove i futuri insegnanti impareranno 
        ad individuare le valenze formative delle discipline che insegneranno? 
        Con chi e in quali luoghi rifletteranno sulle scelte curricolari da effettuare 
        sulla base della conoscenza delle caratteristiche evolutive dei propri 
        allievi e dei modi dell'apprendimento? Con chi e dove impareranno a progettare 
        e a realizzare interventi formativi, da soli e collegialmente? E infine 
        con chi e dove acquisiranno l'abitudine a riflettere sul proprio agire 
        professionale, per ricavarne una consapevolezza e una inclinazione all'auto-osservazione 
        che sono tipiche della ricerca-azione?  Infatti 
        sembra rimanere assente in quest'ipotesi di formazione il paradigma della 
        ricerca-azione, presente nelle parti migliori del mondo della scuola e 
        di quelle realtà istituzionali che con essa interagiscono: eppure 
        è diffusa la consapevolezza che esso debba fare parte del bagaglio 
        professionale di un buon insegnante. A tutte 
        queste domande non è data risposta. La 
        seconda ipotesi, come recita il Rapporto, tende "
a ridurre 
        il ruolo 'politico' delle facoltà e affidare il coordinamento della 
        formazione degli insegnanti ad una apposita struttura speciale di Ateneo, 
        creata mediante il concorso delle Facoltà". Il 
        riferimento alle SSIS è esplicito, ma la sensazione che si ricava 
        è che esse vengano citate più per non scontentarle, dal 
        momento che esistono, che per una reale condivisione del loro progetto 
        culturale, che infatti non viene citato. Infine 
        un'osservazione linguistica: le parole utilizzate dal documento Bertagna 
        per descrivere quest'ipotesi di certo non evocano una disponibilità 
        all'ascolto; sarebbe strano infatti incontrare un preside di facoltà 
        disposto a "
vedere ridotto il proprio ruolo politico". La 
        terza ipotesi prevede "
l'indicazione dei profili, dei crediti 
        e le tabelle della laurea specialistica necessari per accedere alla professione 
        docente, senza l'indicazione delle sedi ove conseguire i crediti". Agli 
        Atenei sarebbe lasciata la massima libertà di organizzazione, "
valorizzando 
        l'autonomia universitaria".  E' 
        facile immaginare come le diverse soluzioni porterebbero ad una babele 
        professionale: ogni università elaborerebbe il "proprio" 
        percorso formativo e risulterebbe gravemente compromessa la coerenza del 
        sistema formativo nel suo complesso. Le 
        università inoltre, messe di fronte alla possibilità della 
        scelta, finirebbero col percorrere strade familiari ma non sempre utili 
        e coerenti rispetto alle richieste dei futuri insegnanti e ai bisogni 
        formativi delle giovani generazioni e del Paese. Non 
        è del resto un mistero lo scarso rilievo attribuito dall'Università 
        alla ricerca didattica rispetto alla più prestigiosa ricerca scientifica. 
         Conclusioni 
         Nel 
        suo complesso la "proposta Bertagna" tende di fatto a separare 
        il contributo universitario da quello della scuola nella formazione iniziale 
        degli insegnanti (sia che prevalga la prima o la terza ipotesi; la seconda 
        è chiaramente la meno accreditata), mentre in quella successiva, 
        in itinere ( vd. il paragrafo "La carriera" del Rapporto), il 
        ruolo dell'università sembra divenire egemonico. Lasciare 
        alla discrezione delle università l'organizzazione dei corsi determinerà 
        una nuova "fisiologica" deriva dei due sistemi: ciascuno tenderà 
        a mantenere il proprio equilibrio allontanando qualsiasi perturbazione 
        esterna. Ed 
        è davvero una perdita perché le SSIS, pure con i limiti 
        e i problemi che chi ha vissuto quest'esperienza conosce, sono stati il 
        luogo d'incontro (talora di scontro ma meglio che niente: anche questo 
        è un modo per riconoscere che l'altro esiste) tra due mondi: l'avere 
        lavorato intorno ad un progetto formativo comune li ha messi nelle condizioni 
        di ascoltarsi e , in alcuni casi fortunati, di confrontarsi. Appare 
        sempre più chiaro a chi in questi anni ha operato congiuntamente 
        nella formazione dei ragazzi e degli adulti, ad esempio ai supervisori 
        della cui esistenze ed esperienza professionale il Rapporto non fa menzione, 
        la necessità di fare crescere il rapporto tra università 
        e scuola. Alla scuola serve una riflessione rigorosa sulle discipline 
        e sulla loro struttura, all'Università un'idea di formazione che 
        superi una visione meramente trasmissiva e riproduttiva del sapere, un 
        nuovo modo di guardare le discipline che ne illumini le possibilità 
        formative. Ma 
        perché questo avvenga ci vogliono spazi e tempi, operatori che 
        medino tra i due sistemi favorendone l'interazione: mi sembra che tutto 
        questo esista già, sono le SSIS, e ad esse va fornito tutto il 
        sostegno possibile, logistico e normativo, perché continuino ad 
        esistere superando le attuali disfunzioni. Se 
        le SSIS verranno spazzate via i problemi, le contraddizioni emerse nel 
        corso di questi tre anni della loro storia non spariranno, solo non avranno 
        più in teatro nel quale mostrarsi per essere riconosciuti e affrontati. Cidi 
        Catania Via Monserrato,110 - Tel./Fax 095/551307 Email: cidict@tin.it
 
   |