di Aldo Musciacco
            
        I forti cambiamenti sociali del nostro tempo hanno apportato modifiche pregnanti al lavoro
            degli insegnanti; le modifiche sul piano normativo-giuridico, come l’autonomia scolastica, e dei
            paradigmi teorico-scientifici in campo culturale, incidono sulla percezione e sul valore
            attribuito alla professione docente.
            Nell’affrontare una discussione sulla professionalità degli insegnanti è utile domandarsi
            innanzitutto se esiste realmente l’urgenza di porre al centro della riflessione una simile
            questione. Credo che la domanda sia legittima: il sapere della scuola manifesta infatti - in questo
            periodo di grandi cambiamenti sociali - segni di crisi che spesso si traducono in disorientamento
            e demotivazione di docenti e allievi.
            La legittimità della domanda ci spinge a definire un possibile percorso di riflessione in tre grandi
            aree che concorrono a strutturare la professionalità dei docenti: la dimensione scientifica, la
            dimensione contrattuale e quella giuridica.
          
        La crisi del sapere e del saper fare
            
        Uno degli aspetti più complessi della crisi è la continua “erosione” dei saperi professionali: la struttura sociale, l’impianto etico, la dimensione economica in cui viviamo non consentono di individuare nel rigore e nella profondità delle conoscenze un valore significativo. Tale valore non risulta significativo perché non è economicamente quantizzabile e spendibile. Un processo che ha in sé qualcosa di paradossale: come è possibile - ci si chiede - che la società della conoscenza sia segnata da processi che sembrano muoversi in una direzione opposta? E cioè
            verso lo svilimento e l’impoverimento del valore della cultura, verso una dimensione sempre più
            superficiale di ciò che si deve sapere e di ciò che si deve trasmettere.
            La risposta risiede, probabilmente, nelle caratteristiche della rivoluzione tecnico-scientifica e nei
            cambiamenti della natura e della divisione internazionale del lavoro. L’oggettivazione della
            conoscenza e lo sviluppo di sofisticate procedure di lavoro, digitalizzate, determinano il
            progressivo depotenziamento di tutte quelle azioni comunicative e formative che rendevano utile
            la diffusione sociale della scienza. Il concetto di utilità, naturalmente, è in questo contesto riferito
            al rapporto costi-benefici economici.
            Tale fenomeno – la cui descrizione è qui solo abbozzata - investe particolarmente il mondo
            dell’istruzione e del lavoro, provocando forti tensioni tese al riequilibrio del sistema e costituisce
            uno degli aspetti più importanti della crisi del nostro sapere professionale. L’inutilità di una
            diffusione del sapere scientifico ad alto costo è “rinforzata” (negativamente) da scelte che si
            muovono in altre direzioni e rispondono a bisogni di altri sottosistemi della società. Il modo di
            concepire la formazione iniziale e in servizio dei docenti, di selezionarli senza bandi concorsuali,
            le abilitazioni riservate, la sottovalutazione dei titoli accademici, la mercificazione dei “crediti”
            formativi (basti pensare ai master), rappresentano solo alcuni esempi di ciò che si intende per“rinforzi” di un sistema che consuma rapidamente – quantizzandole, banalizzandole e
  delegittimandole – conoscenze e competenze degli insegnanti.
  
        La crisi della “trasmissione” culturale
            
        Un secondo aspetto erosivo è costituito dalla crisi della comunicazione generazionale.
            L’educazione, concepita come un travaso di valori, come conoscenza di “oggetti” disciplinari
            pietrificati, come infinito esercizio della memoria non può funzionare più. Produce
            demotivazione, disorientamento, perdita di senso. Il nichilismo, nemico giurato di papa
            Benedetto XVI e dei seguaci di don Giussani, è la risposta sensibile dei giovani alla crisi della
            nostra cultura illuministica. Educazione e razionalizzazione della società incominciano a
            muoversi in direzioni opposte. La metafora proposta da Scurati (la strage di un intero Consiglio
            di classe a opera di uno studente che salva solo il suo insegnante di filosofia) non ci spinge a
            riflettere su una relazione educativa che evidenzia, oggi, il rischio di dissolversi?
                    La dimensione contrattuale
         In questo contesto il sindacato sembra conquistare sempre più spazi: saperi e saper fare vengono
              selezionati e contrattualizzati. Forse la spinta delle politiche neo-liberiste verso l’istruzione
              determina questa espansione della contrattazione: una sorta di difesa inconsapevole.
            Ma tutto ciò contribuisce a depotenziare l’autonomia professionale dei docenti, dal momento che
              il rapporto tra saperi professionali e contrattazione non è immediato, ma mediato. Il sindacato è il
              soggetto che contratta; ma l’oggetto (disciplinare, pedagogico, didattico) dovrebbe essere
              elaborato altrove: l’autonomia del sapere andrebbe sempre difesa giuridicamente anche
              dall’intervento degli apparati ministeriali.
            I sindacati hanno proposto in tutti questi anni un’organizzazione dell’insegnamento e del
              funzionamento della scuola ricalcando un egualitarismo che non ha più senso di esistere
              nemmeno tra categorie professionali ben più agguerrite e consapevoli. Un egualitarismo un po’
            paradossale, tenuto insieme solo dal “tempo professionale”. Il parametro retribuito più alto
              corrisponde all’anzianità di servizio più alta. E ciò appare tanto più insensato in quanto nessuna
              categoria mantiene questa struttura della retribuzione. L’intero meccanismo della retribuzione
              dei docenti andrebbe rivisitato, ponendo come punto iniziale e fondamentale il principio che
              l’equazione rigida tra tempo e professionalità è assurda. In questo senso un primo passo
              obbligato sarebbe la rivalutazione della formazione in servizio al fine dell’avanzamento di
              carriera.
            Il fatto, poi, che alcune “attività” professionali sfuggano alla contrattazione rappresenta un
              evidente segnale della diffusa sottovalutazione della professionalità dei docenti: ricerca e
              sperimentazione, studio individuale, formazione in servizio – per esempio – non sono istituti
              contrattuali. A dimostrare che una contrattualizzazione eccessiva delle funzioni del docente non
              solo risulta non auspicabile nel metodo, ma anche imperfetta nel merito.
              Un ultimo aspetto meriterebbe la nostra attenzione: le scelte sindacali e ministeriali di mantenere
            in piedi i processi che portano alla formazione del precariato hanno, di fatto, contribuito a
            stabilizzare verso il basso il prezzo della “merce lavoro”. Questa dinamica di mercato
          rappresenta una scelta lesiva della professionalità e del lavoro dei docenti.
                    La dimensione giuridica
                    La conquista dell’autonomia delle scuole non si è concretizzata in autonomia della cultura della
            scuola: non è cambiato infatti lo stato giuridico, né l’impianto contrattuale. C’è chi suggerisce,
            acutamente, di non porre il problema dello stato giuridico per non ritrovarci in un pantano. In
            Italia guai a toccare le identità! Un suggerimento prezioso, accompagnato dall’idea di premere
            per una nuova legge sugli Organi collegiali e sulla formazione iniziale. Ma è sufficiente che
            l’azione “politica” si concentri solo in questi due ambiti? L’obiettivo, dal mio punto di vista, è la
            conquista giuridica dell’autonomia professionale. Il Consiglio Nazionale della Pubblica
            Istruzione potrebbe diventare l’istituzione più alta e rappresentativa dell’autonomia culturale
            della scuola, assumendo funzioni elaborative.
            Ma allora, quale dovrebbe essere la sua composizione?
            
        Verso una nuova professionalità
            
        Il nuovo logo del Cidi è una tartaruga stilizzata. L’ho trovato bellissimo. Richiama il paradosso
            di Zenone, il dilemma tra la velocità e la lentezza, tra il logico e l’ontologico. Il mondo moderno
            abbonda di paradossi. La situazione si trasforma velocemente e il linguaggio è lento, rincorre la
            realtà, scivola nelle mille trappole della comunicazione sociale. Il nostro sapere professionale è
            in crisi, ma nuovi bisogni si diffondono nelle scuole, nuovi profili professionali sono già nati e
            aspettano il riconoscimento giuridico. Accade sempre così nel mondo del lavoro. Le professioni
            non sono mai nate dall’alto. Le scelte legislative seguono e non precedono il sapere e il fare
            professionali.
            La crisi della nostra professione è la crisi della cultura o di un certo modo di intenderla. Se è
            vero, però, che l’educazione - intesa come emancipazione degli individui - si allontana dalle
            necessità del funzionamento economico, dalle leggi oggettive del divenire storico (Marx), allora
            si aprono inedite e creative possibilità che essa torni a essere libera di poter diventare, come
            sosteneva Dewey, la più importante forza del cambiamento sociale.
            In questa prospettiva il sapere professionale deve necessariamente arricchirsi e ampliarsi.
            L’acquisizione di nuove competenze disciplinari, relazionali, comunicative diventa una necessità
            per contribuire a formare cittadini consapevoli, in grado di reggere le sfide della complessità.
        dal sito http://www.cidi.it/primo_piano/Musciacco.pdf