|   La 
          comunicazione umana 1^ parte 
          La comunicazione umana 2^ parte 
          La comunicazione umana 3^ parte  
         
          
        
           Il problem solving strategico nelle organizzazioni
                  
        Andrea 
          Leone 
         
          L'arte di cambiare situazioni problematiche relative a organizzazioni, 
          istituzioni o sistemi produttivi, mediante interventi strategici che 
          inneschino spirali virtuose ove sussistevano spirali viziose, ha una 
          tradizione millenaria. 
           
          Nella letteratura relativa ad aziende e organizzazioni si fa riferimento 
          spesso ai concetti di strategie e di problem solving, riferendosi però, 
          con tali espressioni, a costrutti teorico-applicativi e ad approcci 
          spesso diversi e, talvolta, contrapposti.  
           
          Per questo motivo appare indispensabile chiarire che, quando parliamo 
          di problem solving strategico, ci riferiamo a un particolare 
          modello di soluzione di problemi che ha alla base un'epistemologia e 
          una logica ben precise ed evolute e va quindi distinto dagli altri modelli. 
           
           
          In particolare, il problem solving strategico si rifà a quella branca 
          specialistica della logica matematica nota come "logica strategica" 
          (Elster, 1979, 1985; Nardone e Salvini, 1997; Nardone, 1998).  
           
          Tale logica si differenzia dalle logiche tradizionali per la sua caratteristica 
          di mettere a punto il modello di intervento sulla base degli obiettivi 
          prefissati e delle specifiche caratteristiche del problema affrontato, 
          piuttosto che sulla base di una rigida teoria precostituita.  
           
          Nell'approccio strategico evoluto il presupposto fondamentale è la rinuncia 
          a qualsiasi teoria forte che stabilisca a priori la strategia di intervento. 
          Da questa prospettiva è sempre la soluzione che si adatta al problema 
          e non viceversa, come avviene invece nella maggioranza dei modelli di 
          intervento tradizionali.  
           
          Al problem solver strategico non interessa conoscere le verità 
          profonde e il perché delle cose, ma solo "come" farle funzionare nel 
          miglior modo possibile. La sua prima preoccupazione è quella di adattare 
          le proprie conoscenze alle "realtà" parziali che si trova di volta in 
          volta ad affrontare, mettendo a punto strategie fondate sugli obiettivi 
          da raggiungere e in grado di adattarsi, passo dopo passo, all'evolversi 
          della "realtà".  
           
          Abbandonando la rassicurante tesi positivista di una conoscenza "scientificamente 
          vera" della realtà, nell'intervento strategico ci si preoccupa infatti 
          di individuare i modi più "funzionali" di conoscere e agire, ovvero 
          di aumentare la "consapevolezza operativa".  
           
          Aumentare la propria consapevolezza operativa significa quindi lasciare 
          in secondo piano la ricerca delle cause degli eventi per concentrarsi 
          sullo sviluppo di una sempre maggiore capacità di gestire strategicamente 
          la realtà che ci circonda in modo da raggiungere i propri obiettivi. 
           
           
          In base a quanto detto, la domanda del "perché" verrà sostituita con 
          quella del "come funziona". Chiedendosi "come funziona" una data situazione, 
          infatti, si evita di andare alla ricerca dei "colpevoli", focalizzandosi, 
          invece, sulle modalità che determinano la persistenza di un determinato 
          equilibrio e su come questo possa essere modificato. Questo significa 
          orientare l'osservazione sulla persistenza di un problema piuttosto 
          che sulla sua formazione. Perché è sulla persistenza di un problema 
          che si può intervenire, e non sulla sua precedente formazione. Chiedersi 
          "come funziona" orienta l'indagine in direzione della ricerca del cambiamento 
          nel presente, mentre domandarsi "perché" conduce a ricercare le spiegazioni 
          in un passato che non può comunque essere cambiato.  
           
          Rinunciando alla pretesa di una conoscenza a priori dei fenomeni oggetti 
          di studio, il problem solver strategico deve avere a disposizione un 
          qualche "riduttore di complessità" che gli consenta di cominciare a 
          intervenire sulla realtà da modificare e di svelarne così, progressivamente, 
          la modalità di funzionamento. Tale riduttore è stato individuato nel 
          costrutto di "tentata soluzione". Quando si presenta un problema all'interno 
          di un determinato contesto si ha la tendenza a far ricorso all'esperienza 
          sotto forma di riproposizione di interventi risolutivi che in passato 
          hanno funzionato per problemi analoghi. Di fronte all'insuccesso di 
          tali strategie, poi, piuttosto che ricorrere a modalità di soluzione 
          alternative, si ha la tendenza ad applicare con maggior vigore la strategia 
          iniziale, nell'illusione che fare "più di prima" la renderà efficace. 
          Questi tentativi di reiterare una stessa soluzione che non funziona 
          finiscono per dar vita a un complesso processo di retroazioni in cui 
          sono proprio gli sforzi in direzione del cambiamento a mantenere la 
          situazione problematica immutata. Da questo punto di vista possiamo 
          affermare che le "tentate soluzioni" diventano il problema (Watzlawick, 
          Weakland e Fisch, 1974).  
           
          Quando un sistema si trova in questa situazione è invischiato dentro 
          un "gioco senza fine", poiché è esso stesso una componente del problema 
          e solo un cambiamento introdotto dal di fuori, che cambi il sistema 
          stesso, rappresenta una soluzione concreta al problema.  
           
          La prima cosa che il problem solver dovrà fare, quindi, sarà individuare 
          le "tentate soluzioni" che il sistema e le persone in esso implicate 
          hanno messo in atto finora per raggiungere un dato obiettivo o per modificare 
          una situazione ritenuta disfunzionale. L'intervento strategico si occuperà 
          poi di rompere nel modo più efficace e rapido possibile quel meccanismo 
          autopoietico stabilitosi tra le tentate soluzioni e la persistenza di 
          un equilibrio disfunzionale.  
           
          Il contesto delle aziende e delle organizzazioni appare certamente un 
          mondo complesso e articolato. Al suo interno, tuttavia, si rileva una 
          costante che può essere ritrovata in ogni sistema strutturato, ossia 
          la caratteristica apparentemente paradossale della "resistenza al cambiamento". 
           
           
          Tale caratteristica si esprime con il fenomeno strano e apparentemente 
          illogico per cui sono proprio coloro che richiedono un intervento di 
          esperti, al fine di risolvere un qualche problema, gli stessi che tendono 
          poi a boicottare il cambiamento richiesto. Pertanto, al problem solver 
          è prima di tutto richiesta l'abilità strategica di aggirare tale resistenza. 
           
           
          Una componente fondamentale dell'approccio strategico è sicuramente 
          la comunicazione. Il problem solver deve infatti utilizzare un 
          linguaggio suggestivo che porti i soggetti a mutare le proprie percezioni 
          riguardo alla realtà, aggirando la loro inevitabile resistenza al cambiamento. 
           
           
          Un modello di problem solving strategico richiede un modo di porsi e 
          di comunicare del tutto diverso da quello basato sulla spiegazione e 
          sull'argomentazione ragionevole. In un'ottica strategica, gli aspetti 
          retorici e persuasori della comunicazione sono considerati elementi 
          fondamentali dell'intervento e utilizzati in forma deliberata e consapevole. 
          Il problem solver si assume in prima persona la responsabilità di influenzare 
          direttamente il comportamento e le concezioni dei suoi clienti, utilizzando 
          le strategie comunicative e i mezzi più efficaci per ottenere il cambiamento 
          (Watzlawick, 1977; Nardone e Watzlawick, 1990).  
           
          La possibilità di esercitare una qualche forma di influenzamento su 
          un ipotetico interlocutore passa innanzitutto da una serie di elementi 
          comunicativi di tipo non verbale che precedono l'interazione verbale. 
          Tali fattori risultano essere particolarmente rilevanti soprattutto 
          nella formazione di quella che in letteratura viene definita la "prima 
          impressione", ossia quell'immagine di una data persona che strutturiamo 
          nel momento in cui la incontriamo per la prima volta. L'effetto "prima 
          impressione" può quindi rappresentare un notevole aiuto, se sfruttato 
          a nostro favore proponendo da subito un'immagine in grado di affascinare 
          e catturare l'interlocutore, così come può rappresentare un forte limite 
          se trascurato.  
           
          Una comunicazione strategica è caratterizzata dal suo essere sempre 
          orientata in direzione di un obiettivo da raggiungere. Il "persuasore" 
          si propone di guidare l'altro ad assumere una particolare posizione 
          che lo porterà a modificare la propria percezione rispetto a una data 
          realtà. Per farlo, egli si preoccupa di strutturare la forma della propria 
          comunicazione in modo tale da facilitare questo processo, piuttosto 
          che andare alla ricerca di una condivisione di contenuti.  
           
          In una prospettiva sofista e suggestiva (cui si ispira il problem solving 
          strategico), infatti, un processo che voglia essere realmente persuasorio 
          non sarà veicolato dai significati, quanto piuttosto dalla forma della 
          comunicazione, in grado di produrre particolari effetti di tipo pragmatico. 
          In un modello di problem solving strategico, dunque, a livello di comunicazione 
          si assiste al passaggio da un linguaggio "descrittivo-indicativo" a 
          un linguaggio "ingiuntivo-performativo": mentre il primo è il linguaggio 
          tipico della spiegazione e della descrizione delle caratteristiche delle 
          cose, il secondo è il linguaggio tipico dell'influenzamento, poiché 
          non descrive ma prescrive, nel senso che induce a eseguire azioni ed 
          esperire emozioni.  
           
          La regola comunicativa principe, che ha caratterizzato tutti gli approcci 
          di tipo strategico a partire dal lavoro di Erickson (Erickson e Rossi, 
          1979, 1980), consiste nell'"osservare, imparare e utilizzare il linguaggio 
          del cliente". Tale tecnica (del ricalco) si basa sull'utilizzo 
          del linguaggio e delle modalità rappresentazionali del nostro interlocutore, 
          in modo tale da entrare in sintonia con le sue modalità di percezione 
          della realtà, creare un clima di suggestione positiva e ridurre così 
          notevolmente la sua resistenza al cambiamento. 
           
          In una comunicazione strategica di tipo evoluto, chi vuole persuadere 
          si pone fin dall'inizio alla guida della comunicazione e predispone 
          il contesto in modo tale da indurre l'altro a cominciare. In un'ottica 
          persuasoria, infatti, risulta molto più efficace indurre l'altro a prendere 
          l'avvio, piuttosto che aspettare che sia l'altro a iniziare e doversi 
          poi adattare a seguire il percorso da lui tracciato.  
           
          L'arte della persuasione sta nel saper "aggiungere", non nel togliere, 
          per dirottare la prospettiva della persona nella direzione voluta. Questo 
          a partire dalla sua percezione della realtà e mediante la sua logica 
          e il suo linguaggio. Per fare ciò, il persuasore si avvale di un particolare 
          processo di domande (intervenienti-discriminanti) che lo aiuteranno 
          a guidare la persona lungo un percorso conoscitivo che le darà la sensazione 
          di essere arrivata da sola alle conclusioni alle quali, invece, è stata 
          sottilmente indotta (comunicazione verbale induttiva). Quando 
          l'altro arriverà a dire al persuasore quello che lui avrebbe dovuto 
          dire, a questi non resta che mostrarsi perfettamente d'accordo con la 
          prospettiva che gli viene proposta. Pertanto, al contrario di quanto 
          si fa nelle abusate tecniche di vendita, in cui si cerca di mostrare 
          ed esibire l'accordo con l'altro come precondizione per l'influenzamento, 
          nella conversazione strategica il "sono d'accordo con lei" rappresenta 
          il punto di arrivo del percorso di persuasione, che si dichiara quando 
          l'interlocutore è arrivato ad affermare ciò che noi avremmo voluto proporre. 
           
           
          Solo una volta che questo tipo di accordo sia stato creato sarà possibile 
          passare dalla comunicazione verbale induttiva alla comunicazione 
          verbale ingiuntiva, ossia al proporre concrete indicazioni di cambiamento. 
           
           
          Le tecniche della comunicazione persuasoria 
          La ristrutturazione. 
          Ristrutturare significa cambiare lo sfondo o la visione concettuale 
          e/o emozionale in relazione a cui è esperita una situazione ponendola 
          entro un'altra cornice che si adatta, ugualmente bene o perfino meglio, 
          ai "fatti" della medesima situazione concreta (Watzlawick, Weakland 
          e Fisch, 1974). Come sottolinea Watzlawick (1976), mediante la ristrutturazione 
          la realtà di primo ordine, i meri fatti, rimane immutata, ciò che cambia 
          è la realtà di secondo ordine, ovvero il significato e il valore che 
          attribuiamo a tale realtà. Una ristrutturazione, perché riesca a produrre 
          il cambiamento, deve portare il problema fuori dalla sua rigida struttura 
          e porlo all'interno di un'altra struttura che sia congeniale al cambiamento 
          auspicato. Mediante adeguate ristrutturazioni si costruiscono delle 
          realtà inventate che producono nuove realtà concrete.  
           
          L'illusione di alternative. 
          Questa tecnica consiste nel creare un ambito all'interno del quale viene 
          proposta la scelta apparentemente libera fra due alternative che però 
          sono in realtà tali da produrre il medesimo effetto finale, cioè il 
          cambiamento. Le due alternative, infatti, in realtà rappresentano entrambe 
          solo un polo di una coppia di opposti più generale. Viene dunque creata 
          l'illusione che vi siano solo queste due possibilità o, in altri termini, 
          si provoca nell'altro una specie di incapacità di vedere che all'esterno 
          di quell'ambito esistono anche altre possibilità. L'illusione di alternative 
          è una tecnica particolarmente utile quando si deve prescrivere qualcosa 
          che si teme non sarà seguito facilmente dalla persona. Si assegna la 
          possibilità di scelta tra due compiti da eseguire: uno, il primo, molto 
          ansiogeno e sicuramente ritenuto impossibile, il secondo sempre meno 
          ansiogeno e attuabile. La persona sarà costretta ad accettare il secondo 
          in quanto, pur se difficile, è sempre meglio del primo. In questo modo 
          si crea una realtà che obbliga la persona ad assumere un impegno a eseguire 
          qualcosa che, se fosse stato assegnato come unico compito, probabilmente 
          sarebbe stato rifiutato perché ritenuto una richiesta eccessiva.  
           
          L'uso del paradosso. 
          Il paradosso logico è un tipo di enunciato che si nega e si afferma 
          al tempo stesso, che risulta al tempo stesso vero e falso, giusto e 
          sbagliato. Il paradosso rappresenta uno scardinamento della logica aristotelica 
          del "vero o falso" e dell'ottica manicheista delle coppie di opposti 
          utilizzate come categorie per descrivere la realtà. Nella comunicazione 
          interpersonale tale forma di trappola logica si consolida quando all'interno 
          di un asserto comunicativo sono presenti due messaggi contraddittori, 
          per cui chi riceve tale tipo di comunicazione si trova nell'impossibilità 
          di decidere se tale comunicazione sia vera o falsa. La forma più frequente 
          in cui il paradosso entra nella pragmatica della comunicazione umana 
          è una ingiunzione che richiede un comportamento specifico che proprio 
          per sua natura non può essere che spontaneo. Nei confronti di un comportamento 
          disfunzionale che si presenta come spontaneo o irrefrenabile è molto 
          efficace prescrivere il comportamento stesso mettendo la persona in 
          una situazione paradossale, in cui l'esecuzione volontaria di tale comportamento 
          porterà al suo annullamento. Con la ingiunzione paradossale, dunque, 
          si richiede il comportamento che si intende estinguere, facendogli perdere 
          in questo modo la sua spontaneità e ponendo la persona all'interno di 
          un "doppio legame" (Bateson, Jackson, Haley e Weakland, 1956) in cui 
          è posta di fronte all'illusione di una scelta:  
         
          
            - ubbidire, 
              vale a dire continuare col suo comportamento: in questo caso però 
              il suo comportamento viene svuotato di significato in quanto ormai 
              non è più involontario e spontaneo, ma volontario e richiesto da 
              un altro, quindi il soggetto agisce sotto il controllo dell'altro 
              e non più per suo conto; 
 
            - disubbidire, 
              ribellandosi alla prescrizione, il che però significa abbandonare 
              il comportamento indesiderato, che era proprio quello che si desiderava 
              ottenere. 
 
           
          L'utilizzo 
          della resistenza. 
          Di fronte a una persona che si oppone tenacemente a un intervento appare 
          funzionale prescrivere paradossalmente la resistenza per poi manipolarla. 
          Si procede così creando un doppio legame, per cui la resistenza della 
          persona diventa una prescrizione; la funzione prioritaria della resistenza 
          viene così annullata mentre viene utilizzata la sua forza per promuovere 
          il cambiamento.  
           
          La tecnica della confusione. 
          Questa tecnica consiste nel creare uno stato di confusione intellettuale 
          (Watzlawick, 1977). In questo torrente di parole e costrutti contorti 
          e confusivi alcuni concetti vengono, invece, comunicati in modo molto 
          concreto e chiaro, cosicché l'intelletto, in mezzo a tale minacciosa 
          confusione, vi si aggrappa come all'unico appiglio comprensibile. Ciò 
          rende tale appiglio ragionevole per il suo contrasto con il resto particolarmente 
          incomprensibile.  
           
          Anticipare le reazioni e le espressioni dell'interlocutore. 
          Questa tecnica è estremamente utile quando si vuole comunicare qualcosa 
          che potrebbe provocare reazioni aggressive e di rifiuto.  
           
          La tecnica del come se ("cosa farei oggi di diverso da quello 
          che faccio usualmente se questo problema non ci fosse più?"). 
          Il "come se" (Watzlawick, 1990) è una tecnica finalizzata a introdurre 
          in ciò che la persona fa nel corso della sua giornata un piccolissimo 
          cambiamento che però potrà innescare tutta una serie di cambiamenti 
          a catena che porteranno al sovvertimento del sistema (esperienza emozionale 
          correttiva). Le piccole ma concrete azioni "come se" gradualmente rovesciano 
          l'usuale interazione fra il soggetto e la sua realtà, conducendolo a 
          esperire realmente ciò che inizialmente finge di provare. Questo concreto 
          cambiamento condurrà gradatamente anche al cambiamento delle sue credenze 
          e percezioni della realtà (Nardone e Salvini, 1997; Nardone, 1998). 
          Si tratta di una tecnica che presenta inoltre il vantaggio di condurre 
          la persona a costruire una sua propria soluzione, senza che sia il problem 
          solver a fornirgliela. È quindi una tecnica molto soft perché evita 
          prescrizioni dirette lasciando decidere alla persona cosa fare comportandosi 
          "come se" il problema non ci fosse più.  
           
          L'uso di aforismi, aneddoti, storie e metafore. 
          Questa modalità di comunicazione minimizza la resistenza della persona, 
          in quanto non la sottopone ad alcuna richiesta diretta. Il messaggio 
          giunge quindi velato e sotto forma di metafora, trasmettendo forti suggestioni 
          (Nardone, 1991).  
        
        Fonte: http://www.vertici.com 
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