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Handicap

 

"Nel linguaggio corrente viene spesso confuso handicap con deficit, e anzi si ritiene probabilmente questo ultimo termine come più duro. Sicuramente non c'è l'abitudine a usare il termine "deficitario" mentre si usa "handicappato". È entrata nell'uso la dizione "portatore di handicap", forse con l'intento di non identificare un individuo con il deficit o l'handicap che lo accompagna. Ma certamente la dizione "portatore di handicap" è sbagliata, se si ragiona sul significato preciso della parola. Si potrebbe caso mai dire "portatore di deficit", perché questo è una dote caratteristica che un individuo può portare. Ad esempio, un sordo "porta" il deficit della sordità: questo è un dato abbastanza preciso e oggettivo. Da questo deficit, cioè da questa mancanza, può nascere l'handicap, vale a dire la somma del deficit e delle sue conseguenze, dovute alle risposte dell'ambiente e alla psicologia dell'individuo. Ad esempio: quella persona sorda può essere circondata da un ambiente portato a considerare quel tipo di deficit come non grave e quindi a non svalutare l'individuo che ne è affetto. Può anche accadere il contrario. Di fatto non vi è sempre una stretta interdipendenza fra gravità o meno del deficit e gravità o meno dell'handicap. Né l'interdipendenza o la correlazione sono identiche in tutto il mondo e in ogni tempo. Vi può essere uno stesso deficit che viene vissuto in maniera diversa in città e in campagna, in un paese fortemente industrializzato e in un paese che vive di turismo. 

L'abitudine all'impiego della parola handicap rivela una certa ambiguità e una certa ambivalenza. Da una parte può voler dire che la considerazione nei confronti di un individuo non è astrazione né un elemento fuori dalla storia e da un contesto. D'altra parte, però, la confusione di deficit e handicap può essere il segno di un modo di considerare la persona handicappata come un fatto oggettivo, collocato al di là dell'atteggiamento e della disposizione dell'ambiente. In questo senso, si potrebbe ritenere che qualsiasi cosa facciano gli altri, un handicappato rimane sempre tale. E invece il significato preciso delle parole dovrebbe essere un altro: un handicappato non è mai tale e quale in qualsiasi situazione si trovi, perché questa è la condizione del deficit. L'handicap è il deficit a cui si aggiunge la situazione, che può aggravare o alleviare la condizione dell'individuo. Dovrebbe essere una conclusione evidente che per conoscere l'handicap occorre collocarlo in un tempo e in uno spazio; e che ogni approfondimento della conoscenza è tale anche in rapporto alla storia (tempo) e alle culture (spazio)."  

 

HANDICAP (INTEGRAZIONE)


a cura di Loretta Lega

L'integrazione degli alunni in situazione di handicap (questa dizione si fa preferire a quella, apparentemente più gentile, di "portatori" di handicap) rappresenta una delle peculiarità del sistema formativo italiano. Il superamento delle tradizionali strutture educative "speciali", all'inizio degli anni '70, è stato contrappuntato da una produzione legislativa di notevole spessore ideale, anche se non sempre sorretta da adeguati interventi operativi. Leggi come la n. 118 del 30-3-1971 (che affermava per la prima volta il principio generale dell'integrazione dei soggetti disabili nelle classi comuni), o come la legge 4-8-1977, n. 517 che individuava specifici interventi per rendere "esigibile" il diritto all'educazione degli alunni con handicap (con l'introduzione della figura del docente di sostegno e la riduzione del numero degli alunni nelle classi interessate), hanno avuto una profonda influenza nel costume sociale e civile. Analogamente si può affermare per la Sentenza della Corte Costituzionale n. 215 del 3-6-1987, che affermava il diritto "pieno" e perfetto dei soggetti handicappati alla frequenza della scuola secondaria superiore, benché non obbligatoria. La frequenza non solo avrebbe dovuto essere "tollerata" e "consentita", ma attivamente perseguita.

La Legge quadro n. 104 del 5-2-1992 non veniva dunque ad introdurre elementi di novità nella legislazione scolastica in materia d'integrazione, ove si era nel frattempo sviluppata un'intensa produzione normativa secondaria. Vanno citate senz'altro la CM 22-9-1983, n. 258 che delineava "linee d'intesa tra scuola, Enti locali e Unità sanitarie locali" e presentava ipotesi ancora attuali di Progetto Educativo Individualizzato e la CM 3-9-1985, n. 250 che prospettava "azioni di sostegno a favore degli alunni portatori di handicap" e gettava le basi giuridiche del concetto di contitolarità e corresponsabilità educativa del docente di sostegno nella conduzione delle classi d'assegnazione.

La Legge 104/92 inserisce l'integrazione scolastica in una più ampia strategia d'integrazione sociale (nel mondo del lavoro, dei servizi, ecc.) e rende più cogente la concertazione degli inteventi di competenza dei diversi soggetti (scuola, enti locali, aziende sanitarie locali) attraverso la formula degli Accordi di programma provinciali (disciplinati dal DM 9-7-1992). Particolarmente curata è la definizione dei momenti di conoscenza delle situazioni di deficit e della conseguente progettazione educativa, attraverso strumenti tecnicamente puntualizzati nell'atto d'indirizzo del Ministero della Sanità (DPR 24-2-1994). Si tratta delle: 

* Certificazione, o meglio, dell'individuazione dell'alunno come persona handicappata, che compete al medico specialista o allo psicologo dell'Azienda Sanitaria Locale (o convenzionato); 

* Diagnosi Funzionale, che consiste nella "descrizione analitica della compromissione funzionale dello stato psicofisico dell'alunno handicappato, redatta dall'unità multidisciplinare dell'Azienda Sanitaria Locale o convenzionata"; 

* Profilo Dinamico-funzionale, che rappresenta "il prevedibile livello di sviluppo che l'alunno dimostra di possedere nei tempi brevi (6 mesi) e nei tempi medi (2 anni)" ed è predisposto dagli esperti dell'ambito sanitario, dai docenti curricolari e specializzati, dai genitori; 

* PEI (il Piano Educativo individualizzato), documento nel quale sono descritti gli interventi messi in atto per l'alunno con handicap, formulato dai docenti, dagli esperti sanitari, dai genitori e dagli eventuali operatori psicopedagogici.

Più alterne sono risultate le innovazioni nel campo della formazione, del reclutamento e della gestione della figura professionale del docente di sostegno, nonostante il rinnovamento dei corsi di specializzazione biennale. Tali corsi furono istituiti originariamente con DPR 970/1975 e rivisitati successivamente con l'art. 325 del Testo Unico (D.L.vo 16-4-1994, n. 297). I programmi vigenti sono stati riformulati con il DM 27-5-1995, mentre l'organizzazione dei corsi fa capo all'OM 14-2-1996, n. 72. In entrambi i documenti, significativamente non si parla di sostegno agli alunni, ma più propriamente di sostegno alle classi che accolgono alunni in situazione di handicap.

Il richiamo risulta appropriato in quanto il docente "specializzato" ha finito spesso per diventare il soggetto cui veniva delegata in toto la gestione del problema integrazione, di là delle stesse indicazioni normative (per tutte si cita la CM 3-7-1991, n. 184, sul principio della contitolarità del docente di sostegno nella vita della classe). Solo se il docente "specializzato" diventa una risorsa per la classe in cui opera, si può giungere ad un'effettiva integrazione tra i docenti di classe, senza artificiose distinzioni tra docenti di sostegno e docenti curricolari. A questi principi si ispirano i nuovi corsi di laurea in scienze della formazione primaria per i maestri di scuola materna ed elementare (DPR 31-7-1996, n. 471) e le scuole di specializzazione per i docenti di scuola secondaria (DPR 31-7-1996, n. 470), che prevedono nel curricolo formativo per tutti i futuri docenti specifici approfondimenti nell'area dell'integrazione scolastica. Recentemente, sulla base dell'OM 14-2-1996, n. 72 sono stati attivati corsi di formazione "ad alta qualificazione", riservati ai docenti specializzati di ruolo, su temi di carattere metodologico trasversale o attinenti specifiche minorazioni.

I ricorrenti motivi d'insoddisfazione sul piano operativo, accentuati anche dalla notevole espansione delle certificazioni di casi di handicap e dalla conseguente lievitazione delle figure di sostegno hanno portato il Governo ed il Parlamento, anche a seguito di un'apposita indagine parlamentare (1997), ad un ripensamento del quadro normativo sull'integrazione scolastica, avvenuto nell'ambito della Legge 27-12-1997, n. 449 (Legge finanziaria), successivamente esplicitato nel corpo del D.M. 24-7-1998, n. 331 (artt. 37-44).

L'evoluzione normativa

Nella legislazione più recente viene riconfermata la scelta dell'inserimento degli alunni handicappati (anche gravi) nella scuola comune, scelta che trova un punto di riferimento ineludibile nella Legge quadro n. 104 del 5-2-1992 e che viene riproposta nel Disegno di legge sul riordino dei cicli (luglio 1997). 

In questo contesto la Legge finanziaria n. 449/97 (temperata poi dalla successiva Legge finanziaria n. 448/98) introduce nuove regole per la gestione delle risorse per l'integrazione. Le nuove modalità di conteggio degli organici (1 docente di sostegno ogni 138 alunni) collegano l'ammontare degli insegnanti all'intera popolazione scolastica (di una provincia) e non ai soli alunni con handicap, come avveniva in precedenza.

Inoltre, per la prima volta nel nostro ordinamento viene fissato a priori un tetto (nazionale e provinciale) dei posti di sostegno. Il numero dei docenti di sostegno, in questo modo, viene sostanzialmente "bloccato". La misura viene comunque "compensata" dal graduale consolidamento dei posti di sostegno nell'organico di diritto, superando la precedente precarietà delle "deroghe" e la connessa instabilità dei docenti assegnati annualmente.

Tale operazione va comunque inserita nel quadro dell'avvio dell'autonomia (art. 21 della Legge 59/97 e primi regolamenti applicativi, come il DM 29-5-1998, n. 251 sulla sperimentazione dell'autonomia ed il DPR 18-6-1998, n. 233 su dimensionamento ed organici), in cui si sposta l'ottica dall'automatica assegnazione di risorse di organico alla sua gestione più flessibile (concetto di organico funzionale). 

L'autonomia scolastica accentua la richiesta di una maggiore integrazione tra le diverse risorse (umane, finanziarie, strumentali, di ricerca e motivazione) disponibili all'interno e all'esterno della scuola. Scelte organizzative più "mobili" ed "aperte", con il superamento del gruppo-classe di cui parla la L. 59/97, possono -in certi casi- offrire nuove e diverse opportunità d'integrazione. L'autonomia, inoltre, implica la ricerca di un positivo rapporto/alleanza con la comunità di riferimento e gli enti locali, nella comune predisposizione d'interventi volti a favorire il pieno diritto all'educazione e l'arricchimento dell'offerta formativa (Legge 18-12-1997, n. 440 resa operativa con la Direttiva n. 252 del 29-5-1998). In quest'ottica si potranno "utilizzare" le indicazioni della Legge 449/97 (art. 43 del D.M. 331 cit.) circa i progetti d'integrazione efficace che, ben delineati nelle suddette disposizioni, devono però avvalersi di risorse ordinarie (e quindi, al momento, solo dei fondi per la sperimentazione dell'autonomia).

Com'è noto, la Legge 449/97 ha abolito il tetto automatico del massimo di 20 alunni per le classi che accolgono alunni in situazione di handicap, previsto dalla Legge 4-8-1977, n. 517. Questo, ovviamente, non significa che non si possa scendere sotto i 20 alunni "nelle classi che accolgono alunni portatori di handicap in situazione di disagio e difficoltà d'apprendimento particolarmente gravi", come afferma il DM 331/98 (art. 10), ma sempre nel rispetto delle risorse professionali disponibili in ambito provinciale. 

Le innovazioni legislative in materia d'integrazione vanno dunque lette in relazione all'avvio dell'autonomia scolastica: la riduzione del numero degli alunni nelle classi interessate, le ore di sostegno, la gravità dell'handicap, la presenza di altri operatori "educativi" e "assistenziali" sono elementi da considerare ormai in termini integrati. 

Quest'orientamento implica il superamento della pratica della c.d. "copertura oraria" sull'alunno con handicap da parte dell'insegnante di sostegno. Un buon progetto di integrazione dovrà, nel tempo, contenere una "previsione programmata della riduzione motivata dell'impiego dell'insegnante di sostegno" (art. 41, DM 331/98). In caso di handicap lievi e medi sarà necessaria una maggiore integrazione degli interventi didattici con i colleghi curricolari contitolari di classe, fino ad arrivare a forme di scambio di ruoli o prestiti professionali.

In caso di alunni particolarmente gravi c'è invece l'esigenza di individuare forme di sostegno non strettamente didattico (per assistenza fisica, supporto all'autonomia, mediazione alla comunicazione, ecc.) da condividere anche con altri operatori (ausiliari, assistenti, educatori professionali, volontari, obiettori, ecc.), così come prevede la legislazione vigente (DPR 616/77) oggi riformulata a seguito del D.L.vo 31-3-1998, n. 112 che affida alle province (per la scuola superiore) ed ai comuni (per i gradi inferiori) "i servizi di supporto organizzativo del servizio di istruzione per gli alunni con handicap o in situazione di svantaggio.

Nel campo dell'integrazione scolastica la necessità di intese inter-istituzionali rappresenta una condizione ineludibile, più volte riaffermata in sede legislativa (per tutti, la Legge quadro 104/92). In questa prospettiva l'art. 45 del D.M. 331/98 si spinge molto avanti, ipotizzando che l'ampliamento dell'offerta formativa possa avvenire utilizzando "oltre che la disponibilità di personale e di mezzi del fondo di istituto", anche di "ulteriori risorse di personale e mezzi messi a disposizione dai competenti enti locali oppure da Enti ed organismi pubblici o privati, a seguito di appositi accordi o convenzioni"


Approfondimenti

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