Primaria - Secondaria - Secondaria II° - Le parole della scuola - Riforme

La maestra Claudia - Laboratori - Home

 

2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015
2016                            

Torna all'indice


Per un made in Italy dell'istruzione


Ripensare la scuola


Squallore


La scuola faccia la scuola


L'arte di educare in classe: piccoli gesti, grandi valori

 

 

La scuola faccia la scuola

 

Mi rimangono alcuni anni prima di terminare il percorso lavorativo nella scuola elementare: ho seguito con interesse profondo e appassionato ogni svolta riformistica, fermento culturale, politico e più specificamente didattico, metodologico. Ma ora più che mai sono turbata, rattristata da ciò che vedo e vivo quotidianamente.

Mi accorgo della perdita di senso che domina le scelte fatte in nome della qualità dell'educazione-istruzione sia nel pubblico sia nel privato, proprio ora, nel periodo di massima crisi economico-sociale e politica, periodo nel quale sarebbe necessario il massimo sforzo per rimettere al centro i saperi e le strategie per diffonderli con serietà, impegno e scienza, la creazione di un nuovo modo di valutare più attento alle sfide del presente multietnico e, conio un neologismo, multiapprenditivo.

Sempre di più invece la direzione dei lavori si occupa dell'organizzazione e del gradimento di parte dell'utenza. L'indicatore massimo che vien tenuto in considerazione è quello del "divertimento" di bambini e genitori. Mi spiego meglio: molte scuole sono diventate macchine per inventare, indovinare strade per confezionare occasioni, feste, incontri pubblici, situazioni di aggregazione ricorrenti (allegramente coinvolgenti) di "stiamo bene tutti insieme" oltre che per tamponare con architetture fantasmagoriche di orari e assegnazioni di cattedre le carenze di organico prodotte da una dissennata politica scolastica.

Ultimamente, ad esempio, in occasione dei 150 anni dell'Unità d'Italia, abbiamo cantato l'inno, rispolverato tricolore e canzoni tradizionali esibite in pubblico e in privato. Le abbiamo estratte dal cappello di un prestigiatore invecchiato, i cui riflessi si erano un po' appannati e che perciò si è dovuto allenare, riciclare.per arginare la tendenza al particolare.Ma alcune di noi non sono convinte della bontà dello stato di euforia collettiva che anima eventi di tale natura (senza nulla togliere all'importanza della memoria storica) e di altri altrettanto chiassosi, perché sotto ci intravedono la volatilità, l'inconsistenza del mezzo e delle finalità.

Grazie a dio non sono la sola a preoccuparsi della deriva, non sono la sola a pensare che si vada perdendo di vista il/la bambino/a con le sue richieste di socialità protetta, riflessiva, la sua richiesta di verità nel quotidiano, di solidarietà, di conoscenza meditata dell'altro, di apprendimento e di sapere.

Sempre di più sono convinta che sia pericoloso e fuorviante l'opinione che per integrare, accogliere, conoscersi fra culture diverse o, più semplicemente, diverse personalità, caratteri, modalità di rapportarsi, sia necessario muoversi tutti insieme e rumorosamente in gruppi allargati e festaioli. Credo che le grandi feste spettino ai Comuni, alle celebrazioni nazionali.

Di contro, e ancor più nelle situazione a rischio, la scuola forse dovrebbe farsi allegro silenzio di studio e apprendimento cooperativo, fucina di conoscenza e conoscenze lente, profonde, serene, sussurrate, di letture sensate, coinvolgenti, finalizzate a suscitare pensiero e riflessione sull'esistenza. I colori dominanti dovrebbero essere quelli pastello. Le basi di una vera, onesta preparazione morale e culturale dovrebbero essere gettate senza perdere ore e ore in affanni ansimanti per preparare eventi-vetrina. Il lavoro dell'insegnante è significativo e vincente se gli lascia tutto lo spazio e il tempo per intervenire su se stesso e sui singoli, per valutare emozioni, sentimenti, fragilità e punti di forza. lo scopo del lavoro dei Dirigenti dovrebbe essere quello di proteggere dalle "sirene" la "serenità" dell'ambiente e dei rapporti in cui vivono le persone in apprendimento, dovrebbe essere quello di incentivare ricerca e aggiornamento fuori dai "temi" alla moda dell'ultima riforma governativa e, ancora e di più, quello di supportare, agevolare, affiancare...

valorizzare, interessandosene direttamente, ogni nascente innovazione o piccola "trovata" strategica per ricucire "strappi" di qualsiasi natura.

Nel pubblico e nel privato che accolgono i nostri figli e figlie si dovrebbero moltiplicare interventi per socializzare un'idea di scuola degli apprendimenti, dello studio, della lotta contro le difficoltà per superare i gap di partenza, i casi di bullismo.e, nelle sedi preposte agli incontri con le famiglie, gli ordini del giorno dovrebbero essere quelli che richiamano l'attenzione sulla qualità degli apprendimenti, sulle difficoltà che si incontrano e sulla riflessione comune, di famiglie e scuola, sul come affrontarle, lasciando alle "varie ed eventuali", le informative che riguardano incontri scolastici o parascolastici di varia tipologia e spessore. Le parate, le ineludibili "feste" d'abitudine dovrebbero divenire assolutamente marginali rispetto al cuore.

Ne sono talmente convinta che ormai provo una vera allergia psicosomatica appena sento la parola "evento", "festa".

L'altro giorno qualcuno mi ha detto:-Ma di cosa hai paura? Che si perda tempo per il programma?!-

Mi sono cadute le braccia! Mi sono sentita umiliata e misconosciuta!

Ho pensato: - Ecco, non si può riflettere sulle consuetudini e ragionare sulla loro opportunità, ormai bisogna dire soltanto dei sì e pensare che tanto "passerà" .-

Ma dentro una vocina mi ripete che non è giusto adeguarsi, che bisogna esprimere il dissenso anche quando si è convinte che non sia politicamente corretto.

A quel qualcuno che irrideva alla necessità vera o presunta di non perdere tempo per il programma potrei rispondere che forse non si rende conto della situazione reale di un insieme di alunne e alunni diversi per stili di intelligenza, per provenienza e educazione ricevuta in famiglia. forse non si rende conto che oggi insegnare, a volte, è una specie di funambolismo sopra le uscite anticipate o entrate posticipate quotidiane per partecipazione dei singoli a saggi, feste, concorsi, visite a parenti vicini e lontani; sopra le assenze per vari tipi di malori e malattie comprovate.i quasi unici sempre presenti sono i bambini stranieri (è facile intuirne i motivi) che, per esperienza, dico essere estremamente motivati alla scuola e allo studio. E a questo proposito apro una parentesi e guai a prendere per una frase fatta ciò che voglio qui affermare, perché verifico tutti i giorni la tenuta del mio dire: le bambine e i bambini stranieri devono essere tenuti in classe, sempre e in ogni momento tenuti in situazione di apprendimento, "facile" o "difficile" che esso sia. Essi imparano la nostra lingua con battute di arresto o accelerazioni, ma l'imparano, anche per esprimere concetti raffinati. Per la qual cosa, senza temere di abbassare il cosiddetto "livello della classe"o di non finire il programma (!) ritengo fondamentale non ricorrere a vari esperti esterni.

Generalmente, non sempre, i bambini stranieri studiano pure a casa, cosa che per i nostri piccoli italiani diviene spesso un optional per quando hanno tempo e voglia. Per le famiglie straniere la scuola è un valore aggiunto di primissima qualità, per le nostre (non per tutte, fortunatamente) rimane abbastanza utile, ma in fondo non essenziale.e la riprova è la facilità con la quale molti "tengono" a casa i bambini per un banale mal di gola, mal di pancia, o peggio, per settimane di salutare vacanza.

Fortunatamente il mondo non è fatto soltanto di adulti, i quali a volte ritengono che la vita di classe sia noiosa, barbosa e faticosa e lo trasmettono ai figli, quegli stessi bambini che, invece, in apprendimento, pensa un po', sanno appassionarsi a contenuti e tecniche (almeno nella scuola elementare è così): conversazioni mirabolanti, braccia alzate, opinioni straordinarie e inverosimili, risate, conflitti di idee, scritture sensate, soddisfazioni sudate, l'orgoglio negli occhi.

La dimensione della classe, docenti e alunni che apprendono e insegnano reciprocamente, dovrebbe essere vissuta come l'unica possibilità di decondizionamento dalla tendenza esasperata all'edonismo, la quale ormai dilaga in ogni fascia della società a causa di una comunicazione mediale che in tal senso si fa ogni giorno più spinta.

La dimensione scolastica dovrebbe sempre più prendere le distanze dal divertimento inteso come momento di aggregazione momentanea di singoli, infatti per questo esistono su qualsiasi territorio "agenzie" specializzate che sanno far meglio che non le maestre e i maestri.

La scuola, quando si fa casa, centro estivo, mercatino perde la sua magnifica diversità e unicità di luogo del sapere in cui alcune persone, per un caso straordinario che le ha unite, possono fare ricerca e accedere insieme al sapere, costruendo, quotidianamente, con rigore, costanza, pazienza, calma e rispetto un insieme di momenti di gioia condivisa nell'attimo di ogni apprendimento. In tale gioia i singoli si riconoscono come parte di un tutto, si ascoltano, si confrontano prima di uscire dall'aula per entrare ovunque, in altri luoghi di divertimento (vero e proprio) più o meno "buoni", forti delle proprie esperienze culturali.

La scuola non dovrebbe temere di essere ciò che è: una barriera contro la volgarità, il vociare confuso, la risata sguaiata, gli atti sbracati, ecc.

Invece, il timore oramai diffuso di essere considerata luogo della fatica e della gioia dell'apprendere, oppure il timore di essere considerata dal governo di turno luogo "pigro" e "noioso", le fa sovente perdere la testa; la fa strafare di attività "alternative" e "integrative", le fa perdere il suo senso di baluardo contro l'ignoranza.

I grandi eventi non danno l'emozione profonda che regala un apprendimento. Essi possono dare la parvenza del divertimento, ma anche i bambini soldato si divertono a tirare le bombe. So che l'esempio è forte, eppure bisogna finalmente capire che non basta il divertissement per giustificare l'esistenza e le scelte della scuola!

Purtroppo, parafrasando Pascal, si potrebbe dire che oggi « La scuola, non potendo guarire una politica dissennata, la mancanza di lavoro, l'ignoranza e la volgarità, e rimediare ai tagli, ha deciso di non pensarci per rendere felici bambini, genitori e insegnanti. » (da Pensieri)

 

maggio 2011

Claudia Fanti

 

 


1 Circolo Forlì



I lavori delle classi


Scuola e società: tutto è straordinario!


Insegnare al principe di Danimarca

 

 


Cookie per gli annunci di Google e norme sulla privacy

Google
 

funzioni strumentali